Una casa alla fine del mondo. Eugenio Tibaldi in mostra a Roma

Galleria Nazionale, Roma – fino al 13 aprile 2020. Alla Galleria Nazionale di Roma, Eugenio Tibaldi pone al centro dell’attenzione “le regole dell’estetica e della socialità”.

Il recente progetto site specific organizzato da Eugenio Tibaldi (Alba, 1977) alla Galleria Nazionale è occasione per guardare da vicino la ricerca di un artista tra i più raffinati del panorama europeo, forse tra gli intellettuali più attenti, più intensi. Concepito nell’ambito del Notturno con figura. Primo corollario sulla vibrazione, la doppia personale delineata con i fratelli Ingrassia e curata da Lucrezia Longobardi nel programma Connection Gallery ideato da Massimo Mininni, Habitat #1 (2020) è un saggio visivo in cui possiamo percepire e reperire tutti gli ingredienti su cui Tibaldi, da ormai un ventennio, ha lavorato (e continua a lavorare) per costruire un programma sulle periferie urbane e umane, sui luoghi di confine, sugli spazi abbandonati, sull’incuria, sugli oggetti gettati nel dimenticatoio della disattenzione quotidiana, sulle identità mutevoli ed elastiche, sull’emarginazione (sulle “dinamiche del margine”, puntualizza l’artista) e sulla ghettizzazione, come pure sulle sempre più avvertite problematiche legate all’emigrazione e alla clandestinità. Basta guardare indietro di vent’anni appunto, riosservare le prime opere presentate nella doppia personale con Berruti alla Galleria Maze (Torino, 2000), il Bestiario presentato alla sua prima mostra da Umberto Di Marino Arte Contemporanea (allora ancora a Giugliano, 2001), il Landscape (sempre da Di Marino) del 2004 e via via ricordare le opere prodotte nel doppio progetto Archeologia / Contemporanea _02 realizzato con Giuseppe Stampone ad Ascoli Piceno (Museo Archeologico Statale, 2013), come pure la Seconda Chance al Museo Ettore Fico (Torino, 2016), Posthumous Identity da Marie-Laure Fleisch (Bruxelles, 2018), le straordinarie Architetture minime presentate al MAXXI (Roma, 2018) o Il giardino abusivo realizzato con After Leonardo al Museo del Novecento (Milano, 2019) per avere l’ago della bussola su un procedimento che nasce dall’osservazione diretta del mondo, da una catalogazione mnemonica del resiliente, da una pratica della diffidenza quotidiana che porta a rileggere l’adattamento, la reazione, la perseveranza del cambio naturale e culturale.

PAROLA A EUGENIO TIBALDI

Nel 2000 inizia la mia ricerca che prende vita nell’area periferica a nord di Napoli”, dove “mi sono trasferito con la motivazione di conoscere e vivere il luogo, a mio avviso, più plastico e mobile d’Italia”, scrive l’artista in una preziosa traccia di poetica. “In essa (nell’area periferica) ho ricercato i riflessi di una mutazione silente sia in termini di interpretazione che di reazione alla realtà, una neo cultura in grado di influire e alterare sistemi economico sociali. Le aree periferiche con i loro ‘non confini’, si prestano a entrare in relazione con il materiale umano secondo dinamiche ‘altre’ da quelle centrali, dando luogo a soluzioni adattative e di convivenza tra le parti spesso impreviste. I margini esprimono una condizione culturale che cambia e influenza il modo di vivere di chi le abita e innesca vere e proprie dinamiche mentali, che riscrivono le regole dell’estetica e della socialità”.

Eugenio Tibaldi. Habitat #1. Exhibition view at La Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma 2020

Eugenio Tibaldi. Habitat #1. Exhibition view at La Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma 2020

LA MOSTRA A ROMA

Riconducibile a una alterità abitativa, a un contro-spazio, a una eterotopia concretata mediante le impreviste dinamiche che governano il mondo dei senzatetto e degli esclusi, Habitat #1 si presenta come un margine del margine che colpisce e ferisce poiché mostra la voce della riflessione, il suono del pensiero pensante, l’approccio di un artista capace di immergersi nel mondo, di vaporizzarsi e successivamente di centralizzarsi per “espletare” un complesso plastico sospeso dalla realtà, un groviglio neuronale pulsante di vita, un corpus psicogeografico sovraspaziale, un dispositivo reale e mentale in cui è possibile avvertire l’esterno che mira a farsi interno, il paesaggio che mira a farsi parete, il cielo che (con il suo mutare) mira a farsi tetto stellato o soffitto assolato o copertura piovosa e ventosa.
In questa abitazione momentanea e sgangherata l’arredamento è precario: ci sono cartoline postali (tutte indirizzate a persone di Alba), un pomellino di ottone che si avvita a un ramo reciso, un anello infilato a un dito ligneo, un angolo con candele, merletti annodati e piccole reliquie votive, un ventilatore per rinfrescarsi dalla calura estiva e per mobilitare le pagine di un “santo rosario”, un posacenere con qualche mozzicone di fortuna (qualcuno stipato e da riaccendere, qualcun altro semplicemente ciccato al posto giusto). Nella sfilata organizzativa di questo seducente agglomerato polimaterico c’è anche un giradischi funzionante su cui gira il Romeno è Giulietta realizzato da Tibaldi a Verona (che si diffonde nell’ambiente e crea un Gesamtkunstwerk), c’è l’angolo toilette e (di fronte) l’angolo con la carta igienica per gli impronunciabili bisogni, c’è una canna da pesca ricurva e su cui è appesa una gabbietta per uccellini, c’è un padellino – illuminato da una luce color albicocca – al cui interno è presente un uovo, c’è un grappolo di bicchieri con dentro vino bianco, rosé o rosso, ci sono 5 banconote da 2000 lire arrotolate a un rametto, ci sono dei libri (tra questi Heidegger, Rilke, Pessoa, Mille piani di Deleuze-Guattari) su una mensola, una chiave solitaria e appartata (forse la chiave per accendere i sogni o per aprire uno scrigno o per entrare in una casa interiore) e ci sono tanti altri oggetti accumulati, ammucchiati con cura (una pelliccia è posta a mo’ di sacco con dentro un televisore), fino a concepire una struttura in alcuni casi piacevolmente metafisica e surreale (surreale secondo l’accezione di Breton: il surrealismo non è qualcosa che sta sopra la realtà ma al suo interno).

Eugenio Tibaldi. Habitat #1. Exhibition view at La Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma 2020

Eugenio Tibaldi. Habitat #1. Exhibition view at La Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma 2020

HABITAT E DIMORA

Una chiave, un anello, ogni accurato dettaglio di questo nuovo e davvero straordinario disegno messo in campo da Eugenio Tibaldi, quasi compendio, epitome, ricapitolazione del suo lavoro, pone luce anche su una pluralità di approfondimenti, di dinamismi, di parallelismi, di angoli da cui e verso cui osservare i modelli complessi della società attuale messa radicalmente in causa e in discussione. Habitat #1 non è soltanto la “fissa dimora” di un fantomatico uomo randagio, ma anche un autoritratto dell’artista che ha indossato antropicamente gli abiti dell’altro e dell’ultimo per concepire qualcosa di simile, di vicino, di aderente al modello dell’altro e dell’ultimo: e per di più plasmando una struttura “abusiva” (apparentemente involontaria) che impone al visitatore svariati punti di vista, allegoria di un mondo che non va più visto con la cintura di sicurezza etnocentrica o per comparti stagni, ma sotto diverse angolazioni e comportamenti (sociale, culturale, morfologico, psicoevolutivo, sociologico, economico e politico, artistico ed espressivo, filosofico-religioso) confluenti tra loro, aperti all’aperto di una solida solitarietà.

Antonello Tolve

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Antonello Tolve

Antonello Tolve

Antonello Tolve (Melfi, 1977) è titolare di Pedagogia e Didattica dell’Arte all’Accademia Albertina di Torino. Ph.D in Metodi e metodologie della ricerca archeologica e storico artistica (Università di Salerno), è stato visiting professor in diverse università come la Mimar Sinan…

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