Una mostra all’Arsenale di Roma. Tra i resti del Palatino

Archeologia e contemporaneità si intrecciano negli spazi monumentali del colle che sovrasta i Fori Imperiali. Sito espositivo diventato quasi una consuetudine nell’estate romana, il Palatino ospita cento opere “da Duchamp a Cattelan”, all’insegna dell’ironia e dello sbeffeggio.

Da qualche anno si è affermata la zona archeologica della Capitale come un classico sito di esposizione, uno spazio in cui l’arte contemporanea si innesta creando connubi e dialoghi con le rovine e i luoghi da millenni abbandonati e ogni giorno affollati di turisti.

IL CONTEMPORANEO SUL PALATINO

Nel 2013 era stata la mostra Post-Classici, curata da Vincenzo Trione, a portare le opere di maestri come Kounellis e Pistoletto tra quel che resta dei palazzi e dei monumenti del Foro e del Palatino. L’anno scorso, seppure in periodi diversi, entrambi i lati di via dei Fori Imperiali sono stati popolati di sculture e installazioni, con la mostra Lapidarium di Gustavo Aceves ai Mercati di Traiano e Par Tibi, Roma, Nihil, una collettiva di grandi artisti ospitata di nuovo sulle colle Palatino.
Oggi è ancora il laterizio che affaccia sul Circo Massimo ad accogliere il visitatore nella sua passeggiata fra antico e moderno, fra le vestigia di un mondo che non c’è più e le riflessioni, contraddittorie, di un mondo che c’è ma fatica ad affermare una propria identità storica. Da Duchamp a Cattelan. Arte Contemporanea sul Palatino è il titolo, neanche troppo visionario, di un’esposizione che apparentemente non presenta alcun filo conduttore riconoscibile, se non l’anacronismo degli accostamenti.

Denis Santachiara, Nuvola Rosa, 2008, photo Andrea Jemolo

Denis Santachiara, Nuvola Rosa, 2008, photo Andrea Jemolo

L’IRONIA AMARA DI BUSTER KEATON

Al contrario, il percorso pensato da Alberto Fiz rivela una chiave di lettura profondamente ironica, quasi dissacrante, di uno spazio vasto e ai più sconosciuto di Roma. Il Palatino sembra rivivere nei suoi diversi ambienti, dall’ariosa grandezza dello Stadio fino alla Domus Augustana e le Arcate Severiane, grazie a cento opere provenienti dal museo ALT di Tullio Leggeri. Il progetto curatoriale non si limita a sfruttare il luogo, che già di per sé varrebbe la visita, per creare una sorta di Centrale Montemartini all’incontrario (semplicemente invertendo contenuto e contenitore), ma crea con il luogo un rapporto basato sull’antifrasi e l’iperbole, in una trasposizione artistica delle figure retoriche letterarie.
Non per caso l’opera più iconica dell’esposizione è After Love, la casa-che-non-sta-in-piedi di Vedovamazzei, ricostruzione della casa fai-da-te che Buster Keaton vorrebbe mettere in piedi (senza riuscirci) nel corto Una settimana del 1920. Piazzata nel bel mezzo dello Stadio Palatino, ispira con le strutture solide, massicce eppure diroccate che la circondano, un senso di straniamento che descrive al meglio l’intento della mostra. Ecco di che cosa l’uomo contemporaneo (non) è (più) capace. L’umorismo dell’artista come inevitabilità nel confronto col passato.

Thorsten Kirchhoff, Cul de sac, 1995, photo Andrea Jemolo

Thorsten Kirchhoff, Cul de sac, 1995, photo Andrea Jemolo

OZIO E MAGREZZA

Ma non sono solo le installazioni di maggiori dimensioni a offrire spunti di interpretazione. A partire dagli ombrelloni piantati lungo la salita al Palatino – distonico monito sul consumismo che spinge ad impossessarsi degli spazi, più che a viverli –, passando per la Lupa di Ugo La Pietra, troppo magra (oggi) per allattare Romolo e Remo, fino agli interventi-beffa di Cattelan, tra cui uno specchio disposto per terra in un passaggio obbligato, invito a capovolgere lo sguardo per guadare sotto le cose (come anche le gonne), la mostra è un labirinto che non manca di stupire e di divertire: due dimensioni connaturate all’arte contemporanea.
Basti anche solo visitare, “otium” patrizio dei nostri tempi, il “bocciodromo” di Anya Gallaccio sulle Terrazze Severiane, da cui si può tra l’altro godere di una vista magnifica su Roma, il palazzo della Fao sulla sinistra, il Gazometro davanti, il Cupolone laggiù sulla destra, la spianata del Circo Massimo al di sotto. La differenza è che al posto delle bocce si tirano agrumi (in una piscina).

L’ARSENALE, MA A ROMA

Lungi dall’essere una semplice rassegna, con anche una sezione fotografica, l’esposizione archeo-moderna del 2017 si caratterizza come una non stanca reinvenzione di ciò che deve essere arte oggi. Una provocazione del pensiero, in cui la bellezza, pur non essendo più dimensione prevalente, prorompe dal passato a intimare che di essa non si può fare a meno – con buona pace degli epigoni di Duchamp. È l’Arsenale di Roma, anch’esso ospite di un museo naturale, come Venezia.

– Marco D’Egidio

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Marco D'Egidio

Marco D'Egidio

Ingegnere civile con la passione dell'arte e del cinema, scrive recensioni per Artribune da quando la rivista è stata fondata. Nel frattempo, ha recensito anche per Giudizio Universale e pubblicato qualche editoriale sul sito T-Mag. Sempre a tempo perso, tiene…

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