Un’installazione site specific, dove l’acqua e il calore sono principi fondamentali all’origine della vita e del mondo. Sembra di entrare in un caldo ventre materno, familiare e insieme inquietante. Un po’come il “ventre di Parigi con le sue fogne, le sue strade, i suoi incroci, le sue piazze, le sue arterie e la sua circolazione”, evocato da Hugo nei Miserabili.
All’origine di tutto c’è lei. La Lupa capitolina, come non l’avete mai vista. Dopo la recente censura da parte della televisione iraniana, il simbolo indiscusso di Roma diventa opera post-minimalista: otto seni in serie, realizzati in forme e materiali spaesanti, come riflessione sul tema della maternità. Un sistema di tubi dell’acqua corre lungo il perimetro delle altre sale come idrovore a partire da un boiler all’ingresso per irrorare tre sculture-termosifone in alluminio, simili a organi umani o a fluttuanti particelle di DNA.
A dispetto dell’uso di materiali e processi industriali, Nicolas Deshayes (Nancy, 1983) suggerisce una presenza umana. Ben oltre le provocatorie macchine di Picabia o la mera forma di Donald Judd.
‒ Valeria De Gasperis