Musei senza spazi. Una storia italiana

Nonostante l’implemento delle sedi museali dedicate all’arte contemporanea, queste ultime risultano carenti di spazio per nuove acquisizioni. E spesso accolgono mostre a forte impronta commerciale. Da Milano a Firenze, una riflessione sullo stato di alcuni musei italiani.

Nell’ambito dei musei d’arte contemporanea si sono fatti dei passi avanti importanti, nel senso che città di primaria importanza come Milano, Firenze e Verona finalmente se li sono dati. Ma scatta in merito un connesso inconveniente: questi contenitori “stanno stretti” rispetto al loro compito, ovvero raccolgono le presenze storiche, quanto i musei hanno già nelle loro collezioni, lasciando però ben poco spazio per ulteriori acquisti, e soprattutto per mostre temporanee. Il caso più tipico è il Museo del Novecento di Milano, inserito a viva forza nello spazio ristretto dell’Arengario, con appena una volonterosa scialuppa lanciata ad abbordare il secondo piano di Palazzo Reale. Si potrà dire che quest’ultimo non manca di mettere in mostra grandi artisti, non solo dei secoli scorsi, ma anche del contemporaneo, basti pensare agli omaggi recenti dedicati a Manzoni e Isgrò. Però viene a mancare il collegamento: questi eventi cadono dall’alto, da editori che li promuovono soprattutto al fine di vendere i cataloghi. Milano aveva annunciato l’arrivo di un museo del contemporaneo nel senso più rispondente, ma ha avuto paura di essere troppo ardito e ha ripiegato sul pretestuoso Museo delle Culture, dove il contemporaneo entra come ospite quasi occasionale. È vero che il Comune ambrosiano può contare sul PAC, con cui le cose procedono nel modo più giusto, ma ancora una volta non esiste un rapporto organico tra l’una e l’altra istituzione.

Questi contenitori “stanno stretti” rispetto al loro compito, ovvero raccolgono le presenze storiche, quanto i musei hanno già nelle loro collezioni, lasciando però ben poco spazio per ulteriori acquisti, e soprattutto per mostre temporanee“.

Lo stesso si dica del Comune di Firenze, che anch’esso finalmente si è dato una struttura ad hoc, ma anche in quella l’esistente si adatta troppo alla perfezione, senza possibilità di allargamenti e sviluppi. Anche se non possiamo ignorare che nella Città del Giglio il contemporaneo è pure coltivato dal Museo Marini e dalla Strozzina, quest’ultima è però attualmente “in sonno”. Ma ancora una volta viene meno lo sviluppo, la giusta proiezione di quanto nasce dall’interno. E c’è anche il caso di Verona, che ha abbandonato Palazzo Forti per una più centrale sede nel Broletto della città, ma anche qui la sistemazione del già acquisito esaurisce gli spazi. Con la beffa che Palazzo Forti non è stato sottratto all’arte – in Italia nulla esce mai definitivamente da un uso precedente –, ma viene offerto alle mostre estemporanee e fuori di ogni piano meditato, organizzate dalle solite imprese a fini di lucro. Anche qui si potrà osservare che esistono pure le ampie sale del Palazzo della Gran Guardia, ma riservate a destinazioni di lusso, così rifluendo in un altro dei difetti congeniti del nostro sistema espositivo, nelle rassegne rispondenti più che altro al tentativo di fare soldi con la vendita di biglietti e cataloghi.

Renato Barilli

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #35

Abbonati ad Artribune Magazine
Acquista la tua inserzione sul prossimo Artribune

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Renato Barilli

Renato Barilli

Renato Barilli, nato nel 1935, professore emerito presso l’Università di Bologna, ha svolto una lunga carriera insegnando Fenomenologia degli stili al corso DAMS. I suoi interessi, muovendo dall’estetica, sono andati sia alla critica letteraria che alla critica d’arte. È autore…

Scopri di più