A Matera va in scena l’“Humana vergogna”

Una riflessione sulla parola “vergogna” che comincia da un’analisi intima per essere poi condivisa, attraverso le parole e i corpi, in un atto di antagonismo e simbiosi allo stesso tempo. La performance nasce all’interno di un ampio progetto di ricerca e creazione, che ha coinvolto i detenuti della Casa Circondariale di Matera, le comunità artistiche, scientifiche e gruppi di cittadini tra Italia, Macedonia, Kosovo e Giappone attraverso laboratori, seminari, incontri e residenze artistiche.

La frase “vergogna nazionale” è quella che Palmiro Togliatti pronunciò cinquant’anni fa denunciando, all’Italia tutta, le condizioni disumane in cui vivevano gli abitanti di Matera dentro le anguste grotte dei Sassi. Già prima, Carlo Levi ne aveva descritto lo stato di povertà in una sua famosa inchiesta che portò quel luogo al centro dell’attenzione nazionale, e che così descrisse: “Nelle grotte dei Sassi si cela la capitale dei contadini, il cuore nascosto della loro antica civiltà. Chiunque veda i Sassi di Matera non può non restarne colpito tanto è espressiva e toccante la sua dolente bellezza”. Vennero dopo, a riscattarne la triste fama, Pier Paolo Pasolini col suo Vangelo secondo Matteo ambientando la vita e la passione di Gesù tra quelle pietre cariche di storia millenaria, e successivamente Mel Gibson con un’altra Passione di Cristo, rendendo a quel naturale set a cielo aperto la sua dignità e bellezza, e portando alla notorietà un luogo dell’Italia unico per bellezza paesaggistica e storica.
Oggi Matera, Patrimonio dell’Unesco, è diventata Capitale europea della cultura 2019. E quella parola, Vergogna, legata a temi civici e sociali di pertinenza europea, è diventata uno dei temi principali del programma culturale che animano per tutto l’anno la cittadina della Basilicata. Tra i 27 progetti che portano questo titolo, all’interno del più ampio e generale “La poetica della vergogna”, c’è lo spettacolo Humana vergogna scaturito da un percorso di azioni creative di diverse comunità artistiche di Macedonia, Kosovo, Montenegro, Giappone e Italia – e nello specifico #reteteatro41 alla quale fanno riferimento quattro compagnie lucane, Petra di Satriano, Gommalacca di Potenza, IAC di Matera e L’Albero di Melfi ‒, svolte nel 2018 e arrivate a una definizione performativa e drammaturgica grazie alla guida della coreografa Silvia Gribaudi e del regista Matteo Maffesanti (con la direzione artistica di Antonella Iallorenzi e il coordinamento di Franco Ungaro). Della Gribaudi sappiamo il suo percorso di ricerca sulla rivoluzione del “corpo libero”, mettendo al centro della scena corpi difformi rispetto alla convenzionale rappresentazione del danzatore. Un percorso d’indagine, il suo, che ha toccato il tema del rapporto tra l’invecchiare e l’azione coreografica, quello dell’identità di genere o quello debordante che si ribella alla gravità e mostra la sua levità (l’esemplare gioco virtuosistico, leggero e ironico, di Claudia Marsicano in R.OSA). Non poteva, quindi, non toccare a un’artista come lei affrontare il tema suddetto.

#reteteatro41, Humana vergogna. Photo Lia Zanda

#reteteatro41, Humana vergogna. Photo Lia Zanda

HUMANA VERGOGNA

Quali sono le nostre vergogne, personali e collettive, che teniamo nascoste, che ci bloccano, che il pudore, vero o falso, ci impedisce di mostrare? Quali le nostre paure, le fragilità, i nostri disagi davanti agli altri e a noi stessi? Nasce da queste e ben più ampie riflessioni lo spettacolo che ha trovato sede in fase di elaborazione e di messinscena nella Casa Circondariale di Matera, coinvolgendo in fase di riflessione anche i detenuti che risiedono in quel luogo di vulnerabilità. Autoironia, leggerezza, sarcasmo, uniti a una riflessione tematica – che forse avrebbe avuto bisogno, in termini di resa scenica, di una maggiore profondità -, sono gli elementi di questo cocktail pop, un frullato di energia in cui i corpi dei cinque performer ‒Mattia Giordano, Antonella Iallorenzi, Mariagrazia Nacci, Simona Spirovska ed Ema Tashiro ‒ si espongono senza imbarazzo sotto quella pelliccia da orso che funge da protezione ma che presto sarà smessa, liberandosi così del suo peso senza più il timore di mostrare obesità, imperfezioni e bellezze del proprio fisico, né di confessare davanti a tutti le proprie vergogne. Come quella di una donna di baciare un’altra donna, o dell’aver abortito; o la vergogna del diverso, della famiglia, del fallimento; o di sentirsi dire dalle persone: “Ma non ti vergogni ad abbracciare le persone essendo così grasso?”, e poi mostrare, vincendo i pregiudizi di chi denigra, tutta la fisicità debordante del corpo in una danza molleggiante da fermo. C’è anche il provare vergogna per il proprio Paese (come a Skopie, dove è consentito ai cittadini l’uccisione dei cani con vari metodi). E ciascuno potrebbe dire per il suo Paese quale cavia viene usata per eliminare qualcosa di fastidioso, come indica col dito puntato verso il pubblico la performer macedone.

#reteteatro41, Humana vergogna. Photo Lia Zanda

#reteteatro41, Humana vergogna. Photo Lia Zanda

LO SPETTACOLO

Tra luci al neon e stroboscopiche, musica barocca, sonorità rock e da discoteca, si susseguono incursioni fra gli spettatori per rassicurarli che tutto fa parte dello spettacolo, seguìto dal coinvolgimento di uno di essi per una stretta di mano, un abbraccio, e una citazione di Aristotele: “La vergogna ha casa negli occhi”. Tra il breve racconto di aneddoti autobiografici subito smentiti dalla frase: “Ma questa non è la mia storia”, e la spasmodica ricerca per acquisire migliaia di follower, si corre senza sosta, si danza scompostamente e si salta, dando consistenza gestuale e parlata allo scorrere dei titoli tematici ‒ Toccami, La mia memoria, Nazione, Scoreggiare, 80 Kg, Posso piangere? La bellezza, Shame parade ‒ che scorrono in proiezione. Tra passerelle e movenze da show televisivo, si ride e si piange, si scoreggia, ci si batte il petto, ci si trucca di lustrini luccicanti, ci si abbraccia, tutto nel segno di una liberazione, del sogno di poter vivere in un mondo libero da pregiudizi, dove la vergogna è trasformata in bellezza. E atto di bellezza può essere pure scrivere su un foglio di carta, anche noi spettatori chiamati infine in causa indossando delle corone di cartone in testa, la nostra principale vergogna; e poi, accartocciando la pagina anonima, gettare nello spazio della rappresentazione la risposta, unendola a quella del più vasto consorzio umano, accomunati da un sentimento universale. Anche a quello dei detenuti. Di essi, nel breve video a chiusura di spettacolo, vedremo alcuni volti sorridenti e ascolteremo le loro testimonianze per ricordarci che ci sono anche loro, che anche in quel luogo può esserci la bellezza, che lo spettacolo, di quel gioco teatrale, ha insegnato “a buttare via le vergogne”.

Giuseppe Distefano

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Giuseppe Distefano

Giuseppe Distefano

Critico di teatro e di danza, fotogiornalista e photoeditor, fotografo di scena, ad ogni spettacolo coltiva la necessità di raccontare ciò a cui assiste, narrare ciò che accade in scena cercando di fornire il più possibile gli elementi per coinvolgere…

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