Dirigere una compagnia di danza tra arte e imprenditoria: intervista al coreografo Nyko Piscopo
Danzatore e coreografo, fondatore della compagnia di danza Cornelia, Nyko Piscopo è un artista profondo e sicuro di sé, creatore di un’estetica originale che combina tradizione e contemporaneo, spiccata teatralità e impegno sociale.

Cornelia è una compagnia di danza fondata nel 2019 a Napoli da Nyko Piscopo, Nicolas Grimaldi Capitello, Eleonora Greco, Leopoldo Guadagno e Francesco Russo, nel 2021 riceve dal Ministero della Cultura il riconoscimento di organismo di produzione della danza. A dirigerla è Nyko Piscopo (1986) brillante outsider dalla personalità intrisa di Sud, dal corpo etereo e dallo sguardo fiero. Non si riconosce in nessuna scuola o movimento, ha le idee chiare su cosa “non vuole diventare”, punta lontano restando nella sua terra e colleziona riconoscimenti e commissioni grazie all’indole stacanovista che accomuna lui e i membri del Team Cornelia.

Intervista a Nyko Piscopo
La creazione implica originalità e fedeltà a sé stessi, rompere gli schemi e veicolare un messaggio estetico, evocativo o anche narrativo. Come ti collochi nella vasta produzione artistica che caratterizza la danza contemporanea italiana?
Mi sento spesso un pesce fuor d’acqua per il mio linguaggio o comunque c’è chi fa di tutto per farmi sentire così. Sento un’ondata omologante Anni ’80 e ’90, come se fossi costretto a escludere una serie di caratteristiche o linguaggi per una sorta di fedeltà a un vecchio stile a cui devo aderire se voglio essere accettato e riconosciuto. Sembra che ci si debba sempre affiliare a un movimento, ma poi la parte più autentica di noi, quella che ci ha spinto a fare questo mestiere dove finisce?
E la risposta?
C’è spesso mancanza di identità e questo distrugge tutto. Ho scritto la tesi di laurea in Accademia sul termine contemporaneo: si è costantemente in un campo di ricerca aperto che può portare l’artista a perdere sé stesso e a seguire le mode e il flusso, io non sono così, amo creare qualcosa che sento essere unico, intimo e immediatamente riconoscibile. Cornelia ha la forza di sapere chi è, ha una forte personalità e non seguirà mai il flusso omologante che rassicura. In un mondo di copie sarò sempre me stesso. E finché i danzatori vogliono lavorare con me – e al momento è così – non ho bisogno di tradirmi.
Nella fase creativa le dinamiche sono diverse da coreografo a coreografo: c’è chi dà un input emotivo avviando una fase di improvvisazione che sarà poi strutturata e chi costruisce passo dopo passo lo spettacolo. Come strutturi la nascita di una nuova opera?
Durante la fase creativa voglio che si segua il mio intreccio, il mio linguaggio, ma accolgo le peculiarità di tutti. Devo trovare la forma giusta che rispetti il mio messaggio primitivo così come l’ho pensato senza interferenze e farlo arrivare al pubblico. Non amo l’idea secondo cui il danzatore fa il suo lavoro a prescindere dal coreografo, io devo e voglio esserci durante tutte le fasi, è tutto mio. Allo stesso tempo collaboro con tutti dalla musica ai costumi e faccio in modo che l’artista sia libero di esprimersi. Il suo valore, il suo contributo, sono fondamentali, ma la bozza è mia, poi loro possono metterci il proprio colore e da questo rispetto reciproco e da questa separazione dei ruoli nasce qualcosa di profondamente identitario.
Spesso la danza contemporanea italiana scivola verso il teatrodanza. La compagnia che guidi restituisce invece la totalità e l’organicità di una danza che sia al contempo profonda e virtuosa, teatrale e molto – appunto – danzata. Il valore di un corpo allenato e performante in Cornelia è evidente. Cosa viene richiesto a un danzatore che voglia lavorare con te?
Mi rende fiero riuscire a trasmettere ai danzatori l’importanza di un corpo agile, allenato, pronto ad accettare nuove sfide. Il virtuosismo del corpo è un valore da coltivare, ci credo profondamente ed è reso possibile da una costante preparazione fisica. La compagnia ha lezione tutti i giorni di classico alla sbarra, una tecnica consapevole, libera, funzionale al lavoro che ci aspetta, congiuntamente a ciò lavoriamo sull’introspezione e la capacità di esprimersi attraverso il gesto. Bisogna sentire il proprio corpo e spingerlo oltre in modo che sia al tempo stesso razionale e profondamente animale. La mia danza è il connubio tra l’atto scenico, quello performativo e la tecnica.
C’è qualcuno con cui ti piacerebbe collaborare?
Guardo molto ai miei colleghi e alla loro produzione, con alcuni mi piacerebbe collaborare, penso ad Andrea Costanzo Martini il cui lavoro è consapevole e mai banale, mai prevedibile. Emma Dante e l’insuperabile poetica, Pablo Girolamie l’uso surreale del corpo. Altri artisti mi hanno invece profondamente deluso come chi ormai da troppo tempo ripropone idee che – seppur belle – cavalcano l’onda di una costante ridicolizzazione del corpo che non solo trovo superato, ma ha finito per disturbarmi. Ma forse semplicemente non riescono più a superare sé stessi. O ancora chi fa sfacciatamente creare tutto agli interpreti che poi il più delle volte non sono neanche danzatori.
Hai negli occhi la passione di chi crede in un sogno e fa di tutto per realizzarlo. I tuoi danzatori hanno un ruolo attivo nel far conoscere Cornelia. Quanto lavoro c’è, quanta responsabilità, dove volete arrivare con la vostra tenacia?
Se hai una compagnia devi preservare il lavoro degli artisti e fare in modo che possano vivere della propria arte, ho il dovere di dare il massimo come creativo, ma anche come imprenditore in un certo senso e devo avere un team strutturato in cui ognuno abbia un ruolo in quanto a comunicazione, promozione, amministrazione e distribuzione.
Come si fa?
L’urgenza artistica deve andare di pari passo con il raggiungere più pubblico possibile, puntare a riempire i teatri e non adagiarmi con la spocchia di chi pensa di aver finito il proprio lavoro dopo la fase creativa. Un coreografo programmato in un’arena arriva dalle 2000 alle 6000 persone, è questo che voglio, è a questo che punto con tutto me stesso. Ho la responsabilità di una compagnia, che male c’è se voglio crescere, garantire lavoro, raccogliere i frutti di decenni di studi. È assurdo che in Italia ci siano ancora addetti ai lavori che non credono al potenziale economico della danza, bisogna che riconoscano ciò che può generare. Abbiamo dalla nostra parte un’arte senza barriere: la prosa ha il limite della parola, la danza e il corpo no. Manuela Barbato
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