Quell’installazione alla Stazione Tiburtina non vuole essere un’opera d’arte

Tra le realtà scelte da Fosbury Architecture per il Padiglione Italia alla Biennale Architettura 2023, Lemonot è la piattaforma per pratiche spaziali e relazionali cui si deve l’opera l’Oasi dei Golosi. Dopo l’articolo di Artribune, riceviamo e pubblichiamo la risposta

Gentile Luca Arnaudo,

Abbiamo letto con piacere il suo articolo sull’Oasi dei Golosi, pubblicato su Artribune il 30/09/2023. Aspettavamo infatti da tempo uno spunto di riflessione sulle dinamiche e sul metodo con cui l’Oasi dei Golosi è stata spostata dal piazzale antistante al Gazometro a quello della Stazione Tiburtina. Ci dispiace, però, che la questione sia soltanto sollevata in maniera piuttosto approssimativa, senza essere approfondita – nemmeno un po’. Le vicende da raccontare su tutto l’iter, quello che lei un po’ frettolosamente definisce un “pasticcio”, sarebbero molte; e per noi, che per la prima volta lavoravamo a Roma, sono anche sorprendenti.

L’installazione Oasi dei Golosi da Ostiense a Tiburtina

Ci dispiace che l’articolo sia impreciso: targa e QR code ci sono, basta affacciarsi dentro ai coni. Tuttavia, la targa recita una descrizione inesatta; anzi, una proiezione di quello che sarebbe potuto essere e che, dopo mesi, non è ancora stato completato.
L’Oasi – è vero – nasce come intervento site-specific in via del Commercio, ad Ostiense: quando si è deciso di ricollocarla nel piazzale Tiburtina, si è pensato anche ad una serie di accorgimenti per adattarla al nuovo contesto. Un adattamento che è tempestivamente cominciato, ma che si è poi arenato per ragioni che il suo articolo non coglie e sulle quali non sembra interessato ad interrogarsi. La genesi dell’opera pare al centro del suo testo, ma inspiegabilmente si rimanda soltanto ad un pezzo precedente apparso sul Manifesto. Sarebbe forse stato più appropriato consultare le fonti, i progettisti (Lemonot) e il Festival dell’Architettura di Roma (FAR) – promotore dell’opera ed interlocutore imprescindibile per i passaggi che la riguardano. I contatti ci sono tutti, accessibili proprio attraverso il QR code stampato sulla targa. Ci dispiace che l’articolo sia corredato soltanto da foto storte, anch’esse un po’ approssimative. Lei parla di photo opportunity a buon mercato: converrà dunque con noi che talvolta le foto, anziché documentare, corrono il rischio di trasformarsi in opportunities per avvalorare un bias

Lemonot
Lemonot

Una piccola architettura per abitare lo spazio pubblico

Ci dispiace che lei scriva di non volersi soffermare sul valore artistico dell’opera e sulla definizione di “spazi condivisi”, ma che poi, per articolare il suo ragionamento, la paragoni ad Ago, filo e nodo, a Milano di Oldenburg. Un paragone fuorviante, che confonde una scultura con una (piccola) architettura, raggruppandole in una categoria abbastanza generalista: quella dell’arte urbana. L’Oasi non ha alcuna velleità da opera d’arte: è prima di tutto un luogo da usare: utilizza forme giocose e un’estetica riconoscibile, declinate secondo considerazioni di tipo architettonico e di comportamento climatico, nel tentativo di costruire un riparo permeabile, in connessione con l’intorno. Un tentativo che, in maniera del tutto legittima, può essere giudicato, da tutti, più o meno riuscito. Ma che, almeno per ora, è stato mistericamente mozzato da un rapporto complesso con l’amministrazione, che spesso si trova sprovvista di alcuni strumenti essenziali per portare fino in fondo, in modo virtuoso ed in tempi auspicabili, interventi di questo tipo nello spazio pubblico. 

Il dibattito dello spazio pubblico

Convinti che il tema meriti qualche riga in più e che non possa essere liquidato in modo così superficiale, ci faccia sapere se da parte sua vi è interesse ad approfondirlo. Potrebbe diventare un’opportunità per raccontarle meglio alcuni fatti e conseguentemente far luce su processi specifici, che, con urgenza, necessitano di maggiore supporto.

Cordialmente,
Sabrina Morreale e Lorenzo Perri

https://www.lemonot.co.uk/

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Redazione

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