A Roma riapre la Casina del Salvi al Celio. L’aula studio più bella del mondo, ma la caffetteria è un’occasione persa
Nata proprio come coffe house della passeggiata archeologica ottocentesca sul colle del Celio, la Casina del Salvi rinasce nell’ambito del progetto che ha restituito alla città un parco pubblico nel cuore della Roma imperiale. Meriti e limiti dell’operazione

“Venite con me, vi faccio scoprire cos’è la bellezza, pubblica e gratuita”. Esordisce così, l’assessore alla Cultura di Roma, Massimiliano Smeriglio, nel presentare al pubblico social la riapertura della Casina del Salvi, all’interno del Parco Archeologico del Celio, che all’inizio del 2024 inaugurava restituendo a romani e turisti un angolo di città dimenticato, pur a breve distanza dal Colosseo e dai Fori.
La rinascita del Parco Archeologico del Celio a Roma
Parte del più ampio progetto di riqualificazione dell’area archeologica centrale (CArMe), affidato alla direzione di Walter Tocci e sostenuto con i fondi stanziati per il Giubileo e finanziamenti del PNRR per un investimento complessivo di 5 milioni di euro, il recupero del giardino archeologico posto nel settore nord-occidentale del colle del Celio si è tradotto nell’esposizione di materiali lapidei di età romana (epigrafi e reperti architettonici dalle collezioni dell’ex Antiquarium comunale) fruibili grazie a una passeggiata nel verde, e nell’allestimento del Museo della Forma Urbis all’interno dell’edificio inaugurato nel 1929 per ospitare la palestra della GIL. Con il merito di offrire un nuovo (ritrovato) parco pubblico alla città, aperto giornalmente dalle 7 alle 17.30 (fino alle 20 con l’ora legale).

Il restauro della Casina del Salvi al Parco Archeologico del Celio
E si attendeva, dunque, anche la restituzione della cosiddetta Casina del Salvi, palazzina edificata nell’area – a ridosso dei resti del tempio del Divo Claudio, ancora oggetto di una campagna di scavo – nel 1835, per volere di papa Gregorio XVI, proprio per servire la passeggiata archeologica (il Jardin du Capitole) allestita in età napoleonica, nel primo scorcio dell’Ottocento. L’edificio deve il suo nome all’architetto Gaspare Salvi, che lo progettò in stile neoclassico, ispirandosi alla coffee-house del Pincio disegnata dal Valadier. La Casina, sin dall’inizio, fu pensata come caffè e punto di ristoro per i fruitori della passeggiata panoramica; ma l’attività non decollò mai, risentendo del progressivo abbandono dell’area dalla fine dell’Ottocento in poi. Con i lavori di restauro e valorizzazione avviati da Roma Capitale sotto la direzione scientifica della Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, quindi, si è deciso di ripristinare la funzione originale del luogo, consentendogli per la prima volta di esprimere la sue potenzialità. Se non altro nelle (lodevoli) intenzioni.
La Casina del Salvi oggi: caffetteria e aula studio gratuita
Peccato che l’operazione sia stata condotta con poco coraggio e manifesti, nonostante il magnifico contesto di partenza, tutti i limiti di una gestione dei servizi museali (e affini) che a Roma sembra destinata a non evolversi mai.
La “nuova” Casina del Salvi – ora dotata di impianti e presidi per l’abbattimento delle barriere architettoniche – offre un punto ristoro con caffetteria al piano terra e nella terrazza esterna affacciata sul giardino archeologico, oltre a un’aula studio con 40 postazioni al primo piano, dove gratuitamente (7 giorni su 7, dalle 9 alle 19) si può usufruire di tavoli attrezzati per la ricarica dei dispositivi mobili, di connessione wi-fi e di spazi relax. L’inaugurazione dell’aula studio, nello specifico, fa parte del programma di creazione di nuovi spazi di pubblica lettura, dedicati ai cittadini romani e agli studenti, che stanno popolando diversi luoghi individuati dall’amministrazione capitolina, dal Museo di Roma di Palazzo Braschi alla Pelanda del Mattatoio, al MACRO, al Palazzo delle Esposizioni, al Mercato Trionfale, al centro culturale Ex Campari. Progetto, questo, indubbiamente illuminato e di grande utilità. Tanto più alla Casina del Salvi, dove le postazioni di studio godono di affacci invidiabili sul Colosseo.









Come si valorizzano gli spazi culturali? Una nota sui servizi al pubblico
Tutta questa bellezza, messa a disposizione dalla storia della città, non ci sembra però sufficiente a fronte di un allestimento che lascia a desiderare, dimesso nei contenuti – per quel che riguarda l’offerta di caffetteria e ristorazione – e nell’estetica che richiama ai bar di qualche ufficio ministeriale. E qui si arriva alla nota dolente. La “bellezza pubblica e gratuita” di cui parla l’assessore Smeriglio merita di essere valorizzata. Invece, come troppo spesso capita quando si tratta di scrivere le gare d’appalto per la concessione di servizi di ristorazione inerenti spazi culturali capitolini, la volontà di attrarre progetti innovativi, moderni, disegnati sulla qualità dell’offerta viene meno. Meglio puntare sull’usato sicuro, sebbene nel capitolato d’oneri (numerosissimi e scoraggianti) delle procedura di appalto promossa da Zetema per la Concessione del servizio di caffetteria e catering e organizzazione di eventi culturali presso la Casina del Salvi si menzioni tra i requisiti prioritari “una politica che coniughi l’alta qualità dei cibi e delle bevande offerte con l’immagine complessiva del contesto culturale in cui sono ubicati i locali oggetto di affidamento”.
Ad aggiudicarsi la concessione triennale, rinnovabile per un periodo massimo di ulteriori tre anni, è stata la società di catering e banqueting Relais Le Jardin, gruppo certamente solido e con esperienza pluridecennale nel settore dell’organizzazione di eventi (istituzionali e privati, spesso per committenti di prestigio). Una macchina da appalti in passato già vista all’opera al MAXXI, ai Musei Capitolini, alle Scuderie del Quirinale, all’Auditorium, alla Terrazza Caffarelli. Non una ventata di novità, insomma. Quindi nonostante il mondo della ristorazione sia evoluto in maniera significativa, si scrivono i bandi come si scrivevano 25 anni fa. E ovviamente li vincono i soggetti di 25 anni fa. Il risultato è una offerta datata e lontanissima dagli standard internazionali di questo genere di ambiti.
Una caffetteria in un posto stupendo dovrebbe essere stupenda, a partire dal cibo
E infatti il debutto della caffetteria-bistrot della Casina del Salvi prevede un’offerta senza guizzi per la colazione e una cucina che diremmo di impronta mediterranea e piuttosto anonima. In spazi di lavoro che, a onor del vero, prevedono solo un piccolo bancone bar e un ambiente laboratorio di supporto. Gli arredi, interni ed esterni, riflettono la stessa medietà dell’offerta: senza infamia e senza lode (nell’area studio sono decisamente tristanzuoli).
Si può ambire a qualcosa di più? In fatto di ristorazione museale, Roma continua a confermarsi una piazza difficile, nonostante l’esperienza precoce e apprezzata del fu Open Colonna al Palazzo delle Esposizioni. E il paragone con altre città (anche italiane) sarebbe impietoso: solo per citare un progetto di prossimo avvio, a Londra, il nuovo polo del Victoria & Museum (V&A East Storehouse) potrà contare sull’offerta di una delle bakery più all’avanguardia della città, e5. Ma è sufficiente ripescare recenti iniziative italiane – dal Bar Mosaico al Palazzo dei Musei di Modena all’osteria contemporanea Muro del Museo Ettore Fico di Torino – per capire che un’alternativa c’è. E anche nella Capitale qualche accettabile esperimento, come il Caffè Doria di Palazzo Pamphilj, potrebbe essere preso a modello.
Livia Montagnoli
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