Le riflessioni di Eugenio Tibaldi sull’archivio in Toscana

Eugenio Tibaldi è alla Tenuta dello Scompiglio con un progetto grandioso che trasforma il documento in monumento.

Nel definire l’archivio, dispositivo entro cui si muove l’ampio progetto realizzato da Eugenio Tibaldi (Alba, 1977) alla Tenuta dello Scompiglio, Jean-Luc Nancy offre, sulla via freudiana di Derrida, un punto di vista biologico legato inevitabilmente a una origine – alla pulsione che porta ad accumulare e far sedimentare materiali d’interesse personale – e a una fine che coincide con la morte dell’autore.

TIBALDI E L’ARCHIVIO DI X

Muovendo appunto dall’archivio di X acquisito in blocco sul finire del 2019 (l’artista preferisce non rivelare il nome di questo individuo nato nel 1929 e deceduto nel 2011, che ha raccolto ossessivamente libri, oggetti, scontrini, modellini di carri armati o d’altri mezzi corazzati, tessere balilla, medaglie e quant’altro stuzzicasse le proprie perverse fantasie), Tibaldi si è immerso archeologicamente nello studio di documenti, di fotografie, di libri e di oggetti, con l’idea di selezionare, di sezionare, di dividere, di scomporre per ricomporre con un flusso di pensieri capace di incrociare creativamente i dati e di dar vita – quasi a far propria l’idea di inconscio come insiemi infiniti messa in campo da Ignacio Matte Blanco – a un imponente organismo dove X non è e non sarà mai uguale a Y poiché le proprietà di Y, pur assimilando da X tutti i materiali di cui ne è densamente composto, non godono delle sue stesse caratteristiche, per il semplice motivo che Y elabora una anatomia trasformativa (creativa) di X. In altre parole, nel passaggio da X a Y non c’è un rapporto regolare e lineare ma densamente bizzarro, di scollamento riflessivo, di spostamento radicale dal cumulo di storie polverose dell’archivio di X acquisito da Tibaldi e il suo grandioso capolavoro eptagonale dove i materiali escono da un perimetro di tempo e di spazio in cui avevano cessato di essere reali per diventare nuove presenze di uno schema pungente, per intersecarsi con il più grande archivio del mondo e dunque per amplificarsi rizomaticamente, per mostrarsi in tutto lo splendore della loro (a volte) conturbante volgarità.

Eugenio Tibaldi, Symposium, sedia, rami, uccellini di carta, dimensioni site specific 2021. Courtesy l’artista e Associazione Culturale Dello Scompiglio. Photo Lorenzo Morandi

Eugenio Tibaldi, Symposium, sedia, rami, uccellini di carta, dimensioni site specific 2021. Courtesy l’artista e Associazione Culturale Dello Scompiglio. Photo Lorenzo Morandi

LA MOSTRA DI TIBALDI

Diviso in sette tappe che si attraversano vicendevolmente e che assorbono, appunto, dall’archivio di X materiali rimodellati e ricalibrati secondo una logica sottrattiva a cui l’artista annette, in un secondo momento, livelli di pensiero e dunque lieviti meditativi legati all’attualità o all’attualizzazione e alla ricontestualizzazione dei materiali, Architetture dell’isolamento è un viaggio modellato da Tibaldi nell’arco di due anni: e più precisamente da quando l’artista ha acquisito e ha poi cominciato a interrogare questa mole di materiali (in coincidenza, tra l’altro, con i fatti epidemici), da quando ha deciso di avviare una esplorazione nel proprio universo domestico e mentale, da quando ha gonfiato il raggio di investigazione su un contenitore che è insieme (inevitabilmente) anche contenuto. Forse è per questa ragione di fondo (una ragione da intendere anche come stimolo) che le Architetture dell’isolamento – la mostra è curata da Angel Moya Garcia – si presentano tutte come ingranaggi sì concatenati tra loro ma all’un tempo solitari, dove ogni singolo elemento apre a una storia, a un racconto, a una ulteriorità, a un mistero, a un enigma o a una via di fuga dalla odierna routine quotidiana.
Nulla è lasciato al caso in questo capolavoro: ogni elemento è posto sotto la lente d’ingrandimento per essere ricollocato e rimodellato, per mantenere o perdere la sua funzionalità iniziale, per ridisegnarsi, per abbandonare l’unico finale prevedibile e possibile, per sognare il sogno di un desiderio (desiderio di potenza, desiderio di distruzione, desiderio di possesso) preso a prestito e per considerare, esaminare, ispezionare le subdole dinamiche di potere che attraversano i secoli, i decenni, gli anni recenti che ci riguardano più da vicino. Basta guardare i 199 acquerelli su incisione che compongono Democratization of the human defect (2021) per capire quale filo di logica alimenti il percorso. In questo imponente lavoro a parete non solo Tibaldi scioglie la cartella delle incisioni su pietra dei Castelli del Piemonte realizzate dal vedutista Enrico Gonin sotto commissione dei Savoia (si tratta dell’Album delle principali castella feudali della monarchia di Savoja, pubblicato a dispense tra il 1840 e il 1860) e pubblicata in una raffinata edizione nel 1937, ma applica, su ogni immagine, dei dildi cromaticamente squillanti, dei giocattoli sessuali che evidenziano una bava di potere che vive la sua rincorsa e che subisce – l’artista usa il membro maschile per smembrare il potere – continua metamorfosi.
Ogni singolo lavoro ha, poi, al suo interno, un timbro il cui logo è stato realizzato dall’artista pensando ad alcune esperienze pregresse del despotismo (impostazione dell’editto con autenticazione della casa Savoia, con schema del fascismo, con l’idea di certificazione degli stati comunisti e con il pugno del Black Lives Matter) per evidenziare che in ogni organizzazione del passato e del presente resta sempre sottilmente viva la stessa volontà di replica di una certa autorità che coincide con il godere, con il desiderio di controllo sull’altro (in potenza).

Eugenio Tibaldi, Architettura dell'isolamento 01, materiali vari, suono, luce, dimensioni site specific 2021. Courtesy l’artista e Associazione Culturale Dello Scompiglio. Photo Lorenzo Morandi

Eugenio Tibaldi, Architettura dell’isolamento 01, materiali vari, suono, luce, dimensioni site specific 2021. Courtesy l’artista e Associazione Culturale Dello Scompiglio. Photo Lorenzo Morandi

ENCICLOPEDIE E DINTORNI

Sempre in queste 199 finestre troviamo, infine, delle piccole, impercettibili vie di fuga, dei piccoli tagli, delle fenditure, delle aperture da cui fuoriesce un lampo di luce realizzato in foglia-oro e che indica non solo la possibilità di saltare il cul-de-sac che attanaglia il mondo, ma anche una traccia di ottimismo, una minuscola via d’uscita dalla narrazione che si ripete sotto il peso di una prepotenza che cambia elegantemente volto ma che resta sempre inevitabilmente uguale a se stessa.
Isolation landscape 01 (2021) e Isolation landscape 02 (2021) sono, di questo itinerario, due momenti in cui il libro si trasforma: da una parte l’artista riprende integralmente una libreria con all’interno enciclopedie per scolpirla e scavarla sul retro fino a formare i lineamenti dei sette monti (dei sette anelli) che da Amman, in Giordania, giungono fino al Monte Horeb, dall’altra scava e schiva il sapere enciclopedico per creare, in uno spazio buio, il profilo delle Alpi. Nel primo caso, accanto a una riflessione sul potere rappresentato dal possesso di volumi enciclopedici e sull’autorità delle religioni, sono presenti una spada spagnola a tazza che regge, quasi come fosse un chiodo, una camicia da smoking su cui Tibaldi ha applicato tutta una serie di medagliette militari, simbolo della perversione nata dall’isolamento sociale di X e dunque dal rifiuto di un confronto con l’altro. Meravigliosamente scavati e resi quasi petrosi, i volumi dell’enciclopedia Treccani, sono trasformati, d’altro canto, nello straordinario semicerchio di Alpi e Appennini che circondano il Piemonte (dove l’archivio di X ha avuto origine e fine), amplificate sulle pareti della sala in cui il lavoro è diligentemente installato, mediante una luce centrale che, nel richiamare appieno le origini del cinema (qui l’artista ha puntato l’indice sull’impareggiabile Museo Nazionale del Cinema di Torino e sulle sue collezioni), mostra, in ombra, il profilo delle catene montuose.

Eugenio Tibaldi, Architetture dell'isolamento, exhibition view at Tenuta dello Scompiglio 2021. Courtesy l’artista e Associazione Culturale Dello Scompiglio. Photo Lorenzo Morandi

Eugenio Tibaldi, Architetture dell’isolamento, exhibition view at Tenuta dello Scompiglio 2021. Courtesy l’artista e Associazione Culturale Dello Scompiglio. Photo Lorenzo Morandi

UN ARCHIVIO PERSONALE E COLLETTIVO

Come una linea d’orizzonte che rimanda anche a un lavoro collocato in esterno (Sunday Lunch, 2021 – installazione di 250 bicchieri), Landscape creator (2021) è, a sua volta, una tensione psicologica, un filo sul quale sono collocati 20 calici di vino (la persona dell’archivio X, dopo aver bevuto vino rosso riponeva metodicamente i calici non lavati nella cristalliera) e oltre il quale c’è l’inciampo, la caduta nella ripetizione, nell’anancasma, nel buio dell’abitudinarietà.
Symposium (2021), nell’economia dell’esposizione, è una sedia da studio da cui fuoriesce una ramificazione (allegoria della cultura e della natura) che svetta verso l’alto, quasi a mimare un albero sui cui rami – e anche tutt’intorno, in cerchio, attratti da un richiamo – sono installate le 1008 tavole a colori degli uccelli disegnati da François-Nicolas Martinet per la Storia Naturale degli Uccelli pubblicata a Piacenza dai Torchj del Majno tra il 1813 e il 1815, uno dei dieci volumi che Buffon (al secolo Georges-Louis Leclerc, conte di Buffon, figura emblematica del secolo dei Lumi) dedica alla Storia Naturale e che ben presto supererà finanche il successo dell’Enciclopedia di Diderot e d’Alembert.
Tra ricostruzione, distruzione, destituzione e re-istituzione sensibile di materiali che ora cambiano forma pur mantenendo la loro forza statutaria ora invece restano legati a una idea ossessiva di scansione ritmica, Architettura dell’isolamento 01 (2021) è una installazione immersiva la cui intensità plastica lascia davvero senza parole. Qui si ha come l’impressione di entrare in un ambiente vorticoso, sovraccarico di sollecitazioni, dove Tibaldi ha orchestrato una mole ingente di oggetti o documenti – tra questi captiamo assicurazioni balilla, libretti d’assegni, quaderni di appunti, polizze (quella della Società Idroelettrica Piemontese ad esempio), diapositive, giornaletti pornografici, fotografie – che ci portano ad attraversare l’archivio della persona X (la sua sfera della follia) e a trovare, via via, un punto di contatto (questa l’idea di Eugenio Tibaldi), un incastro con il nostro personale archivio interiore, una aderenza sconcertante dove la storia di X porta a far riflettere tutti sull’abbrutimento ideologico ossessivo-compulsivo, sulla soglia sottile della differenza, sulla ripetizione (naturalmente da evitare) nostalgica del male.

Antonello Tolve

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Antonello Tolve

Antonello Tolve

Antonello Tolve (Melfi, 1977) è titolare di Pedagogia e Didattica dell’Arte all’Accademia Albertina di Torino. Ph.D in Metodi e metodologie della ricerca archeologica e storico artistica (Università di Salerno), è stato visiting professor in diverse università come la Mimar Sinan…

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