L’immagine sottratta. La mostra di Franco Guerzoni a Milano

Archeologia dell’esistenza. Potrebbe essere una buona epigrafe per riassumere l’esperienza creativa di Franco Guerzoni: la mostra al Museo del Novecento di Milano ne ripercorre cinquant’anni di carriera.

Un’accoglienza un po’ brutale. Negli spazi, sempre difficili da gestire, dedicati alle esposizioni temporanee al quarto piano del Museo del Novecento, ci si trova immersi senza troppi preamboli in una prima scelta di lavori di Franco Guerzoni, modenese, classe 1948.
Grandi pannelli, lastre di scagliola su tavola con vari pigmenti, fotografie, lacerti… Opere realizzate in un arco temporale di oltre quarant’anni che anche senza presentazione si offrono come specchio immediato delle caratteristiche prime e costanti dell’operare di Guerzoni. Un’ostinata, continua ricerca sul filo del tempo dentro percorsi di indagine già segnati dalle esperienze della prima maturità artistica, continuamente ripensati nei decenni a seguire. Affreschi, del 1972, una lastra di scagliola intonacata con una fotografia di uno spaccato urbano. Manifesti pubblicitari affissi su mura scalcinate, affacciate sul vuoto di un palazzo appena demolito. Sul fianco dell’edificio adiacente restano i classici tracciati dei vani abitativi distrutti. Una scacchiera con riquadri di dimensioni differenti, colori diversi intuibili nel bianco e nero della foto, strati di intonaco che si sovrappongono, si staccano, lo zigzagare di scale perdute… Archeologia urbana, nella sua purezza.

GUERZONI E L’ARCHEOLOGIA

È da questi materiali che prendono le mosse i primi lavori dell’artista intorno al senso e al significato del concetto di archeologia sul quale ragionerà per tutta la vita. Lo si scopre con piacere una volta introdotti nel cuore della mostra. Nella più ampia sala della biblioteca, tra opere che di nuovo permettono di ripercorrere con più criterio l’esperienza creativa di Guerzoni e una bella antologia dei libri-opera che dagli Anni Settanta ne punteggiano l’itinerario, è esposta una bacheca con fotografie, disegni, collage e progetti per creazioni future o installazioni germogliati, come scrive l’autore, “tra le tante influenze e contaminazioni assimilate dalla fine degli Anni Sessanta fino ai primi Settanta, quel cercare il ‘nuovo’ a tutti i costi tra i fuochi delle avanguardie e l’antagonismo politico”. Guerzoni li chiama Irrisolti.

Franco Guerzoni, Affreschi, 1973, scagliola su lastra di vetro su stampa cromogenica, cm 69x49

Franco Guerzoni, Affreschi, 1973, scagliola su lastra di vetro su stampa cromogenica, cm 69×49

NELLA BASSA PADANA CON LUIGI GHIRRI

Un materiale recuperato negli anni più sperimentali e politicamente impegnati dell’arte italiana in viaggi di perlustrazione per la Bassa tra Modena, Mantova e Reggio Emilia con l’amico fotografo Luigi Ghirri. Ecco i palazzi distrutti, gli strati di intonaco su mura decrepite, le ‘contaminazioni’ di elementi artificiali in contesti naturali. Ingredienti pronti a divenire strumenti d’officina e fonti da cui attingere lungo i decenni. Insomma, a scanso del titolo, in un primo tentativo di storicizzare il lavoro dell’artista, sono tra le cose più compiute, e di una bellezza unica, intrisa del fascino vergine di una scoperta.

LA POESIA DEL REPERTO PER GUERZONI

Da qui sprigiona la poetica che Guerzoni impernia intorno ai concetti di archeologia, di restauro, al disvelamento di una visione che vuole farsi prima di tutto esperienza interiore. Dai lavori più antichi come ai più recenti, fino alla serie Intravedere qui esposta per la prima volta. Stanze in miniatura di materiale gessoso con immagini “da percepire attraverso uno sguardo sghembo che costringe lo spettatore in un movimento rotatorio del capo a cercarne l’enigma celato” (Guerzoni).
Il materiale archeologico, in ogni sua forma, è per Guerzoni un canto di sirena, irresistibile. C’è una fascinazione continua di fronte all’aura di misterica poesia sprigionata da un reperto, soprattutto nel suo contesto di ritrovamento. Quel venire alla luce scoprendosi lentamente, il profondo radicamento in una storia che può avere interesse solo se intesa in senso antropologico: uno scavo attraverso le tracce dell’esistenza umana, nel suo rapporto con il mondo. Da qui la sfiducia nell’archeologia come metodo scientifico, dichiarata già in testi dei primi Anni Settanta, come l’‘errata corrige’ del libro Archeologia (1973), e che possono assumersi come impegno programmatico per un’intera carriera.

‒ Stefano Bruzzese

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