Un albero per il mondo. L’intervista a Gian Maria Tosatti alla Biennale del Guatemala
Manca poco più di un mese all’apertura della 24esima edizione della Bienal de Arte Paiz in Guatemala, curata da Eugenio Viola. Con Gian Maria Tosatti, uno dei tre artisti italiani partecipanti, parliamo dell'opera che ha scelto di realizzare per l'occasione

Si inaugurerà il 4 e il 5 novembre 2025, a Città del Guatemala e in Antigua, la 24ª edizione della Bienal de Arte Paiz, la seconda biennale più antica dell’America Latina, dal titolo El árbol del mundo.
Sarà aperta al pubblico fino al 15 febbraio 2026. Sono quarantasei gli artisti invitati, tra i nomi più significativi della scena artistica internazionale: da Oscar Murillo ad Ana Gallardo, passando per Kader Attia e il Leone d’Argento Ali Cherri. Tra gli italiani figurano Diego Cibelli, Adji Dieye e Gian Maria Tosatti. Quest’ultimo ha fornito una serie di riflessioni sul progetto realizzato per questa occasione sui temi a lui cari e sul ruolo che può avere un artista nell’epoca contemporanea.
La Biennale del Guatemala. Un ponte tra continenti
Tosatti afferma: “Per un artista europeo, partecipare a una biennale in America Centrale significa confrontarsi con un ecosistema artistico e sociale profondamente diverso, ma sorprendentemente affine sul piano della tensione poetica e delle urgenze”. Le installazioni di Tosatti, da sempre legate al contesto e alla memoria collettiva, trovano qui un terreno particolarmente fertile.

Gian Maria Tosatti in Guatemala. Un ritorno con Eugenio Viola
La curatela della Biennale di Arte Paiz è affidata a Eugenio Viola, già curatore del Padiglione Italia alla Biennale di Venezia 2022. Si rinnova così una collaborazione intensa, che Tosatti descrive come un’occasione per reinventare il dialogo tra arte e società — questa volta in un contesto storico e geografico radicalmente diverso e precisa: “Il mio lavoro si svolge ormai da anni attraverso la permanenza e lo studio di luoghi e comunità. È stato così anche per la Repubblica del Guatemala, un Paese che ha un ruolo chiave nella storia moderna, un territorio che mi ha accolto e in cui ho lavorato per un intero anno per costruire il percorso che mi portasse verso l’opera che lì esporrò”. L’artista racconta di aver vissuto in hotel frequentati dalle fasce più fragili della popolazione, di aver raccolto storie di abusi e sogni, di essersi immerso nella realtà cruda e poetica del Guatemala. “Mi sono perso lungo statali costeggiate da cani randagi in decomposizione, che nessuno rimuove. Ho allagato i miei occhi di quei paesaggi che restituiscono la temperatura di un luogo in cui la violenza, spesso, è vista come ineluttabile. Poi ho cercato – come Alvaro Mutis avrebbe detto – l’ultima goccia di splendore. Forse basta quella per non far seccare l’albero del mondo”.

Gian Maria Tosatti e la scelta di un dipinto
Tra i principali interpreti dell’arte ambientale a livello italiano e internazionale – assieme a Gregor Schneider, Christoph Büchel e Mike Nelson – ad Antigua e Guatemala City Tosatti presenterà un dipinto, scegliendo la forma plastica più essenziale per esprimere un sentimento del tempo presente che spera arrivi al cuore con urgenza.
“La pittura – l’arte più antica – è quella che può tradurre meglio la sinfonia drammatica di voci, lacrime e speranze, che riecheggia in questa terra di genocidi, stupri e colonialismo feroce, ma anche di sogni e coraggio”, afferma l’artista romano. L’opera nasce da due viaggi di ricerca, in cui Tosatti ha raccolto le confessioni di altri artisti e comuni lavoratori: “Alcune tessitrici mi hanno detto un giorno una frase che mi ha fatto riflettere molto: ‘I tessuti sono la letteratura del nostro Paese’. Queste donne, segnate spesso da vicende di violenza e sofferenza, sono testimoni di una storia collettiva: quella di un Paese devastato dal genocidio dei Maya, dal neocolonialismo delle multinazionali americane e dalla guerra civile conclusasi solo trent’anni fa”. Oggi, il Guatemala è conosciuto principalmente come esportatore di caffè e banane, colture non indigene introdotte dalle compagnie statunitensi che hanno distrutto gli ecosistemi locali. Già dal Cinquecento, invece, il Paese era rinomato per la produzione di pigmenti, come l’indaco (il colore che si usava per dipingere il velo della Vergine), esportato internazionalmente a Venezia e Madrid. Ed è su questo legame profondo tra le due culture – attraverso la storia della pittura italiana moderna e dell’arte tessile guatemalteca – che Tosatti ha iniziato a concepire il suo lavoro. In esso, ci dice l’artista, è registrato però anche il prosieguo di quella storia: l’introduzione ottocentesca delle piantagioni per la produzione globale di frutta, che ha spezzato quel legame culturale trasformando una tradizione agricola familiare in una diffusa condizione di schiavitù, assoggettata ai capitali stranieri.
Il lavoro pittorico di Tosatti fa confluire questi elementi in un dipinto che, nella sua materialità, cerca di condensare l’intensità emotiva di questa ricerca e rendere visibile una traccia di speranza.
Una biennale come gesto poetico-politico
In un panorama saturo di eventi artistici internazionali, la Bienal de Arte Paiz — che quest’anno si presenta con progetti e artisti particolarmente ambiziosi — conserva una scala intima e un legame forte con la società locale: fattori che la rendono unica. La partecipazione di Tosatti a questa Biennale va oltre la semplice presenza artistica: è un gesto poetico e politico, una riflessione sull’identità europea in dialogo con le urgenze del Sud globale. Le storie individuali raccolte nel suo lavoro si fanno collettive, restituendo voce a ciò che spesso viene escluso o taciuto. “Viola ha riunito artisti che in molti casi si conoscevano già, alcuni dei quali avevano anche collaborato in passato. Questo ha dato vita a un progetto corale, nato ben prima di questa occasione, e reso possibile da un curatore che ha saputo creare connessioni reali tra noi. Penso al mio rapporto con Murillo, con Gallardo e all’amicizia con Igor Grubić”. Tosatti incarna una figura rara: quella dell’artista-sciamano, capace non solo di rappresentare il dolore, ma di trasfigurarne il senso, trasformandolo in memoria viva e in possibilità di cambiamento. La sua arte diventa cura e visione, un atto estetico-politico che scava nell’oscurità per cercarvi un seme di giustizia, un raggio di luce capace di far crescere un albero che appartiene a tutti.
Tommaso Villani
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