Gibellina è un’utopia. Una città viva che ispira gli artisti

Le critiche seguite alla ricostruzione di Gibellina dopo il terremoto del 1968 non si sono mai fermate, ma la città ha saputo trovare una nuova identità, nutrendosi d’arte. Il punto di vista di Arianna Catania, direttrice del Gibellina Photoroad Festival

Una città non si costruisce in venti o quarant’anni, si costruisce nei secoli”, mi disse Ludovico Corrao nel 2009. Sono passati 14 anni ma ne ho ancora un nitido ricordo. Era maggio e tutti avevamo impresse nella mente le immagini del terremoto de L’Aquila. Quel sisma mi aveva immediatamente riportato in Sicilia, terra in cui sono nata che, dal lontano 1693, ha assistito più volte al furioso tremore della terra. È come se noi siciliani questa “morte e trasfigurazione” l’avessimo nel nostro DNA collettivo. 
La rinascita dopo la tragedia è un mistero, in cui si mischiano dolore individuale e forza sociale. Dopo un terremoto sembra che la storia corra più veloce, davanti a un bivio in cui le comunità possono cambiare il proprio destino. 

Manifestazioni di protesta dei terremotati siciliani, Roma, marzo 1968. Photo Mario Cresci
Manifestazioni di protesta dei terremotati siciliani, Roma, marzo 1968. Photo Mario Cresci

Gibellina e la ricostruzione di un’identità

Corrao era forse l’unico siciliano che poteva risolvere questo enigma. Lui il terremoto l’aveva vissuto da sindaco nel 1968, nel Belice. Aveva guidato la battaglia per la ricostruzione, scegliendo di non riedificare la città rasa al suolo – alloggio di braccianti – ma di scendere a valle e trasformare l’identità collettiva con l’arte contemporanea. La ricostruzione di Gibellina è stata da sempre al centro di critiche. Come fa la gente a vivere in un paesaggio diverso da quello della propria memoria? Come si può passare da paese agricolo a città museo? Anche la ricostruzione, come il terremoto, è un atto violento, che lascia le sue vittime? 
Mi travolse l’ottimismo di Corrao in risposta ai miei dubbi: “Sono certo che un nuovo movimento popolerà la città. Abbiamo piantato i semi dell’arte. Ed essi fioriranno. Hanno solo bisogno di tempo”. Poi a chiarirmi le idee sono arrivati gli abitanti, innamorati della propria città, Gibellina: ho conosciuto il fabbro che forgiava le sculture di Arnaldo Pomodoro, le sarte che hanno cucito a mano I Prisenti di Alighiero Boetti, i muratori che hanno costruito La montagna di Sale di Mimmo Paladino, e altri.
L’arte a Gibellina è stata per anni un volano per l’economia locale. Ma non siamo in Friuli, dove i terremotati del ‘76 dicevano “Prima le fabbriche, poi le case, infine le chiese”. Siamo nell’estremo sud dell’Europa, nella Sicilia interna, allora appena lambita dalla modernità. Una fabbrica di braccia per l’emigrazione. Gibellina, fino a oggi, non ce l’ha fatta a uscire dalla marginalità: poteva cambiare la sua storia, ma non le gerarchie del mondo. E non potendo cambiare il mondo, Gibellina ha cambiato la sua identità

L’utopia di Gibellina 

Per anni, poi, non ho più pensato a Gibellina. Qualche tempo dopo – era il 2014 – sono tornata giù, in un pomeriggio assolato di luglio. E ho pensato che questa cittadina, così diversa da tutte le altre, era una città libera, dove si può tornare a essere umani. Una città senza cartelloni pubblicitari, insegne al neon, colori sgargianti. Dove lo sguardo non è bombardato né ingannato e può trovare riposo. Una città fatta di spazi utopici, che sono lì, da toccare e in cui perdersi e ritrovarsi. E mi sono subito sembrati luoghi “riprogettabili”, in attesa di nuove letture. Non c’è nulla di incompiuto qui, a differenza di quello che si legge talvolta sui giornali. Escluso l’imponente Teatro di Pietro Consagra. Certo, sarebbe remunerativo vederlo meta di turismo congressuale. Mi scusino i cantori della cultura come merce, delle magnifiche e progressive sorti della valorizzazione di ogni cosa, ma io lo amo così com’è, vuoto, nel suo monumentale Brutalismo. 
Gibellina è un museo a cielo aperto, ma cosa c’è di male se qui manca un centro commerciale o un cinema multisala? Non è un buco nero, però. Qui la vita c’è. Un luogo in cui l’opera d’arte si fonde con la città. Dove l’arte non è svago, ma fa vacillare le certezze. Da un’esposizione si esce scossi, non divertiti.
Non voglio dire che tutto va bene così com’è. Gibellina aspetta nuovi progetti e nuove energie. Ma sicuramente quel “movimento continuo” iniziato il 15 gennaio 1968 non si è mai interrotto; non si è mai fermata l’energia e la potenza creatrice che ispira gli artisti che vi posano il loro sguardo. 

Arianna Catania

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #73

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Arianna Catania

Arianna Catania

Direttore artistico di Gibellina PhotoRoad-Festival Internazionale Open Air & Site-specific, primo festival di arti visive “all’aperto” d’Italia. È anche photo editor, giornalista e curatrice indipendente. Scrive di fotografia e arte su varie riviste, tra cui Huffington Post Italia. Laureata in Scienze Politiche…

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