A Venezia una mostra per riscoprire un valido pittore seicentesco
Dopo oltre cinquant’anni le Gallerie dell’Accademia di Venezia tornano sul Seicento con la prima mostra dedicata a Pietro Bellotti, finora relegato ai margini dalla critica, ma oggi finalmente rivalutato come artista di raro ingegno e abilità, dotato di ironia e sensibilità

L’artista bresciano Pietro Bellotti (Volciano, 1625 – Gargnano, 1700) è protagonista alle Gallerie dell’Accademia di Venezia di Stupore, realtà, enigma. Pietro Bellotti e la pittura del Seicento a Venezia, mostra a cura di Francesco Ceretti, Filippo Piazza e Michele Nicolaci.
Pittore non visto di buon occhio da Roberto Longhi che nel 1938 ne sottolinea con un certo sarcasmo la “diligenza necrofila alla fiamminga” ma la cui valutazione critica è destinata a virare al meglio, specialmente dopo l’esposizione bresciana del 2023 dedicata Giacomo Ceruti, “il Pitocchetto” in cui è stato presentato per la prima volta Popolani all’aperto. Il quadro, notevole per l’indubbia coerenza stilistica, provvidenzialmente acquistato del Ministero della Cultura per le Gallerie dell’Accademia di Venezia, ha portato a ripensare al suggestivo ed enigmatico pittore.

In occasione dei 400 anni dalla nascita Pietro Bellotti torna a essere protagonista a Venezia
Così, in occasione del quarto centenario della nascita i tempi sono apparsi maturi per riaccendere i riflettori sull’artista. La mostra persegue sostanzialmente due obiettivi: proporne una ricostruzione cronologica e coerente della parabola creativa, dall’esordio veneziano alla maturità lombarda; e avviare un dialogo tra le tele di Bellotti e quelle dei principali pittori attivi Venezia nello sfaccettato panorama figurativo del Seicento, un periodo affrontato dal museo l’ultima volta nel 1959.
L’intelligenza e l’ironia negli autoritratti di Bellotti alle Gallerie dell’Accademia
In coerenza con la carriera di Pietro Bellotti, iniziata a Venezia nel corso degli anni Quaranta del XVII Secolo, il progetto espositivo parte con i due autoritratti allegorici delle Gallerie dell’Accademia, Autoritratto come allegoria dello Stupore e degli Uffizi, Autoritratto in veste di Riso 1658 che rispecchiano il carattere fantasioso ed eccentrico del pittore.

Nel primo, una delle opere più note di Bellotti e tra gli autoritratti più originali del Seicento, il protagonista si dipinge a mezzo busto, in armatura, con gli occhi spalancati, le sopracciglia incurvate, le labbra serrate e piegate verso il basso. In una particolare espressione di stupore e comica incredulità. Opera che appare in voluto e ironico contrasto con la blasonata tradizione dei ritratti in armatura che trova vasto riscontro nella Venezia del Cinquecento, con opere di autori importanti da Sebastiano del Piombo a Savoldo.
Nel secondo autoritratto Bellotti si raffigura con un curioso copricapo color mattone ornato di pelliccia e la testa leggermente inclinata a destra mentre solleva un bicchiere rotto per un brindisi. Nella mano sinistra tiene una collana d’oro insieme ad una carta ripiegata a tromp l’œil con la scritta in corsivo «Hinc hilaritas / Petrus Bellotti / hic se ipsu[m] / effige.
La lezione di Giorgione e degli altri veneziani nell’opera di Pietro Bellotti
Altro soggetto che accredita Bellotti non solo tra gli artisti ma anche fra i collezionisti del tempo è quello delle parche. La mostra espone varie redazioni autografe rappresentate dalla Parca Lachesi di Stoccarda e dalla Parca Atropo di Budapest.

Nella religiosità greco-romana la parca Lachesi è colei che stabilisce la sorte di ogni essere srotolando il filo della vita. Nella tela di Stoccarda il virtuosismo pittorico di Bellotti risalta tanto nella configurazione dell’epidermide solcata dallo scorrere del tempo; quanto nella resa concreta nello sguardo magnetico e penetrante della donna. Forse una modella ripresa dal vivo. La capacità tecnica si innesta nell’abile composizione dell’immagine, corredo simbolico compreso: il fuso, lo scialle, l’ambientazione povera in opposizione. Creando un’atmosfera sospesa, tra immanenza e allegoria, che connota tutta la produzione veneziana di Bellotti. É stato fatto notare che in questo caso l’autore sembra voler rileggere la Vecchia di Giorgione. Citata più o meno apertamente, in un’altra parca, la Atropo di Budapest. Una tela importante che segna un cambiamento di stile nella grammatica pittorica dell’artista che attenua la meticolosa resa descrittiva, “alla fiamminga” tipica delle opere giovanili, “approdando a immagini di sintesi e pur sempre efficaci dal punto di vista della restituzione del dato di realtà”.
Esaurite le opere relative al periodo veneziano, la seconda parte della mostra si sofferma sul cambiamento di fronte, iconografico e stilistico, messo in atto da Bellotti nell’ultima fase della sua carriera, con suggestive ed emozionanti opere che rappresentano poveri, mendicanti e pellegrini.
Fausto Politino
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