Il nuovo disastroso allestimento della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma
Lo storico dell’arte e critico Alberto Dambruoso commenta l’allestimento della GNAMC di Roma curato dalla direttrice Renata Cristina Mazzantini, non senza esclusione di colpi al progetto precedente presentato dalla predecessora Cristiana Collu
Erano in molti, un anno e mezzo fa, ad aver tirato un sospiro di sollievo dopo la nomina della nuova direttrice della GNAMC di Roma Renata Cristina Mazzantini. Peggio della conduzione di Cristiana Collu, con nessuna mostra di livello in sei anni e con un allestimento a dir poco creativo con sculture dell’Ottocento intente a guardare i quadri, si pensava, non si potesse giungere. E invece no, la nuova direttrice Mazzantini è riuscita nell’audace impresa di superarla. L’allestimento che nell’ultimo anno ha preso pian piano corpo è a assolutamente disastroso. A mio giudizio naturalmente.
L’allestimento della collezione alla GNAMC di Roma
Partiamo con ordine: nel salone centrale è rimasta l’eredità di Cristiana Collu con una quadreria dell’Ottocento che, per quanto possa essere bella nella sua visione d’insieme, a colpo d’occhio, non invita però a vedere le opere. A eccezione delle opere ad altezza uomo, cosa si riesce a capire di un dipinto 35 x 35 collocato a cinque – sei metri d’altezza? Praticamente niente. Occorrerebbe un cannocchiale. Non si capisce poi perché questa quadreria sia rimasta lì anche dopo la mostra sul Futurismo (Alberto Dambruoso avrebbe dovuto curare la mostra Il tempo del Futurismo, successivamente è stato escluso dal progetto. Qui gli articoli che ripercorrono la vicenda, ndr.) .

Un anno fa il mancato smantellamento della quadreria nel salone centrale era stato giustificato dal fatto che i dipinti dell’Ottocento introducevano alla mostra sul Futurismo. Lo spettatore avrebbe visto entrando alla Galleria Nazionale qual era la situazione artistica dell’Ottocento italiano e la decisa sterzata nel momento in cui i Futuristi danno inizio alla loro battaglia per svecchiare l’Italia artistica. Ci si può anche credere sebbene qualche dubbio rimanga. Anche perché ci sono altre sale che sono rimaste praticamente identiche a quelle della gestione Collu come, ad esempio, la cosiddetta Sala di Marte dove oltre ai monumentali quadri di Fattori e di Cammarano sulle guerre risorgimentali, sono ancora presenti il grande quadro Crocifissione di Guttuso e le sculture dei cani rabbiosi di Liliana Moro.

Le novità nell’allestimento alla GNAMC
Ciò che di nuovo si trova in questo ampio salone sono un’opera sanguinolenta di Renato Guttuso e una altrettanto mortifera di Aligi Sassu che vanno ad infarcire ancor di più una sala piena di retorica fin dalla conduzione Collu. Insomma, già stiamo vivendo un periodo di guerre che stanno facendo sprofondare l’umanità, non dico che il Museo non debba parlare anche di questi temi, ma credo ci sia modo e modo di affrontarli e, così facendo, invece di demonizzare la guerra, la si spettacolarizza.
Ma facciamo ora un passo indietro e torniamo al salone centrale. Se proseguiamo la nostra visita entrando dalla porta centrale che immette in un corridoio di passaggio tra le due ali del museo, troviamo ancora lì la famigerata installazione realizzata appositamente per la mostra sul Futurismo dal grafico con velleità d’artista Lorenzo Marini. Se aveva un minimo di senso prima, dato che anche questa era stata pensata come una sorta di introduzione alla mostra sul Futurismo, ora non si comprende il motivo della sua permanenza. È diventata un’opera stabile all’interno della Galleria Nazionale? Se così fosse evidentemente la direttrice Mazzantini preferisce lasciare in permanenza un’istallazione di un artista praticamente sconosciuto relegando invece nei magazzini della Galleria le opere di Gino De Dominicis e Robert Morris, artisti presenti nei manuali di storia dell’arte di tutto il mondo e che sono letteralmente spariti dopo il nuovo allestimento.

Il “Salone della guerra” alla Gnamc di Roma
Torniamo ora al Salone della guerra. Oltrepassando la porta a sinistra si accede alle nuove sale intitolate, con tanto di iscrizioni sopra gli stipiti delle porte, a Giacomo Balla e a Umberto Boccioni. Nella sala dedicata a Balla c’è al momento un solo quadro del maestro. Le altre opere sono tutte in mostra a Parma e quindi probabilmente una volta rientrate saranno allestite in questa sala. Che, a dire il vero, non è grandissima e mi domando come ci potranno stare tutte. Non era forse meglio dedicare a Balla una sala più ampia? Ma poi cosa ci fa un’opera di Boccioni nella sala di Balla? Soprattutto se Boccioni ha una sua sala adiacente con al momento tre opere esposte. Perché non è stata inserita qui e perché non sono state collocate le altre due opere di Boccioni della collezione GNAMC, una di queste tra l’altro esposta di recente alla mostra del Futurismo. Che senso ha dedicare una sala a Boccioni quando poi non si espongono tutte le sue opere in collezione? Ma d’altronde vedendo le titolazioni delle altre sale si comprende bene che non è stato adottato nessun tipo di criterio se non quello più provinciale possibile, ovvero di intitolare le sale a seconda dell’importanza del nome dell’artista.
Così nella sezione dedicata all’Arte Cinetica e Programmata, tendenza dell’arte dei primi Anni Sessanta principalmente italiana, troviamo il goffo nome di Sala Calder per via di un solo Mobile appeso sul soffitto, mentre nella sala allestita con le opere degli artisti della Scuola di Piazza del Popolo la dedica va a Andy Warhol presente con una sola opera in mezzo a tutti gli artisti italiani. Oppure succede che una sala venga dedicata ad esempio a Michetti, presente con tre opere quando nella stessa sala però sono presenti ben otto dipinti di Antonio Mancini e ti chiedi perché non il contrario.
La Sala dedicata a Isgrò alla Galleria Nazionale
Succede anche che una sala venga dedicata ad un artista vivente, Emilio Isgrò. Di solito si dedicano le sale ad artisti defunti. Fossi in Isgrò qualche gesto scaramantico lo farei.
Proseguendo il nostro percorso dalla Sala Boccioni si giunge in un corridoio in cui, a dire il vero, anche in passato le opere hanno sempre sofferto per la tipologia dello spazio, non essendo una vera e propria sala espositiva come le altre appena citate (vi è presente anche una grande vetrata che dà sul giardino). È proprio in questo punto che succede l’irreparabile, il più disastroso allestimento di un gruppo di opere che io abbia mai visto in vita mia: sotto una scala che immette in una porta che collega al piano rialzato, sono state collocate a sinistra e a destra, alcune opere di Duchamp donate alla Galleria da Arturo Schwarz. Uno scempio inaudito, una mancanza totale di rispetto per le opere e più in generale per la storia dell’arte. Come si fa sistemare in un sottoscala le opere di uno dei padri dell’arte contemporanea? La beffa sta anche nel fatto che è stata apposta l’iscrizione Sala Duchamp sopra lo stipite della porta che in teoria dovrebbe valorizzarlo. Forse chi ha apposto la scritta si è dimenticato di inserire una C perché avrebbe avuto più senso Scala Duchamp. Ma non è finita perché spostandoci nell’ala sinistra della Galleria altre sorprese ci attendono.

L’Arte Povera alla GNAMC
Per arrivarci occorre attraversare un lungo corridoio dove sono stati collocati il lungo tubo giallo di Eliseo Mattiacci che, essendo un’opera poverista doveva invece essere collocata nella sezione dell’Arte Povera, una scultura aerea di Loris Cecchini, tre sculture di Pietro Consagra, un’opera di Fabio Mauri, una di Sergio Lombardo e due sculture di Francesco Lo Savio.

Ora a parte Francesco Lo Savio, Fabio Mauri e Sergio Lombardo che provenivano dallo stesso ambiente della Scuola di Piazza del Popolo, tutti gli altri artisti non hanno nulla a che vedere tra di loro e la sola cosa che li tiene uniti è il genere rappresentato ovvero la scultura. Appare però oltraggioso intitolare questa sala a Consagra apponendo la scritta proprio sopra le opere di Lo Savio.

Giunti nella seconda ala della Galleria ci imbattiamo prima nella sala che, come già anticipato, è stata dedicata a Warhol, ma in realtà a eccezione del solo dipinto dell’artista americano sono presenti gli artisti romani della Scuola di Piazza del Popolo. Poi dopo aver oltrepassato la sala dedicata a Cy Twombly (grazie ad una donazione recente), si giunge al grande salone dedicato alle ricerche poveriste con opere di Pascali, Zorio, Pistoletto, Penone e altri protagonisti di quel decennio.
A Roma tra Ceroli e Pascali
A parte che anche qui non si capisce perché questa dovrebbe essere una sala solo dedicata a Pino Pascali quando sarebbe stato decisamente meglio dedicarla all’Arte Povera in generale di cui anche Pascali fu protagonista, rimane alquanto infelice l’accostamento tra l’opera di Penone e il Dinosauro di Pascali collocati vicino per via di un presunto richiamo formale e più in generale la collocazione di tutte le opere che sembrano buttate lì alla rinfusa. Lo spazio per quanto grande è ammassato da troppe opere con una distanza, tra l’altro, troppo ravvicinata. Grosso il rischio di inciampare in un baco da setola di Pascali.
In questi mesi è in corso una mostra di Mario Ceroli subito dopo la sala dell’Arte Povera. Si sviluppa in un percorso composto da sette sale espositive consecutive. Si pensa sia finita lì e invece no. Ad un certo punto proseguendo la visita alla Galleria si incontra, dopo il grande salone dove si trova la monumentale scultura di Canova Ercole e Lica, un’altra sala della mostra di Ceroli. Ma perché lì? Evidentemente non c’era più posto per inserire le opere nel percorso espositivo. Ma non era forse meglio rinunciarvi o ridurre il numero di opere per far rientrare anche queste nelle sale dove si sviluppa la mostra? Così com’è, è una sala senza senso perché tra l’altro le sale adiacenti sono dedicate ad artisti di fine Ottocento primi Novecento e lo spettatore rimane decisamente disorientato da questa mostra propinata a rate.
L’opera di Pirri e Canova alla Gnamc
Concludo questo resoconto sull’allestimento della Galleria Nazionale con il grande salone dove troneggia l’Ercole e Lica di Canova. La direttrice qui ha lasciato il compito di riallestire la sala, partendo dalla scultura neoclassica di Canova, ad Alfredo Pirri, artista contemporaneo di indiscusso valore. Pirri ha riproposto, l’installazione Passi che era stata collocata per la prima volta nel 2011 nell’anti salone della Galleria Nazionale. Con l’arrivo della direttrice Collu fu disallestita e ora con la nuova direttrice Mazzantini è stata recuperata e riadattata da Pirri nel grande salone del Canova. Pirri ha pensato di collocare la sua installazione calpestabile, composta da una superficie di specchi infranti, ai piedi della scultura del Canova ponendovi sopra una serie di sculture neoclassiche.
Questo riadattamento non convince per diversi motivi. Il primo è che tutta la sala assume un aspetto scenografico con le sculture che sembrano dialogare tra loro richiamando quelle presenti nell’allestimento della Collu e di cui non se ne sentiva la mancanza. Il secondo è che le persone che fruiscono dell’installazione fanno a gara per farsi i selfie tra le sculture e i riflessi specchianti del pavimento, il che non sembra del tutto rispettoso nei confronti del Canova e di quelle povere sculture collocate di fronte all’Ercole e Lica. Ma bisogna dire che questa è una forma di spettacolarizzazione della cultura che è diventata sempre di più una prassi in molti musei non solo italiani, volta ad attirare sempre più spettatori. Il terzo motivo risiede nel fatto che una sala così grande appare sprecata per ospitare solo 13 sculture compresa quella del Canova e l’installazione di Pirri, lasciando totalmente libere le quattro pareti che avrebbero potuto ospitare almeno una ventina di opere attualmente collocate nei magazzini. Se l’idea era quella di realizzare una sala dedicata al Neoclassicismo si potevano almeno inserire quei dipinti neoclassici presenti nel precedente allestimento e ora ammassati in un’unica sala assieme a grandi dipinti del Romanticismo italiano come i Vespri siciliani di Francesco Hayez in un insieme a dir poco opprimente.
Nuovo allestimento alla GNAMC di Roma. La mostra e le didascalie
Ancora, nello stesso settore espositivo viene intitolata a Morelli una sala che contiene un grande dipinto di Giuseppe Palizzi, a lato del quale però è stato collocato il busto ritratto di Filippo Palizzi, di cui la Galleria Nazionale possiede circa 300 dipinti, nessuno dei quali però presentato in questa sala! Un altro dei tanti nonsense di questo pasticcio.
Un aspetto non meno significativo che riguarda la fruizione delle opere è quello dell’illuminazione. In diverse sale espositive mancano uno o due fari che lasciano in ombra o in penombra diverse opere.
Rispetto all’allestimento precedente che, a onor del vero, Collu presentava nella forma di una mostra temporanea trasformatasi poi in permanente, non è stata fatta alcuna riflessone sulle didascalie delle opere: zero cartellini e stesso uso di adesivi prespaziati grigi, addirittura con lo stesso font grafico adottato all’epoca da Cristiana Collu, con la sola differenza di aver aggiunto qui la donazione. Dimostrazione, dunque, di nessuna riflessione su questo importante aspetto del museo e di non aver neppur seguito le direttive sugli standard minimi sulle didascalie stabilite dalla Direzione Generale Musei. Un aspetto questo che, se curato, avrebbe potuto marcare una netta differenza con la precedente Direzione.
Per quanto riguarda la didattica sono stati realizzati alcuni pannelli decisamente sintetici ma solo per alcune sale espositive. Non si capisce nemmeno qui il criterio adottato.
Ciò che emerge da questo nuovo allestimento è la mancanza di giudizio critico, una scarsa conoscenza della storia dell’arte e una misera considerazione per le opere. Per lo meno, rispetto a Collu, Mazzantini ha l’attenuante di essere un architetto.
Alberto Dambruoso
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