Le spine (e i fiori) di Elfriede Jelinek. Per un festival lungo sei mesi
Un festival lungo sei mesi, dedicato a Elfriede Jelinek, scrittrice e drammaturga austriaca Premio Nobel per la letteratura nel 2004. Tredici città dell’Emilia Romagna, decine di istituzioni, artisti e luoghi diversi coinvolti. Una conversazione con la direttrice artistica Elena Di Gioia.
Elfriede Jelinek: puoi identificare tre motivi per cui il suo lavoro è interessante per il pubblico italiano, oggi?
Perché la sua scrittura è politica attraverso il linguaggio, che è il luogo dove si annidano le rappresentazioni. Per il potere che affida alle parole che definisce il ruolo dell’essere autori, autrici oggi. Perché consegna “spine”, appende questioni della contemporaneità e lascia i testi a sgocciolare significato. Non è facile superare lo scoglio della complessità dei testi. Richiede una sorta di discesa nelle miniere, e come lei ha dichiarato in un’intervista: “Nei romanzi ambientati nelle miniere, il suolo restituisce i suoi lavori”.
Sulla homepage del sito del festival è presentata un’opera di Claudio Parmiggiani. Perché?
Claudio Parmiggiani è un artista che stimo da molto tempo. A un certo punto, mentre ero immersa nelle scritture di Elfriede Jelinek, si è avvicinata l’opera e grazie alla sua disponibilità è stato possibile condividerla con il pubblico. Claudio Parmiggiani dice in un’intervista: “Siamo stranieri e straniera è sempre più la nostra lingua. Lingua assediata, sospinta via via nelle riserve […] lingua che è trincea, voce resistente, lingua orgogliosa, che non si arrende e che si oppone”.
Una lingua che getta con potenza visionaria un possibile ponte immaginifico verso la scrittura della Jelinek e le ferite del linguaggio. E racconta come, attraverso quelle parole, guardare la realtà. Quattro sue immagini e la sua “lingua orgogliosa” accompagnano il tragitto del festival.
Sfogliando il programma, salta agli occhi l’enorme quantità di artisti, istituzioni e luoghi coinvolti. Come ci sei riuscita?
Questo festival è il frutto di una convergenza di adesioni. È stato un lavoro lungo, minuzioso, e contiene tanti racconti, l’ammirazione per Elfriede Jelinek e per gli artisti coinvolti, l’idea che attraverso questo percorso si potesse creare anche un nuovo racconto nelle forme della progettazione culturale e teatrale.
Il festival per città, la città allargata sono discorsi in cui confluiscono riflessioni che da anni alimento, rispetto ai luoghi e alle forme della cultura e alla necessaria innovazione, che qui trovano espressione appieno. Per riprendere una parola che ricorre nei testi di Elfriede Jelinek è uno stück, un pezzo: di vita, e vale per molti.
Oltre al comune riferirsi alla stessa autrice, esiste qualche altro legame tra le molte proposte del festival?
Il progetto converge come un vortice intorno alle scritture di Elfriede Jelinek, sono tanti tasselli, tante “schegge di vetro” che compongono un centro molteplice d’indagine: le scritture di Elfriede Jelinek, dai romanzi ai testi teatrali, dai discorsi ad altri interventi, sfilano temi della nostra contemporaneità. Sono rintracciabili alcuni percorsi invisibili, tragitti nella sua opera, che pongono al centro il ruolo e la responsabilità della parola e della scrittura oggi, in un processo di sperimentazione linguistica.
Quali sono le maggiori difficoltà nel realizzare un progetto come questo, a parte quelle economiche e logistiche?
La difficoltà più grande è stata cominciare senza nessuna certezza: il piano ideale del progetto partiva ambizioso, con un ideale molto alto. Sono iniziati i primi incontri con l’associazione Tra un atto e l’Altro di Angela Malfitano e Francesca Mazza, che co-promuove il progetto assieme all’associazione Liberty. La tenacia ci ha accompagnato, sono nate le prime condivisioni con alcuni artisti che hanno reso possibile l’avvio del percorso e l’appoggio fondamentale della Regione Emilia Romagna, del Comune di Bologna, della Fondazione del Monte e di altri partner istituzionali.
Il possibile limite di un’autrice troppo poco conosciuta in Italia si è trasformato nella curiosità della scoperta. L’idea di una città allargata nella regione Emilia Romagna è stata apprezzata e sostenuta da teatri e festival. In una lettera a Elfriede Jelinek, scrissi “pensieri giganti su spalle piccole”, che mano a mano si sono allargate.
Puoi individuare tre sorprese che, finora, questo progetto ti ha portato?
La prima sorpresa, intesa come dono, deriva dal contatto personale con Elfriede Jelinek e dal dialogo a distanza con lei in questi anni. Avevamo bisogno che sapesse di questo desiderio che si andava nutrendo e costruendo. Lei ha visto trasformarsi il desiderio in progetto. Ha anche composto un testo appositamente per questo festival, e nel tragitto dalle pagine all’autrice, la sua vicinanza e generosità sono il dono che ci ha consegnato.
La seconda è appena iniziata: sono le opere. È una grande emozione poter vedere emergere i lavori degli artisti coinvolti e guardare come si crea e compone la grande arte del teatro, che trasforma le riflessioni in visioni e condivisioni con il pubblico.
La terza è la forma del progetto: una delle soddisfazioni personali più grandi che ho è vedere realizzato il piano ideale di partenza, grazie alla qualità dell’adesione dei tanti. Più che una sorpresa è stata la bella conferma di come si possa, intorno ad un progetto culturale importante, ricomporre un’idea di città e di teatro.
Michele Pascarella
http://festivalfocusjelinek.it/
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati