Senza abbandonare una causa, Renato Barilli (Bologna, 1935) ne sperimenta un’altra, posseduto da un amore che estraneo non è mai, il pennello. Questo strumento – ora “riemerso” – si insinua, con fare sciolto e dilatato, fra sé e il vero, e induce all’azione perché, come lui insegna, non bisogna mai lasciar nulla di intentato. Se chi osa lascia spazio alle critiche, Barilli va oltre, spalanca le porte e offre tutto il suo repertorio di dipinti a tempera in pasto a critici, interpreti, decifratori.La sua vita da militante critico e teorico (decathloneta in varie discipline, studioso che ha sempre battuto nello stesso tempo l’area del visivo e quella della narratologia) e quella di pittore viaggiano su binari paralleli, legate da sempre una all’altra.

PASSIONI INTERCONNESSE
Pure le tecniche si alleano, senza presunzione di monogamia: la pittura ricorre alla fotografia, senza disdegnare tablet e smartphone, per fissare il reale. Tutti i mezzi risorgono insieme per confluire in un’allusione del vero, senza combattimenti intorno a un’immagine, senza conflitti di ruolo o parole rivali.Non si tratta di oscillazione o costruzione del gusto, ma di un esordire sempre nuovo, di un ripetersi ogni volta differente, misurato da una rappresentazione che significa tutte le espressioni taciute per mezzo secolo. Tra i protagonisti, artisti e non, si ritrovano i ritratti dei bolognesi Cuoghi Corsello e, davanti a tutti, il principe Nino Migliori. Catturano la vita social e privata dell’autore gli omaggi pittorici a strade della città, altri luoghi, oggetti e interni domestici.
– Federica Bianconi