Lisson Gallery chiude a Milano dopo sei anni. Il mercato italiano non regge?

In un cerchio temporale, della durata di quasi sei anni, la succursale milanese della galleria, fondata da Nicholas Logsdail a Londra, chiude. Abbiamo domandato alla direttrice, Annette Hofmann, le motivazioni e i suoi progetti per il futuro.

Il 22 settembre 2016 Annette Hofmann aveva inaugurato una collettiva, Five / Fifty / Five hundred che suonava di buon auspicio per il futuro di Lisson Gallery a Milano. L’approdo della galleria britannica nel capoluogo lombardo nel settembre 2011 aveva rappresentato una vera e propria rivoluzione e sicuramente era stato uno degli eventi dell’anno. Successivamente, grazie ad artisti come Julian Opie, Ai Weiwei, Ryan Gander, Christian Jankowski, ma anche Angela de la Cruz, Haroon Mirza, Florian Pumhösl, John Latham, Shirazeh Houshiary, Richard Long e Spencer Finch la galleria affacciata sulla Casa degli Atellati e la Vigna di Leonardo ha celebrato i cinquant’anni della fondazione di Lisson Gallery (1967), una festa cui hanno partecipato anche gli spazi di Chelsea e quello sulla High Line a New York e naturalmente i due a Londra. Poi, però, dopo appena sei mesi, Lisson Gallery Milano, la prima “galleria straniera” dell’espansione Lisson, decide di chiudere, estendendo il finissage della mostra di Spencer Finch (19 giugno) fino a farlo sfumare in una chiusura definitiva. Concluso il contratto di affitto, la galleria non riaprirà. Annette Hofmann racconta perché.

Dopo quasi sei anni di programmazione fitta, che ha portato Kapoor, Finch, Herrera, Opie, Martin, Pumhösl –fra gli altri- in via Zenale e altrettanti anni di supporto diretto, ravvicinato, parallelo ad artisti in istituzioni italiane come Latham in Triennale e Wael Shawky a Castello di Rivoli -solo per citare due esempi- che cosa è cambiato nell’assetto di Lisson Gallery?

Abbiamo davvero cercato, in questi anni, grazie alle nostre mostre a Milano di avvicinare i nostri artisti alle istituzioni e ai musei italiani. Questo lavoro ci ha portato non solamente una grande soddisfazione, ma anche risultati importanti per il futuro. Continueremo a lavorare in questo modo, in Italia ed in tutto il mondo. Anche con la chiusura del nostro spazio espositivo rimane comunque un legame profondo ed attivo in Italia.

In Italia, stanno aprendo Thomas Dane a Napoli, Postmasters e Layr a Roma, Miro e Alberta Pane a Venezia, quali strategie, invece, lascia presentire il ritiro di Lisson Gallery dall’Italia?

Abbiamo compiuto un percorso di 6 anni molto importante per la galleria durante il quale abbiamo non solamente avuto la possibilità di dare ai nostri artisti più mostre nella prima sede fuori dal Regno Unito, ma anche di imparare a crescere in altri paesi. L’esperienza meravigliosa a Milano è stata fondamentale per darci questo coraggio. La galleria, come struttura, è molto cambiata in questi ultimi anni. Da 30 a 80 persone, da due a tre nuove sedi internazionali in così poco tempo. Il focus è adesso molto incentrato su New York, è qui che si richiede la concentrazione.

Fra gli artisti in scuderia a Lisson, l’unico italiano è Giulio Paolini. Durante l’apertura della galleria hai avuto maggiori possibilità di conoscere, ponderare, visitare e visionare la realtà di altri artisti italiani? Come l’hai trovata?

Ci sono tanti talenti italiani e proseguirò sicuramente la ricerca. Come International Director non potevo essere spesso in Italia, spero dunque di avere più tempo, in futuro, per girare l’Italia.

Con quale artista o quali artisti sei rimasta più legata, dopo le numerosissime soluzioni, le avventure, gli aneddoti che hanno trasformato la galleria, ad ogni mostra?

Lavoro da diciannove anni per la Lisson e sono cresciuta proprio attraverso e assieme a tanti nostri artisti. Siamo amici e come curatrice di decine di mostre della nostra sede milanese ho cercato di creare con loro, in stretto dialogo, un momento speciale di crescita. Per questo motivo ho voluto concludere la nostra presenza a Milano, come seguendo una sorta di cerchio ideale, completato da Spencer Finch e dalla sua ultima mostra. Una circonferenza che non ha inizio e non ha fine, di modo che l’energia creativa, o creatrice, possa permanere per sempre.

Come evolverà il tuo ruolo di International Director, all’interno di Lisson Gallery? Potresti anticipare alcuni dei progetti futuri?

A partire da questo luglio sono pronta a lavorare secondo le mie modalità e per me stessa. Ovviamente, lavorerò anche come Lisson Independent Consultant, seguendo i nostri collezionisti e rimanendo vicini ai nostri artisti. Sono contenta di avere, molto presto, maggiore libertà per dare vita ai miei progetti. Mi auguro di aver creato, in questi ultimi anni, mostre interessanti a Milano, che, forse, saranno ricordate anche in futuro.

-Ginevra Bria

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Ginevra Bria

Ginevra Bria

Ginevra Bria è critico d’arte e curatore di Isisuf – Istituto Internazionale di Studi sul Futurismo di Milano. È specializzata in arte contemporanea latinoamericana.

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