Napoleone e il mito di Roma in una mostra

Che cosa legava Napoleone al mito della classicità? La mostra allestita al Museo dei Fori Imperiali a Roma ripercorre la storia del condottiero attraverso questa chiave di lettura.

L’immagine di Napoleone a cavallo, grazie a Jacques-Louis David, per tutti è questa: destriero bianco, criniera bionda, animale impennato ma governato dal forte condottiero che, con mantello rosso gonfio di vento, attraversa imperioso il valico del San Bernardo per iniziare la sua campagna d’Italia. Ma è quel che accadde che lo trasformerà radicalmente. E quel che accadde dopo è proprio il tema della mostra Napoleone e il mito di Roma (a cura di Claudio Parisi Presicce, Massimiliano Munzi, Simone Pastor, Nicoletta Bernacchio), messa in scena, per celebrarne il bicentenario della morte, in un luogo magico che la esalta ‒ i Mercati di Traiano ‒ all’interno di un percorso pieno di salti, nessi storici e domande che ci raggiungono fin nell’attualità.

LA MOSTRA SU NAPOLEONE A ROMA

Tra prestiti e capolavori (per cominciare ci accoglie lo splendido bronzeo ritratto di Bruto Capitolino dagli occhi di avorio; sequenze del Napoléon di Abel Gance frammentate di sala in sala e di schermo in schermo; levigati neoclassici busti di Napoleone; curiosità come il Bonaparte a cavallo di un dromedario non meno eroico e non meno autorevole del generale immortalato da David), si scopre che il rapporto del Bonaparte con la romanità non fu esattamente lo stesso dei grandi condottieri (da Carlo Magno a Federico II) che si rispecchiavano in Giulio Cesare e nella gloria di Roma. Per lui fu piuttosto una strategia con tempistica precisa che lo accompagna dai tempi della rivoluzione fino all’Impero, dove le icone e la storia romana diventano un magazzino di simboli in continua evoluzione con il quale rafforzare e rendere eterna “la procellosa e trepida gioia d’un gran disegno” (per dirla con Manzoni) che da genio militare lo trasforma in deificato imperatore.
La classicità come stile di vita, dagli abiti impero all’urbanistica, dai codici di comportamento fino alla moda, questo vuole Napoleone: una romanità che penetri in ogni forma del suo governo e della nuova era che intende inaugurare. Ed ecco l’aquila vessillo del suo reggimento; la corona d’alloro che gli cinge la testa quando raggiunge il soglio imperiale nel ritratto ufficiale di Francois Gérard del 1805; la colonna di Place Vendôme ispirata fedelmente alla Colonna Traiana.

© Reunion des Musees Nationaux – Grand Palais. François Gérard, Napoleone con gli abiti dell’incoronazione, olio su tela, 1805 (Ajaccio, Palais Fesch-Musée des Beaux-Arts)

© Reunion des Musees Nationaux – Grand Palais. François Gérard, Napoleone con gli abiti dell’incoronazione, olio su tela, 1805 (Ajaccio, Palais Fesch-Musée des Beaux-Arts)

NAPOLEONE E VALADIER

I curatori spiegano che quel capolavoro narrativo e scultoreo che racconta come un kolossal la conquista della Dacia prima della campagna d’Italia era seminascosto, infossato all’altezza dell’antico livello della città, in una buca maleodorante e trascurata, vittima di quella distrazione tipica dei romani, viziati dall’eccesso di bellezza. Fu il Bonaparte a riconoscerne l’eccezionalità e a commissionare all’architetto Valadier una soluzione urbanistica che fosse degna corona di quella meraviglia. Valadier, come testimoniano i disegni del progetto in mostra, fu all’altezza della sua fama. Immaginò una piazza ogivale a ridosso delle roccaforti del Mercato di Traiano che sarebbe stata bellissima se Napoleone non fosse stato fermato dalla Storia e se nel cominciare i lavori non si fossero trovate le rovine della Basilica Ulpia. Tutto si fermò, come accade spesso in questa città dove il peso della memoria vince sullo slancio della visione.
Ma dobbiamo a lui anche l’idea di trasformare le rovine in parco, di portare il verde tra le strade, di accompagnare il fascino delle pietre con la bellezza del giardino.
Perché a Roma non piantate alberi?”, chiese un giorno a Canova, mentre Parigi sotto la sua guida si stava riempiendo di viali alberati. “Perché preferiamo piantare obelischi”, rispose l’artista. Forse l’aneddoto è pura leggenda, precisano i curatori, in una improvvisata conferenza stampa che trasformano in una corale lezione, nella tiepida mattina d’inverno, sul terrazzamento dei Mercati mentre lo sguardo vaga tra le rovine del Foro Traiano e sulla celebre colonna, immaginando con leggero rimpianto la bellissima piazza ogivale firmata Valadier & Bonaparte che ci avrebbe mentalmente collegato a Parigi.

‒ Alessandra Mammì

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