Ciò che colpisce e affascina della ricerca di Giovanni Morbin (Valdagno, 1956) è la caparbietà. Le idee di costruzione, di attesa, di sintesi e di insistenza sono alla base di Privazione: da una parte, oggetti linguistici detentori di un forte potere semantico, libero e inconsueto; dall’altra, protocolli d’esecuzione e utensili performativi che ironizzano sulla loro stessa funzione catartica. La mostra attacca con Atrophy (2017), trofeo anarchico che rifiuta la sua stessa commercializzazione fagocitando l’ipotesi di possesso assoluto e singolare dell’opera; continua con Personale, strettamente personale (2014), serie inedita di lettere sigillate e non apribili contenenti i più intimi segreti dell’artista, emblema dell’astinenza dai contenuti filologicamente potenti, sadismo dell’artista e feticcio edificante del mercato dell’arte e con Peroratore (2017), postazione in continua crescita composta da libri, foto, articoli tutti impiegati nello studio delle strategie di convincimento, seduzione e preghiera da Cicerone a Trump; si conclude con Tergicristallino (2016), installazione meccanica dedita al vuoto dello spazio meditativo. Insomma, Morbin non si è risparmiato e gioca con lo spettatore mettendo in tavola tutte le sue carte; un rischio squisitamente vincente a ogni sua puntata.
‒ Federica Maria Giallombardo