Le opere del grande gallerista Sperone donate all’Accademia di San Luca di Roma (c’è anche la mostra)

Il gallerista torinese è anche un instancabile collezionista d’arte d’ogni epoca, come già rivelato da una grande mostra al MART nel 2023. Ora dona 33 opere allo storico istituto romano, che gli dedicherà uno spazio permanente in autunno. Intanto, fino al 7 giugno, si visita la mostra “Nel segno di Giano”

Roma come Itaca, un approdo che sa di ritorno a casa. Davanti alle opere che ha appena donato all’Accademia di San Luca – una collezione eterogenea di 29 dipinti di celebri autori del Sei e Settecento, 2 dipinti del primo Novecento e 2 lavori contemporanei – Gian Enzo Sperone, torinese classe 1939, si immagina come novello Ulisse, partito per conquistare Troia (New York) “senza mai riuscirci”, e ora felice di ritrovare un legame con la città che per oltre 30 anni, dal 1971 al 2004, ha ospitato una sede della sua galleria. Mentre indugia sull’uno o l’altro dipinto, con gli occhi che si illuminano al ricordo delle peripezie sperimentate per ottenerli, raccontando per ciascuno un aneddoto, evidenziando connessioni invisibili – “ci sono fili segreti che legano le cose d’arte, subito non li vedi”, sottolinea da vorace e insaziabile cercatore d’arte qual è – rivela un poco di sé, della sua “scellerata” (definizione sua) attitudine al collezionismo, del suo rapporto con la bellezza.

Gian Enzo Sperone
Gian Enzo Sperone

Gian Enzo Sperone: gallerista e collezionista

Il gallerista e mercante torinese ha vissuto intensamente il mondo dell’arte dagli Anni Sessanta a oggi: gli inizi da tirocinante nella galleria Galatea di Mario Tazzoli, nel 1961, poi la direzione de Il Punto e le prime aperture verso l’America, anche grazie alla mediazione della gallerista Ileana Sonnabend; la prima galleria in proprio, sempre a Torino, nel 1964. In Italia porta la nuova grande arte statunitense, e intanto si appassiona alle avanguardie più innovative, indagando nelle tendenze contemporanee. Amico degli artisti e frequentatore dei circoli intellettuali europei e americani, sempre in viaggio tra l’Italia e gli Stati Uniti, nel 1972 porta la sua galleria anche a New York (un anno dopo l’apertura della sede romana): sarà tra i fautori del successo internazionale dell’Arte Povera e della Transavanguardia.
In parallelo, però, corre la smania del collezionista, attività assidua e prolifica, omaggiata nel 2023 dalla mostra al MART di Rovereto curata da Vittorio Sgarbi, che espose 400 opere, databili tra il XIV secolo e oggi, della sconfinata collezione di Sperone: “Mi sono sempre considerato un raccoglitore seriale, Sgarbi mi ha sdoganato come collezionista”.

La donazione di Gian Enzo Sperone all’Accademia di San Luca

Ora la donazione Sperone, che si configura come il lascito più importante giunto all’Accademia di San Luca dal 1934 (anno in cui il barone Michele Lazzaroni lasciò in eredità all’istituto romano 10 quadri della sua collezione), offre un’opportunità ulteriore per scoprire la propensione al collezionismo del gallerista torinese. A precederne l’ufficializzazione, nelle scorse settimane, è montata una polemica alimentata da un’intervista che Sperone ha rilasciato alla Stampa, esprimendo rammarico per il disinteresse mostrato dalla sua città: “Sono torinese, avrei tanto voluto che queste opere fossero donate a Torino, la mia città, ed è per me questo un discorso molto doloroso”. Nel ricostruire i fatti a qualche anno di distanza dall’accaduto, il gallerista racconta oggi dell’impossibilità di trovare un accordo nel 2016, facendo nomi e cognomi (la colpa sarebbe dell’allora direttore della Reggia di Venaria, cui Sperone avrebbe voluto donare le opere ora a Roma, Mario Turetta, reo di non aver colto l’occasione. Turetta, dal canto suo si difende paventando l’ipotesi di una querela per diffamazione: “Avevamo individuato gli spazi e una somma da destinare ai primi interventi per l’allestimento. Ma Sperone è tornato sui suoi passi, dicendo che i tempi non erano maturi”).
Eppure, mentre inaugura la mostra che l’Accademia di San Luca ha voluto dedicare alla donazione in attesa di destinare le opere a una nuova collocazione permanente, Sperone si mostra genuinamente emozionato di veder accolta parte della sua collezione in un contesto così prestigioso: “Questo è il coronamento della mia attività di collezionista, ogni volta che verrò a Roma mi sembrerà di venire a trovare dei figli miei. E molte persone potranno godere di queste opere”.

Carlo Maria Mariani, Costellazione del Leone, dettaglio
Carlo Maria Mariani, Costellazione del Leone, dettaglio

Le opere donate da Sperone all’Accademia di San Luca

Certo a Palazzo Carpegna il corpus donato da Sperone godrà di un ottimo trattamento: terminati i lavori di ristrutturazione in corso, la collezione sarà allestita nella cosiddetta manica lunga di Palazzo Carpegna, cui si accede tramite la rampa elicoidale di Borromini, al livello stradale di fronte al giardino su cui affaccia l’edificio che dal 1934 ospita l’Accademia degli artisti fondata nel 1593. L’idea, suggerita dallo stesso gallerista, è quella di allestirla come una quadreria antica, ma sarà reso noto solo il prossimo autunno.

Guercino, Sant'Andrea
Guercino, Sant’Andrea

La mostra “Nel segno di Giano”

Per ora, fino al 7 giugno 2025, le 33 opere sono in mostra (con accesso gratuito) nelle salette del pian terreno che si incontrano sulla sinistra del portale d’ingresso dell’Accademia. Nel segno di Giano, con riferimento al nome di battesimo del gallerista e insieme al dualismo di Giano bifronte, che guarda contemporaneamente al passato e al futuro proprio come lo Sperone collezionista, è il titolo dell’esposizione aperta da un confronto tra il Crepuscolo degli Idoli (1997) di Giulio Paolini – quota contemporanea della donazione insieme al monumentale disegno preparatorio della Costellazione del Leone di Carlo Maria Mariani, che nel 1980 riunì in una sorta di accademia all’antica le principali personalità del mondo dell’arte dell’epoca, Sperone compreso –  e la Natura morta melodrammatica (1923) di Filippo de Pisis.
Nelle sale successive si conferma la qualità di una selezione che per quanto eterogenea rivela la sensibilità di chi ha scelto di metterla insieme: “Non ho mai scelto un’opera per il nome dell’autore. Prima viene la bellezza della composizione, poi lo stato di conservazione. E solo alla fine l’autore. L’altra caratteristica che accomuna quasi tutte queste opere, è che non è stato facile reperirle, alcune le ho inseguite per anni. Anche in questo sta la sfida del collezionista”.  Si passa dunque dal Sant’Andrea Apostolo (1655-56) del Guercino al Ritratto di gentiluomo del Pitocchetto, dalla Maddalena Penitente (1598) del Cigoli – già nella collezione del Getty Museum di New York – al Democrito (1650-60) di Luca Giordano. E poi ancora, tra gli altri, il guizzante Crasso saccheggia il Tempio di Gerusalemme di Giovanni Antonio Guardi e il bel Ritratto di Antonio Canova (1819) eseguito da John Jackson, il Davide vince Golia (1680 ca.) di Giuseppe Nuvolone, il San Paolo (1635) di Bernardo Strozzi e il Ritratto di pittore di Fra Galgario.

Livia Montagnoli

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