A Parigi c’è la più grande mostra sul Minimalismo mai realizzata in Europa
Da Agnes Martin a On Kawara, da Lee Ufan a Dan Flavin. Il Minimalismo raccontato dalla Collezione Pinault nella Bourse de Commerce, attraverso oltre 100 opere di una quarantina di grandi artisti, è globale e monumentale
“Minimal (Minimalismo, ndr). Cosa evoca esattamente questa parola? Il dizionario Oxford ci dice che può riferirsi, variamente, a: una definizione quantitativa (una quantità trascurabile); un tipo di arte caratterizzata da forme semplici o geometriche; un abbigliamento sobrio; una musica caratterizzata dalla ripetizione; o un termine legato alla linguistica. È interessante notare che, dai dati disponibili online, si può osservare come l’uso della parola ‘minimal’ nel tempo aumenti a partire dalla metà degli anni Sessanta, raggiungendo un crescendo tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta, per poi calare leggermente. Il punto più alto della curva richiama alla mente Donna Karan e Calvin Klein, il movimento del “minimal food”, l’architettura di John Pawson, il design d’interni minimalista, e i riferimenti a tutto ciò in film come 9½ Weeks (1986), girato in parte nel leggendario loft di Donald Judd in Spring Street. Ora che la frequenza d’uso del termine è tornata a livelli più vicini a quelli degli anni Settanta, ci si può chiedere cosa significhi per una nuova generazione questo insieme di riferimenti storici – dal Minimalismo artistico degli anni Sessanta al “minimal lifestyle” degli anni Novanta”. Così Jessica Morgan, direttrice della Dia Art Foundation di New York e curatrice dell’esposizione introduce l’esposizione in corso alla Bourse de Commerce.

La mostra Minimal alla Bourse de Commerce
Per Minimal Jessica Morgan ha selezionato oltre cento opere di circa quaranta artisti. Oltre alle stelle del movimento, come Dan Flavin, Donald Judd e Sol LeWitt, nuovi nomi apportando sfumature e persino sensualità a una forma d’arte spesso considerata fredda. L’approccio adottato è tematico: raggruppa le opere in base al medium e ai motivi ricorrenti in considerazione e di un principio per nulla indifferente. L’estetica minimalista è stata a lungo riferita ai soli Stati Uniti, ma a partire dagli Anni Sessanta, per due decenni, altre sperimentazioni hanno sfidato la narrazione tutta americana. È accaduto in Europa con movimenti come Zero in Germania o l’Arte Povera in Italia; in Giappone con gli artisti di Mono-ha; in Sud America, in Argentina e Messico ma soprattutto Brasile, con il gruppo dei neoconcreti. Le sette sezioni che compongono Minimal prevedono al centro della Rotunda grandi sculture costruite con materiali esclusivamente naturali dall’americana Meg Webster. Le ventiquattro bacheche che circondano la Rotunda ospitano la serie Today del giapponese On Kawara. Il piano inferiore, Light, ospita opere fatte di luce. Vengono poi le gallerie collettive dedicate al Materismo, alla Superfice, al Monocromo. Dare conto di tutto è un’impresa senza possibilità di successo. Proverò dunque a fissare l’attenzione sugli aspetti più particolari dell’esposizione.

La mostra di Lygia Pape alla Bourse de Commerce
Nella Galleria 2, in anticipo di un mese rispetto all’inaugurazione di Minimal, era già arrivata la mostra personale dedicata alla brasiliana Lygia Pape (Nova Friburgo, 1927 – Rio de Janeiro, 2004), pioniera di una pratica performativa strettamente legata a questioni sociali e politiche. È la prima personale di Pape in Francia e riunisce opere fondamentali della sua pratica, dalle prime incisioni astratte a una selezione dei suoi film sperimentali. Intitolata Tessere lo Spazio questa esposizione mette al centro un’installazione luminosa costruita con fili di rame tesi nello spazio, che prendono forma a seconda dell’angolo della luce proiettata e dei movimenti del pubblico. L’opera di Lygia Pape riflette il desiderio di creare una nuova forma di coinvolgimento per lo spettatore. Pape concepiva l’arte non come un oggetto finito e compiuto, ma come una presenza sensoriale che interagisce con la coscienza dei visitatori.
L’arte Mono-ha in mostra a Parigi
A un altro gruppo di artisti nichilisti quanto insofferenti a qualsiasi definizione è stato dedicato la spazio della Galleria 3. A loro è dedicato l’unico spazio assegnato a una categoria artistica specifica. Parallelamente all’arte minimalista occidentale, gli artisti del Mono-ha (“Scuola delle Cose”) in Giappone riuniscono materiali già esistenti in modi che ne esaltano le precarietà e richiamano l’attenzione sullo spazio espositivo e sulla percezione dello spettatore. L’installazione di Susumu Koshimizu è da questo unto di vista esemplare. Si tratta di tetraedri in bronzo che hanno le stesse dimensioni e lo stesso peso, pur assumendo forme diverse. Per Koshimizu, l’essenza del bronzo è più forte di qualsiasi forma che l’artista decida di applicargli. In questo modo contraddice il concetto aristotelico di “ilomorfismo” (secondo cui un artefatto è inteso come unione di materia e forma, e la forma decisa dall’artista ha la precedenza sulla materia). Il ricorso a una forma geometrica è anche un modo per mantenere a distanza ogni espressione soggettiva.

Ritratto di un collezionista
Questa esposizione nasce principalmente da una collezione privata costituita da oltre 10mila opere. È la più ampia esposizione mai realizzata in Europa su questo tema: tre quarti delle opere esposte provengono dalla collezione di François Pinault che per l’occasione ha accettato di cederne alcune con cui vive quotidianamente. È il caso, in particolare, di due tele dell’americana Agnes Martin, che sino ad ora non si erano mai state rimosse dalla sua camera da letto. Alla Bourse Agnes Martin, è l’unica artista a beneficiare di una sala monografica: il suo l’impegno per il principio di un linguaggio pittorico rigorosamente avverso ad ogni allusione figurativa insieme al carattere geometrico dei suoi dipinti, l’ha portata ad essere associata con il Minimalismo, anche se lei preferiva essere associata all’Espressionismo Astratto. Un’ultima precisazione: Minimal è un’esposizione “straordinaria” per almeno due motivi. Per la qualità la quantità e la disposizione delle opere come pure per l’audience della città che la ospita. L’ho vista la domenica pomeriggio dello scorso 18 ottobre con gli ambienti colmi sino al livello di guardia (quello superato il quale fermarsi anche solo qualche attimo davanti a un’opera diventa impossibile), mentre fuori sotto una pioggerellina leggera ma persistente, la coda resisteva indomita.
Aldo Premoli
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