Riallestita la splendida sala fiamminga dell’Ambrosiana di Milano. A 4 secoli dalla morte di Jan Brueghel il Vecchio
La pregiata raccolta di opere fiamminghe della Pinacoteca Ambrosiana di Milano viene allestita secondo nuovi criteri. La sala espositiva cambia aspetto e si dota anche di dispositivi multimediali. Protagonista assoluto Jan Brueghel dei Velluti, di cui si celebrano i 400 anni dalla morte

Il nome di Jan Brueghel il Vecchio, membro di un’illustre famiglia di artisti, è scolpito nella storia della pittura fiamminga. Nato dal celebre Pieter Brueghel il Vecchio, erede di Hieronymus Bosch, fu fratello maggiore e padre di Pieter il Giovane e Jan il Giovane, entrambi pittori. Importante il sodalizio con Rubens, artista coetaneo, anche lui di Anversa: diversi in quanto a scelte iconografiche e di stile, si trovarono a realizzare una ventina di opere a quattro mani, un fatto insolito per due maestri di pari successo. Su tutte lo splendido olio su tela del 1617 Il senso della vista, conservato al Museo del Prado di Madrid.
Conosciuto con l’appellativo “dei Velluti”, Jan Brueghel amò l’Italia e vi restò per tre anni di fila, dal 1593 al 1596; quindi fece ritorno nella sua Anversa, dove continuò a produrre fino alla morte: colpito dal colera, si spense nel 1625 a soli 57 anni.
Per il brillante fiammingo Milano era stata città di fortune e di alleanze, dove strinse diverse relazioni prestigiose nell’ambito della borghesia e dell’aristocrazia locale, procurandosi committenze proficue e durature. Il cardinale Federico Borromeo, in particolare, fu suo protettore ed estimatore, tanto da aver mantenuto i rapporti anche a distanza, dopo la partenza dell’artista. Così ne parlava, in un passaggio di un manoscritto, mostrando tutta la sua ammirazione per quel genio così profondamente sedotto dallo spettacolo del creato: “Brughel, pittore che sta in casa mia, domandandogli chi era stato suo mastro nell’arte, rispose: Signore la natura, dalla quale io imparo ogni dì. Era il vero, egli stava come attonito sempre rimirando le cose, per esprimerle in pittura di qui naque l’eccellenza sua”.

Il nuovo allestimento alla Pinacoteca Ambrosiana
In occasione dei quattrocento anni dalla comparsa dell’artista, la Pinacoteca Ambrosiana, fondata da Federico Borromeo nel 1618 all’interno della Veneranda Biblioteca (più antica di 11 anni), riaccende i riflettori sul tesoro fiammingo custodito in una delle sale, la numero 7. E lo fa con un riallestimento, presentato il 12 giugno e realizzato grazie al sostegno di Intesa Sampaolo, su progetto dall’arch. Alessandro Colombo. Nuova disposizione delle opere, nuovi dettagli d’arredo e un dispositivo multimediale progettato da Black Srl con Limiteazero per offrire al pubblico un’esperienza conoscitiva supplementare: dedicata proprio al rapporto tra Bruegel e Borromeo, l’installazione affida a tre schermi interattivi la riproduzione ad altissima qualità dei dipinti, evidenziando e valorizzando grazie alla tecnologia i minuti dettagli iconografici, di cui i fiamminghi furono straordinari maestri.
Sono 32 i capolavori che trovano così un nuovo assetto, fra tele, smalti su avorio, oli su rame e su vetro. Tutte opere collezionate dal Cardinale, sia in gioventù, quando viveva a Roma, che durante il suo ministero milanese. La collezione è stata dunque dislocata a parete secondo criteri nuovi, raggruppando i dipinti per autore e non più per contesto: una scelta che punta a semplificare la narrazione e a valorizzare le singole figure in modo più incisivo. Studiato in accordo con la tavolozza dei quadri è il blu zaffiro scelto per la stanza, tonalità magnetica, preziosa, che avvolge il visitatore e insieme valorizza le immagini, elegantemente abbinato anche al mogano del parquet.
Le opere fiamminghe nella collezione dell’Ambrosiana
Sono diversi in capolavori di questa pregiata collezione, tra cui la strepitosa acquasantiera in argento sbalzato, usata da Borromeo, realizzata da Jan Brueghel con Girolamo Marchesini e Giovanni Battista Turati tra il 1606 e il 1607: un oggetto d’oreficeria accuratamente cesellato, caratterizzato da sei miniature ovali dipinte e da decorazioni di fiori, frutti, volute, con una testa di cherubino sulla sommità e con coppie di angioletti inserite ai lati delle micro pitture.
Della Veduta marina di Paul Bril (1611) il Cardinale era particolarmente invaghito, tanto da considerarla (come si legge nell’atto di donazione del 1618) tra le “più belle cose, ch’egli habbia mai fatto”. Un’pera dai timbri autunnali, melanconici, in cui il paesaggio sfuma verso l’orizzonte, tra relitti di navi arenate, banchi di nuvole cupe e il mare incorniciato a destra dalla vegetazione in ombra e a sinistra da una serie di promontori sormontati da roccaforti. “Vi si scorge il mare in una veduta tanto serena, tranquilla e distesa – scrive ancora Borromeo nel suo Musaeum (1625) – che chiunque volga in tale direzione gli occhi, crede di percorrere quegli spazi marini sia con lo sguardo sia col passo”.
Tra le opere di Jan Brueghel incantano l’Allegoria del fuoco (1608) e l’Allegoria dell’acqua (1614). La prima è la rappresentazione visionaria di un luogo infernale, un’officina gigantesca, brulicante di oggetti e di personaggi, con un sontuoso lampadario che campeggia al centro; all’interno si realizzano cristallerie, armature, utensili domestici e artigianali, nella frenesia produttiva di un luogo fantastico, sprofondato nella penombra. L’altro è un esterno, un paesaggio radioso in cui fauna e flora adornano uno scorcio d’azzurro, tra cascate, correnti, specchi d’acqua in lontananza, e un arcobaleno che sigilla il cielo chiarissimo.
Le due opere facevano parte di una serie di quattro dipinti a tema cosmologico, dedicati agli elementi di Empedocle e considerati da Borromeo una raffigurazione della potenza della Natura, sommo capolavoro di Dio. L’Allegoria della Terra e l’Allegoria dell’Aria furono condotte a Parigi in epoca napoleonica e sono oggi conservati al Louvre.
Il Vaso di Fiori con gioiello, iconica tela di Jan Brueghel
Il Vaso di Fiori con gioiello, monete e conchiglie del 1606 è una tra le più celebri nature morte di Jan Brueghel. Il bouquet sfavillante, un trionfo di rossi, rosa, azzurri, gialli e bianchi, occupa l’intero campo visivo, a contrasto con il piccolo vaso in terracotta, assumendo la forza di un’esplosione cromatica su fondo blu scuro. Sono garofani, gigli, orchidee, rose, iris, narcisi, tulipani, e ancora decine di specie floreali, su cui si posano una farfalla, una libellula, un grillo, uno scarabeo, ben mimetizzati nell’intreccio di corolle, boccioli, petali e foglie. Sul tavolo si scorgono i piccoli oggetti elencati nel titolo e a tal proposito i biografi di Borromeo riportano un episodio singolare: se è documentato che il religioso pagasse l’artista con monete ma anche con oggetti preziosi, nel caso di quest’opera volle far stimare da un orafo il monile dipinto in basso a sinistra, così da corrispondere a Jan l’equivalente in denaro, come lauta ricompensa per l’eccellente lavoro.
Il desiderio di restituire i soggetti con massima precisione portò Bruegel anche lontano da Anversa, alla ricerca di specie rare da studiare. Una straordinaria resa realistica, lontana però da intenzioni naturalistiche e carica di valenze simboliche, morali e religiose, nell’evocazione di una Vanitas che, come monito perenne inscindibile dalla rigogliosa bellezza della natura, proprio in quegli anni e proprio in ambito fiammingo diventava fortunatissimo genere pittorico.
Helga Marsala
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