Le emergenze contemporanee nella poetica di Stefano Cagol. A Gallarate

MA*GA, Gallarate ‒ fino al 15 settembre 2019. Videoinstallazioni, opere fotografiche e scultoree che documentano i grandi interventi ambientali realizzati dall'artista trentino a partire dal 2007. Lavori che interrogano, smuovono e trattano le sfide contemporanee, focalizzandosi sulle emergenze ecologiche e politiche più impellenti.

Il titolo della mostra di Stefano Cagol (Trento, 1969) ‒ Iperoggetto. Visioni tra confini, energia ed ecologia ‒ fa riferimento alla teoria del filosofo inglese Timothy Morton, secondo il quale gli iperoggetti sono “entità diffusamente distribuite nello spazio e nel tempo che ci obbligano a riconsiderare le idee fondamentali che ci siamo fatti su ciò che significa esistere, su cos’è la Terra, su cos’è la società”, entità globali in cui siamo immersi e che daremmo per scontate. Inoltre l’iperoggetto ci sovrasta, si estende nello spazio e nel tempo, è viscoso e puntiforme, e ha conseguenze dirette e indirette sul nostro modo di vivere.
Suona un po’ come l’acqua di cui parlavano i due pesci nella storia di David Foster Wallace, poiché l’iperoggetto è qualcosa di non definibile una volta per tutte e in cui siamo immersi, una sorta di processo e habitat al tempo stesso.
Morton, nell’ultimo capitolo del suo libro, riflettendo sulla natura dell’opera d’arte che vuole rispecchiare questi concetti ed entità, sostiene che “deve tener conto della loro intrinseca intimità e stranezza, che li rende inquietanti“. L’arte così orientata “ci consente di acclimatarci con entità viscose, appiccicose, lente. È un’arte che ci si attacca e ci scorre addosso“.

L’OPERA

Con le parole del curatore Alessandro Castiglioni: “Nell’opera di Cagol in particolare sono tre le questioni che si intrecciano e costantemente sono poste sotto l’attenzione dello spettatore: il problema energetico, quello climatico e quello geopolitico legato ai confini. L’indagine di queste tre questioni, seguendo l’approccio filosofico di Morton, ne considera la dislocazione e la natura temporale: ciò permette a Cagol di costruire complessi sistemi di senso e di struttura estetica in cui metodologia di lavoro e formalizzazione corrispondono coerentemente. I lavori in mostra, infatti, si caratterizzano per una natura reticolare e puntiforme: una serie di produzioni che assumono e potenziano il loro significato in relazione ad altre, all’interno però di sistemi aperti che possono essere costantemente riconfigurati”.
Coerentemente con l’immagine di uno spazio globale, o di un ipertesto, per la mostra l’artista ha creato un unico ambiente in cui le opere rimandano l’una all’altra in uno “spazio corale” e spingono verso una concentrata e critica riflessione sul presente.

Stefano Cagol, The Ice Monolith, 2013. Riva Ca’ di Dio, Venezia 2013. Maldives Pavilion, 55. Biennale di Venezia. Photo Stefano Cagol

Stefano Cagol, The Ice Monolith, 2013. Riva Ca’ di Dio, Venezia 2013. Maldives Pavilion, 55. Biennale di Venezia. Photo Stefano Cagol

COMPLESSITÀ E RESPONSABILITÀ INDIVIDUALI

La natura del progetto è al contempo estetica, critica, ed etica: “Da artista ti accorgi che un impegno nell’affrontare le urgenze dell’oggi viene riconosciuto e promuove realmente un moto di pensiero. L’arte può influenzare la politica”, dice Stefano Cagol nell’intervista con Blanca de la Torre contenuta nel catalogo che accompagna la mostra.
Cagol, infatti, con le sue opere al contempo poetiche, ironiche, provocatorie e impegnate mette l’osservatore davanti a questi processi che non si notano direttamente nello spazio della percezione e dell’esperienza diretta, e che sono appunto grandi iperoggetti: sfuggenti, sovrastanti, dalla natura processuale, alcuni dei quali ormai drammaticamente evidenti.
Ed è in questa sospensione del tempo che con grande sintesi ed eleganza, scevra da qualsiasi retorica, sensibilizza, affascina e sprona, ponendo ognuno dinanzi a una responsabilità che diviene finalmente individuale avvicinandoci alla costituzione di quel “soggetto collettivo” tuttora mancante e solo abbozzato, perché non si possa rimanere schiacciati tra impotenza e inconsapevolezza.

LE ALTRE MOSTRE

In contemporanea, il MA*GA ricorda Giannetto Bravi, con l’esposizione di trenta lavori a cura di Emma Zanella visitabile fino al 5 maggio, dove si ricostruiscono le tappe significative dell’ampia attività artistica dell’autore nell’arco di tempo che va dal 1966 al 2013; la mostra, in particolare, documenta l’attenzione per i linguaggi della quotidianità, della comunicazione di massa, e la riflessione circa la cultura consumistica e gli immaginari collettivi.
La mostra Planète, invece, curata da Vittoria Broggini, fa conoscere al grande pubblico il cinema sperimentale di Gianfranco Brebbia, Marinella Pirelli, Bruno Munari e Marcello Piccardo, artisti che negli Anni Sessanta e i primi Settanta, fra Varese, Como e Milano, tracciano visioni radicali e fortemente innovative per un’inedita comprensione del reale.
Per concludere, sempre fino al 5 maggio, saranno esposte le opere vincitrici del concorso Premio Riccardo Prina Un Racconto Fotografico 2018, organizzato all’interno del Premio Chiara. La mostra, intitolata Due parallele, espone le fotografie di Karina Bikbulatova con la curatela di Mauro Gervasini: pochi sorprendenti scatti in cui si racconta la storia ricca di mistero di due bambine che si incontrano solo una volta l’anno in un villaggio russo, sorelle senza saperlo

Laura Ghirlandetti

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Laura Ghirlandetti

Laura Ghirlandetti

Laura Ghirlandetti (Crema, 1983) si è laureata con lode in Scienze dei beni culturali alla Cattolica di Milano. Collabora con l'associazione milanese Circuiti Dinamici (ex Bertolt Brecht), e in veste di art curator con la Zoia Gallery&Lab. Con la sua…

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