Tony Lewis (Los Angeles, 1986) presenta un’antologica il cui fulcro è l’interesse nei confronti del linguaggio. Il frammento di discorso da cui parte l’artista, per proseguire attraverso una rielaborazione in chiave creativa, è il dibattito tra Baldwin e Buckley presso la Cambridge Union del 1965. In particolare, è la capacità oratoria di Buckley ad attirare stranamente l’interesse dell’artista, sebbene fosse uno dei padri del conservatorismo americano: la potenza delle parole da lui usate, riscontrabile nella reazione di chi ascolta, diventa per Lewis un espediente essenziale per suggerire ciò che si ottiene smantellando il linguaggio.
L’artista destruttura le parole esaltandone il valore semantico e segnico e facendo loro assumere un’autonomia notevole rispetto alla composizione. La mostra presenta, così, disegni su carta lavorata con grafite con immagini “congelate” del dibattito e opere che isolano parole e gesti dando origine a un complicato astrattismo in grado di attivare effetti di spaesamento. Compaiono, poi, i floor drawings, che rimandano idealmente al disagio e alla distorsione di un corpo che per anni ha subito parole razziste.
‒ Giulia Pacelli