Archeologia tecnologica. Al Museo Egizio di Torino

La mostra appena inaugurata a Torino rilegge la raccolta del Museo Egizio attraverso la combinazione di tecnologia e archeometria. Approfondendo la storia dei reperti.

Quello della “storia degli oggetti” è un topos assai frequentato dalla letteratura di ogni epoca: certe volte, i manufatti sono correlativi oggettivi portatori di nessi universali; spesso, invece, rappresentano uno stato psicologico del soggetto che li ha posseduti e vengono inseriti in una trama biografica precisa. In ogni caso è appurato che ogni oggetto, nel momento in cui lo si scruta, abbia il potere di raccontare qualcosa.
Nata dalla felice collaborazione tra archeologi e conservatori del Museo Egizio, studenti e insegnati della Scuola Holden e istituti di ricerca di tutto il mondo – dal Massachusetts Institute of Technology a realtà più prossime come il Centro Conservazione e Restauro di Venaria Reale di Torino, i Musei Vaticani e il CNR – e coordinata dall’egittologo a capo del Dipartimento collezioni e ricerca Enrico Ferraris, la mostra Archeologia Invisibile conduce l’osservatore all’interno di una narrazione che da una parte analizza e illustra i risultati di un processo di ricomposizione di informazioni, complice l’ambizioso progetto tecnologico al servizio della resa perfetta delle diverse fasi di vita del reperto e l’interazione con la chimica, la fisica e la radiologia; dall’altra, ammorbidisce l’esame con una commovente cronaca di oggetti che, in apparenza irrilevanti, con pochi tratti descrivono un’archeologia “di secondo grado”, profondamente quotidiana e perciò ancora più appassionante. Il ciclo delle vite vissute dai reperti nelle mani degli uomini di epoche prossime alla nostra apre la disciplina a una linea temporale inedita; l’approccio rimane scientifico, irreprensibile e preciso, ma l’iter avviene lungo un percorso battuto e familiare – un viaggio sentimentale delle solite nuovissime cose.

Screenshot tratto dallo sbendaggio virtuale (dettaglio) della mummia di Merit. Nuovo Regno, fine XVIII dinastia. Scavi Schiaparelli 1906 (Deir el-Medina, tomba di Kha e Merit). Courtesy IMA Solutions

Screenshot tratto dallo sbendaggio virtuale (dettaglio) della mummia di Merit. Nuovo Regno, fine XVIII dinastia. Scavi Schiaparelli 1906 (Deir el-Medina, tomba di Kha e Merit). Courtesy IMA Solutions

ARCHEOMETRIA E DIGITALE

L’archeometria – insieme delle tecniche adottate per studiare i materiali, i metodi di produzione e la storia conservativa dei reperti – rende così possibile “interrogare” gli oggetti, domandare chi siano davvero e perché oggi si trovino al Museo Egizio. La tecnologia aiuta cioè a documentare, con la massima precisione, lo scenario e il contesto degli scavi e a visualizzare gli “strati invisibili”, le diverse storie “intermedie” dalla creazione all’arrivo del reperto nel museo, permettendo di definire gli interventi di restauro. Un esempio è l’esame diagnostico del corredo funerario della Tomba di Kha (460 pezzi integri), vanto della collezione del Museo Egizio grazie al quale si sono compiute importanti scoperte sulla chimica dei colori, come quella del “blu egizio”, il primo colore sintetico prodotto nella storia dell’umanità. Ma anche lo studio delle stesse mummie di Kha e della sua sposa Merit ha rivelato, attraverso uno “sbendaggio virtuale”, ornamenti particolari come lo “scarabeo del cuore” – oggi visibile con la modellazione 3D.
Ma sono anche i metodi espositivi a venir reinterpretati e implementati dal contributo tecnologico: “Grazie al digitale” afferma Riccardo Antonino, ingegnere del cinema e dei mezzi di comunicazione del team di Robin Studio al quale si deve l’allestimento della mostra “l’oggetto può vivere su due piani contemporaneamente: quello fisico e materiale è quello del suo ghost, l’anima che viene a crearsi quando grazie alla rappresentazione digitale dei dati acquisiti con l’archeometria, tutti possiamo conoscere la sua storia. Non si troveranno in “Archeologia Invisibile” spettacolari pareti interattive o vetrine oleografiche galattiche, ma un uso misurato dell’animazione 3D per portare il visitatore in uno scavo, spiegare con un linguaggio divulgativo le radiografie neutroniche o per ricostruire il lavoro sapiente degli artigiani su un sarcofago. Il Museo Egizio pare sia avanti anni luce ed è un piacere lavorare con la loro giovane squadra, aperta a soluzioni creative differenti. Un esempio su tutti, l’uso del piano-sequenza e della narrativa a loop all’interno dei tanti contenuti audiovisivi della mostra è stato scelto per permettere al visitatore di seguire la narrazione arrivando nelle sale in qualunque momento”.

Archeologia Invisibile. Exhibition view at Museo Egizio, Torino 2019

Archeologia Invisibile. Exhibition view at Museo Egizio, Torino 2019

PAROLA AL DIRETTORE CHRISTIAN GRECO

Le collezioni museali sono spesso percepite come entità statiche, nascoste in un magazzino o intrappolate all’interno di vetrine. In questa mostra abbiamo cercato di concentrarci sulla storia dinamica della collezione museale mettendo in luce il ruolo fondamentale che gli artefatti hanno nel dare forma a un’ampia gamma di relazioni sociali. Nel trascorrere del tempo e dello spazio le interazioni fra questi oggetti e le persone e le istituzioni che li hanno prodotti, utilizzati, dimenticati, abbandonati, raccolti, acquistati ed esposti, hanno generato una complessa rete di interrelazioni culturali, materiali e sociali. Questo implica che non vi sia una contrapposizione statica soggetto-oggetto, ma una relazione dialettica in continuo divenire. Possiamo anche dire che gli oggetti sono dotati di una certa agency, parola inglese che definisce una categoria molto usata in archeologia e in antropologia per definire il ruolo dell’individuo nel promuovere il cambiamento. Non quella primaria cosciente tipica dell’intenzionalità umana, ma un’altra, attribuita loro dagli uomini. Vi è un fascino che gli artefatti esercitano su di noi, come ad esempio la loro durata, che ci pone a contatto con l’altro, il diverso da noi. Questo viene poi accresciuto dalla conoscenza. Potremmo affermare, di conseguenza, che l’agency degli artefatti è definita dalle loro caratteristiche intrinseche e dal modo in cui noi li percepiamo e immaginiamo. Questo progetto espositivo ci porta davvero alla scoperta della biografia degli oggetti e ci fa riflettere su come l’archeologo, l’antropologo, lo storico, il filosofo, il neuroscienziato, lo psicologo, lo scienziato sociale debbano lavorare fianco a fianco del chimico, del fisico, dell’esperto informatico per arrivare alla definizione di una nuova semantica che ci permetta di comprendere la complessità della realtà”.

Federica Maria Giallombardo

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Federica Maria Giallombardo

Federica Maria Giallombardo

Federica Maria Giallombardo nasce nel 1993. Consegue il diploma presso il Liceo Scientifico Tradizionale “A. Avogadro” (2012) e partecipa agli stage presso l’Assessorato alla Cultura della Provincia di Biella (2009-2012). Frequenta la Facoltà di Lettere Moderne presso l’Università degli Studi…

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