Love di Luisa Rabbia è un insieme di immagini introspettive, che attraverso lo sguardo parlano all’anima. Sono opere su carta e tela che mirano ad attirare l’attenzione dello spettatore, un’opera site specific e un libro d’artista. La Collezione Maramotti presenta un’antologica di dieci anni di ricerca dell’artista nata a Pinerolo nel 1970. L’evoluzione è tangibile. Nel 2009 From the Whithin ritrae migranti dormienti in un’opera figurativa che descrive il sonno come momento di evasione e non di sogno. Dal 2011 sono i tratti sottili e vivi, simili a vasi sanguigni dai colori blu e rosso, a definire lo spazio nelle tele. I want to be there, too riporta invece la mente ai colori dell’Urlo di Munch; una folla di impronte digitali, ritratti di individui anonimi che da un lato all’altro del pianeta si confondono con il paesaggio, si muovono e scambiano energia attraverso un moto infinito. È pura dimensione interiore che emerge come pace e come tormento, in altre parole vita. L’artista è intimamente proiettata a individuare una consequenzialità tra il viaggio interiore e quello che spinge l’uomo ad attraversare terre e confini. Love, parte della trilogia Love-Birth-Death, copula-nascita-morte, è il ritratto di due corpi saldamente coinvolti in un amplesso. Corpi attraversati da un’unica spina di arterie e vene, comparata da Mario Diacono nel catalogo alla mostra a un albero sefirotico che si espande nel vuoto circostante. L’immagine è potenza pura, è elettricità, porta nella stanza il respiro dei corpi, fluttuanti nel silenzio cosmico.
Sono opere timide e forti quelle di Luisa Rabbia, non aggrediscono, entrano dentro alla mente dello spettatore come terminazioni nervose, sottili e profonde come i tratti sulle tele dell’artista.

LA POETICA VISIVA DI EMMA HART
Emma Hart (Londra, 1974) è vincitrice della sesta edizione del Max Mara Art Prize for Women. La sua opera Mamma Mia!, già esposta alla Whitechapel Gallery di Londra, è ora adattata a una sala della Collezione Maramotti. Il progetto è il risultato di una permanenza di sei mesi in Italia tra Milano, Todi, Roma e Faenza. Un contributo importante alla sua idea è riconducibile alle lezioni sull’Approccio Sistemico di Milano (un metodo costruttivista di terapia familiare), la lettura e l’assimilazione dei romanzi di Elena Ferrante e la scoperta della maiolica (tecnica scelta per la realizzazione dell’opera). Manufatti in ceramica a forma di testa sembrano dialogare tra loro e, nella dinamica creata, lo spettatore ha la possibilità di osservarne il contenuto. La superficie interna è quindi decorata dall’artista con motivi vivaci che recuperano in chiave contemporanea la tradizione decorativa della maiolica. Le opere di Emma Hart indagano la frustrazione, la confusione di cui è vittima la società contemporanea. Il coinvolgimento è al contempo fisico e mentale e suscita nell’osservatore interrogativi e angosce. Mamma Mia! è rievocazione delle dinamiche del quotidiano e degli alti e bassi che innestano un processo di psicoterapia.
Mentre le opere di Luisa Rabbia sono fatte di silenzio, battiti e sospiri, quelle di Emma Hart sono rumore, tensione nevrotica e insoddisfazione.
– Anna Vittoria Zuliani