Donne, pace e sicurezza. Una mostra a Campobasso

Fondazione Molise Cultura, Campobasso – fino al 24 luglio 2020. Una mostra dedicata alle donne, parte attiva nella società. Un progetto finanziato dal Ministero degli Affari Esteri che sceglie come prima tappa Campobasso per poi coinvolgere Roma e New York. I curatori sono Lorenzo Canova e Piernicola Maria Di Iorio, direttore dell’Aratro, Museo Laboratorio dell’Università del Molise.

WOMAHR è una mostra dal titolo evocativo: Women_ Art_ Human Rights. A 20 anni di distanza dalla risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che ha istituito l’Agenda Donne, Pace e Sicurezza, l’esposizione riattraversa mediante gli occhi di artisti dalla differente provenienza la condizione delle donne, non più vittime, ma risorse nei processi di pace e negli interventi in aree di conflitto. Fin dai tempi dell’Atene del V secolo, l’identità femminile è associata allo scioglimento di qualsiasi guerra come ben rappresentato dalla Lisistrata di Aristofane. A essere richiamate sono tutte le categorie cosiddette vulnerabili, quelle messe a dura prova soprattutto in occasione di contrasti, paure e disordini che hanno segnato l’apertura deI Terzo Millennio. Il linguaggio dell’arte unisce donne e uomini, Europa e Oriente appropriandosi di ogni tipo di media e di tecnica per invitare il pubblico a un atto di riflessione sul tema dei diritti. È la somma di più voci particolari per un grido transnazionale che valica ogni confine politico o geografico.

Alì Assaf, Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali, 2016, acrilico su tela, cm 31x31

Alì Assaf, Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali, 2016, acrilico su tela, cm 31×31

GLI ARTISTI IN MOSTRA A CAMPOBASSO

Tocca ad Alì Assaf, artista curdo iracheno che più volte ha esplorato attraverso il suo fare artistico la propria condizione di esule, aprire la mostra. Il primo articolo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani trascritto in caratteri arabi dalla particolare cura calligrafica e cromatica sovverte il comune ordine di lettura degli occidentali spingendo a un’identificazione o proiezione verso quella parte di mondo in cui i diritti sono continuamente osteggiati. I timori e i pregiudizi connessi alla paura del diverso sono, invece, all’origine degli scudi realizzati da Virginia Ryan, artista che contamina linguaggi di differenti culture conosciute attraverso i suoi viaggi. Sconfinamenti e ricerca di barriere identitarie sono gli aspetti contraddittori del mondo globalizzato. Tra grovigli di fili appaiono, però, fotografie di donne, presenze simboliche e protettrici, evocatrici di pace e di accettazione del diverso.
Le artiste italiane presenti in mostra rivelano invece un approccio maggiormente legato alla psicoanalisi, ai temi dell’infanzia. Giosetta Fioroni, nome storico di cui è esposto uno dei ritratti di bambine, rievoca il diritto a esprimere la propria identità anche in quelle parti del mondo ancora soffocate da pregiudizi e sistemi patriarcali. Ancora l’infanzia è il tema scelto da Paola Gandolfi, un video in cui è il tempo a correggere il passato. L‘artista interviene con effetti grafici su un film girato dal padre attraverso una vecchia cinepresa che la segue mentre avviene la sua vestizione/preparazione prima di andare a scuola. I segni grafici diventano allora grida di libertà, volontà di sfuggire alle regole imposte.

Debora Hirsch, Firmamento (key), 2020, acrilico e matita su tela, cm 80x80

Debora Hirsch, Firmamento (key), 2020, acrilico e matita su tela, cm 80×80

DONNE, VIOLENZA, PREGIUDIZI

Emblematica è anche l’installazione di Stefania Fabrizi in cui vengono riproposti gli autoritratti di celebri pittrici che sono riuscite a esprimere la propria arte tra Cinquecento e Settecento. Alcune tele però mostrano la sola imprimitura, per immaginare le storie di tutte quelle donne artiste in potenza, ma a cui la storia fatta dagli uomini non ha dato voce. C’è chi invece sposta l’attenzione più sulla violenza, come Debora Hirsch e Massimo Orsi. La Hirsch ripropone su uno schermo, in cui si riflette l’immagine dello spettatore, frasi rivolte spesso alle donne vittime di abusi. Massimo Orsi invece, attraverso la pittura, riprende corpi femminili sottratti al mondo dei mass media, oggetti di piacere e di consumo alternati a scenari di guerra. Un messaggio di speranza viene, però, lasciato dal forte lavoro di Sana Tamzini in cui un uomo scarica un carrello di pietre verso l’obiettivo. Volontà di cancellare l’identità femminile, rievocando tristi scene di lapidazione di donne. Magicamente le pietre con un effetto a ritroso tornano indietro sovvertendo così un ordine ingiusto.

Antonella Palladino

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Antonella Palladino

Antonella Palladino

Ha studiato Storia dell’arte presso le Università di Napoli e Colonia, laureandosi in Conservazione dei Beni Culturali con una tesi dal titolo “Identità e alterità dalla Body Art al Post-Human”. Ha proseguito la propria formazione alla Fondazione Morra e poi…

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