Philip Guston, un grande artista a Venezia. Intervista con Musa Mayer

Due anni fa i nuovi spazi delle Gallerie dell’Accademia hanno inaugurato ospitando una grande mostra di Mario Merz. L’anno scorso è stata la volta di una rassegna straordinaria dedicata ad Aldo Manuzio. Nel 2017 è la volta di Philip Guston, per una terza esposizione che si annuncia altrettanto memorabile. Ne abbiamo parlato con la figlia dell’artista, Musa Mayer. Mentre domani sarà la volta dell’intervista con la direttrice del museo, Paola Marini.

Incontriamo a Venezia Musa Mayer, figlia del grande pittore Philip Guston (1913-1980) e di Musa McKim Guston, poetessa e artista. Ci racconta, in questo dialogo che prelude alla mostra Philip Guston and the Poets (cinquanta dipinti e venticinque disegni in dialogo con i versi di D.H. Lawrence, W.B. Yeats, Wallace Stevens, Eugenio Montale e T.S. Eliot), di suo padre, delle sue incertezze, dei suoi problemi con la critica, delle sue sofferenze. Un ritratto composito che abbraccia anche la figura della madre, nata in Pennsylvania ma con una vita di viaggi a Panama e poi di nuovo in America a fianco di Philip, in Iowa e infine a Woodstock. L’infanzia di Musa è stata costellata di figure dell’arte importanti, come ricorda qui ma anche in un libro di prossima uscita per i tipi di Johan & Levi, intitolato in USA Night Studio, tracciando un ritratto profondo e intimo dell’artista, ma anche raccontando cosa significhi crescere all’ombra di un grande maestro, condividendone i successi, le ansie e le insoddisfazioni.
E da questo libro, dalla mostra e dalla nostra intervista emerge la relazione profonda di Guston con il nostro Paese. Con la tanto amata Roma, città dove abitò tra il 1948 e il 1949 da borsista dell’American Academy in Rome e dove tornò più avanti completando, ospite dell’Accademia, la Roma series (1970-1971). Ma anche con Venezia, dove rappresentò gli Stati Uniti d’America alla Biennale di quell’anno insieme a Franz Kline, Hans Hoffman e Theodore Roszak. Ma soprattutto era l’arte del nostro Paese ad affascinarlo, non solo i classici, ma anche la Metafisica, trovando in Giorgio de Chirico uno degli artisti che maggiormente lo ispirò nel corso della sua lunga ricerca pittorica, fra astrazione e figurazione, in un momento storico in cui l’arte approdava, spesso in maniera anche integerrima, verso altri, concettuali lidi. E da questo ritratto emerge una critica dei coevi a volte spietata, ma pure la luce di un’eredità, quella di Guston, che oggi fa ancora sognare, studiare e riflettere i giovani artisti contemporanei.

Philip Guston, Untitled, 1968. Acrilico su pannello, 76,2 x 81,3 cm. Collezione privata. © 2016 The Estate of Philip Guston / Hauser & Wirth

Philip Guston, Untitled, 1968. Acrilico su pannello, 76,2 x 81,3 cm. Collezione privata. © 2016 The Estate of Philip Guston / Hauser & Wirth

Tuo padre è stato in Italia diverse volte, tra Venezia e Roma. Qual è stata la relazione che ha avuto con il nostro Paese? Roma e Venezia come hanno ispirato la sua ricerca?
Fin dai primi anni della sua vita, mio padre è stato fortemente influenzato dai pittori italiani del Rinascimento, che aveva visto unicamente attraverso delle riproduzioni. Tra questi, Masaccio, Mantegna e soprattutto Piero della Francesca. Ma è stato influenzato anche dai tardi maestri italiani come Giorgio de Chirico. Ha vinto il Prix de Rome nei tardi Anni Quaranta e così è potuto venire in Italia e vedere queste opere dal vivo. E le ha amate fin dal primo sguardo. Si è anche innamorato dell’Italia e degli italiani mentre era lì, ed è tornato tre volte, fermandosi per periodi più lunghi.

Guston è stato un pittore in un periodo di grandi cambiamenti nel mondo dell’arte. Ha continuato coraggiosamente a dipingere mentre molti altri artisti avevano abbandonato la tecnica per rivolgersi a declinazioni più concettuali. Questo nuovo “trend” ha in qualche modo avuto effetti sul suo lavoro e sulla sua relazione con il sistema dell’arte?
Forse il modo migliore per dirla è che l’arte non è mai stata un affare semplice per mio padre. Si è sempre posto domande e sfide, sempre però rimanendo fedele alla sua natura intima di pittore, cosa che non era molto popolare o “attuale” per la critica di quel periodo, e certamente non era quello che il sistema si aspettava da lui o quello per cui era lodato. Di conseguenza, il suo lavoro ha continuato a evolversi o a cambiare e crescere in maniera profonda e complessa – cosa che spesso non era ritenuta accettabile per i critici o per il mondo dell’arte, che non era semplicemente pronto a vederlo. Per questo motivo, molti giovani artisti hanno visto in Guston un modello di integrità creativa.

Guston ha frequentato la scuola con Jackson Pollock, ha lavorato con David Alfaro Siqueiros ed è stato influenzato in maniera sostanziale da Giorgio de Chirico. Elementi della cultura americana (anche la pop culture), del muralismo messicano tradizionale e della metafisica italiana sono intensamente rappresentati nella sua poetica. Pensi che questo mix apparentemente connesso solo allo stile fosse parte di una strategia politica e filosofica?
Penso che “strategia” non sia la parola giusta, perché implica una sorta di tentativo calcolato di fare arte. Mio padre era intensamente consapevole del suo tempo, di tutto ciò che era sbagliato nel mondo, e ha costantemente cercato una visione che potesse esprimere ciò che sentiva e vedeva. Ha lavorato in modo intuitivo, ma è stato anche un intellettuale, che leggeva in maniera ampia e approfondita filosofia, storia e poesia.

Philip Guston, The Palette, 1975. Olio su tavola, 132 × 202 cm. Collezione privata. © 2016 The Estate of Philip Guston / Hauser & Wirth

Philip Guston, The Palette, 1975. Olio su tavola, 132 × 202 cm. Collezione privata. © 2016 The Estate of Philip Guston / Hauser & Wirth

La sua infanzia non è stata semplice. Il suo background personale ha avuto un ruolo importante nella sua arte? 
Certamente l’ha avuto. I primi anni della sua vita sono stati segnati da perdite traumatiche: in particolare dal suicidio del padre e dalla morte del fratello. Per un artista che sente la vita così profondamente, come possono tali eventi non perseguitare il suo lavoro per sempre? Gli storici e i narratori hanno spesso commentato che alcune delle immagini del suo lavoro negli ultimi anni riflettono questo passato pieno di sofferenze. C’è un poema al quale penso sempre a questo proposito. È del grande W.B. Yeats, The Circus Animal Desertion, e riguarda le dolorose domande del processo creativo. La stanza finale è: “Those masterful images because complete / Grew in pure mind but out of what began? / A mound of refuse or the sweepings of a street, / Old kettles, old bottles, and a broken can, / Old iron, old bones, old rags, that raving slut / Who keeps the till. Now that my ladder’s gone / I must lie down where all the ladders start / In the foul rag and bone shop of the heart”.

Anche tua madre era un’artista e una poetessa. Come è stato crescere in una famiglia così eccellente?
Ho molte storie da raccontarti, come puoi immaginare! Crescere nel mondo dell’arte di New York degli Anni Cinquanta e partecipare ai party con Pollock, de Kooning, Rothko e altri artisti è stata una complessa esperienza per me in quanto bambina. La mia vita e quella di mia madre sono state interamente focalizzate intorno alle esigenze di mio padre come artista. Infatti ho scritto un memoir intitolato Night Studio sulla mia esperienza e sulla mia infanzia di figlia di un pittore e di una poetessa.

I tuoi genitori ti hanno incoraggiato a una carriera nell’arte?
No, per nulla. Hanno lavorato molto sulla mia formazione, anche perché nessuno di loro due è mai andato al college. Tra l’altro mio padre non ha mai finito la scuola superiore, era completamente autodidatta e molto colto. Io invece mi sono laureata in Storia dell’Arte all’università, ma non ho mai perseguito una carriera in questo campo. Ho due master, un Master of Science in consulenza psicologica e un Master of Fine Arts in scrittura.

Philip Guston, Mother and Child, 1930. Olio su tela, 101,6 x 76,2 cm. Collezione privata. © 2016 The Estate of Philip Guston / Hauser & Wirth

Philip Guston, Mother and Child, 1930. Olio su tela, 101,6 x 76,2 cm. Collezione privata. © 2016 The Estate of Philip Guston / Hauser & Wirth

L’ultima decade della produzione di Philip Guston non ha ricevuto forti riscontri dalla critica. Perché, a tuo avviso?
La critica più eminente di quel periodo, ad esempio personaggi dottrinari come Clement Greenberg e Hilton Kramer, richiedeva agli artisti l’aderenza a un certo tipo di astrazione. Questi critici trovavano il lavoro tardo figurativo di mio padre inaccettabile rispetto alla loro teoria su come la pittura si doveva sviluppare. Nel 1970, quando gli ultimi lavori di Guston furono esposti per la prima volta, Kramer si riferì a mio padre, come è noto, in un articolo sul New York Times rimasto nella storia, definendolo “A Mandarin Pretending to be a Stumblebum” [“Un membro dell’élite che finge di essere un pasticcione”, N.d.R.].

Ora invece com’è recepita quella fase?
In questi anni, l’ultimo periodo di mio padre, con un’evoluzione molto interessante del giudizio, è veramente apprezzato e quasi venerato. Il lavoro dell’ultima dozzina di anni di vita di Guston può essere ora conosciuto non in termini di inesplicabile cambiamento di stile, ma come profonda sintesi di cosa egli ha imparato attraverso l’astrazione pittorica degli Anni Cinquanta e dei primi Anni Sessanta, dalla maestria figurativa dei primi murales e ritratti degli Anni Trenta e Quaranta, entrambe sfruttate per raggiungere il culmine di un sentire profondo, metafisico o poetico, di una visione che ha raggiunto verso la fine della sua vita.

Guston ha influenzato intere generazioni di giovani artisti. Riconosci la sua anima e la sua eredità nel lavoro dei pittori di oggi?
Molti, moltissimi giovani artisti con cui ha parlato in questi anni, in relazione al lavoro di mio padre, mi hanno raccontato quanto questo abbia significato per loro. Quindi sì, riconosco questa eredità, che può solamente crescere nel tempo. La vedo nella libertà che questi pittori sentono oggi, diversamente dal vissuto di mio padre negli Anni Cinquanta e Sessanta. Anche i giovani pittori che non sono direttamente influenzati da Philip Guston mi dicono quanto ammirano il suo coraggio e la sua perseveranza nel seguire i suoi valori più intimi.

Musa Mayer, Night Studio (Johand & Levi)

Musa Mayer, Night Studio (Johand & Levi)

Qual è la relazione tra l’Estate Philip Guston e la galleria Hauser & Wirth?
Hauser & Wirth è la galleria che rappresenta in esclusiva l’Estate di Philip Guston. Nel corso degli ultimi due anni hanno svolto un lavoro grandioso nel portare Guston a un’ampia comunità di amanti dell’arte. Per me però è importante anche sottolineare il lavoro della McKee Gallery, di David e Renee McKee, che ha recentemente chiuso e che ha rappresentato Philip Guston per oltre quarant’anni, credendo nella sua ricerca fin dai primi giorni, quando nessuno lo aveva invece fatto.

Com’è nato il progetto della mostra di Venezia?
Quando ho saputo che era stato recentemente rinnovato lo spazio delle Gallerie dell’Accademia e che sarebbe stato disponibile nei giorni di inaugurazione della Biennale di Venezia, ho immediatamente ricordato un viaggio con mio padre in Italia negli Anni Sessanta. Avevo diciassette anni e mi ero appena diplomata. Venezia era la nostra prima tappa. La pittura di mio padre avrebbe rappresentato gli Stati Uniti alla Biennale di Venezia quell’anno. Siamo stati in una pensione alla Giudecca e mi ricordo che la mattina successiva al nostro arrivo andammo come prima cosa all’Accademia, per vedere i dipinti che Guston amava. Non dimenticherò mai quella visita. Mi ha lasciato un’impressione indelebile. Sarebbe molto felice di sapere che il suo lavoro è esposto nella galleria in cui si trovano le opere di molti dei maestri italiani che ha tanto amato. È un grande onore.

State lavorando a un catalogo generale delle sue opere?
La Fondazione Philip Guston che dirigo sta lavorando in questo periodo alla fase finale di un catalogo ragionato della pittura di mio padre che sarà presentato online su www.philipguston.org. Speriamo di poter lanciare il sito il prossimo anno e stiamo pianificando una pubblicazione stampata.

– Santa Nastro e Marco Enrico Giacomelli

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #37

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Marco Enrico Giacomelli

Marco Enrico Giacomelli

Giornalista professionista e dottore di ricerca in Estetica, ha studiato filosofia alle Università di Torino, Paris 8 e Bologna. Ha collaborato all’"Abécédaire de Michel Foucault" (Mons-Paris 2004) e all’"Abécédaire de Jacques Derrida" (Mons-Paris 2007). Tra le sue pubblicazioni: "Ascendances et…

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