L’anno dei Green Day. Il trentennale di Dookie e il ventennale di America Idiot 

Quest’anno si celebrano gli anniversari dei due dischi più famosi della band statunitense punk rock che ha segnato l’immaginario degli Anni ’90 e primi 2000

Il 2024 è l’anno dei Green Day. O meglio l’anno delle loro celebrazioni. A febbraio cadranno infatti i 30 anni di Dookie (1994), mentre a settembre saranno passati 20 anni esatti da American Idiot (2004). Non si tratta soltanto dei loro due dischi più famosi, ma anche di quelli che rappresentano al meglio le due fasi principali della loro carriera: quella del punk rock adolescenziale più urgente e “cazzone” degli esordi da una parte e quella della maturità sonora allargata e più impegnata dal punto di vista sociale e politico dall’altra. 

Chi sono i Green Day 

Nel 1994 i Green Day erano tre giovani punk della Bay-Area di San Francisco che avevano scelto di dedicare il nome della band a una giornata di sballo con la marjuana e quello del loro primo disco Dookie con una major agli “attacchi di diarrea”: il titolo originale, infatti doveva essere “liquid dookie”, poi accorciato eliminando la parte liquida della “faccenda”. Incredibilmente il disco ebbe un successo enorme grazie a una serie di inni-adolescenziali che parlavano della masturbazione come metafora della solitudine (Longview), di attacchi di panico e salute mentale (Basket Case) e di scappare a vivere nei bassifondi (Welcome To Paradise). Quando nel 2004 uscì American Idiot i Green Day erano ormai un’istituzione del punk-rock – o del pop-punk come furono definiti loro malgrado – pertanto poterono permettersi di cambiare rotta, modificando il loro sound (meno punk e più rock da stadio) e convertendo i loro testi in duri attacchi di denuncia sociale, in particolare contro l’amministrazione Bush.  

Green Day, Saviors
Green Day, Saviors

Il nuovo album ‘Saviors’ 

Per celebrare al meglio questi due anniversari quest’anno i Green Day sono tornati sulle scene con un nuovo album intitolato ‘Saviors’ che si colloca esattamente a metà tra queste due stelle polari, rappresentandone al tempo stesso un riassunto e una perfetta prosecuzione. Due canzoni in particolare rappresentano al meglio i suoi filoni tematici principali: da una parte ci sono le canzoni più intime e personali come Dilemma, che affronta in maniera schietta e sincera il tema della dipendenza –I was sober, now I’m drunk again; dall’altra abbiamo i brani di critica sociale come The American Dream is Killing Me, che sfata il mito del sogno americano. Se le prime sono più vicine agli inni sulla frustrazione e la salute mentale di Dookie, le seconde costituiscono il punto di contatto più evidente con la critica sociale di American Idiot.  

Le canzoni del nuovo album dei Green Day 

La politica non viene mai tirata in ballo in maniera esplicita, ma The American Dream is Killing Me è indubbiamente un brano dalla forte valenza politica, le cui parole contengono diversi riferimenti, più o meno colti, alla caduta in disgrazia del sogno americano. C’è ad esempio un riferimento alle “huddled masses” (le masse accalcate) che viene direttamente dai versi della poesia di Emma Lazarus incisi sul piedistallo della Statua della Libertà: “Datemi i vostri affranti, i vostri poveri, le vostre masse accalcate che anelano a respirare libere, gli abbietti rifiutati delle vostre coste brulicanti. Mandatemi loro, i senzatetto, gli scossi dalle tempeste, e io solleverò la mia fiaccola accanto alla porta dorata”. Ma invece di dar loro rifugio le strade americane cantate dei Green Day brulicano di disperati e senzatetto costretti a vivere sotto i ponti tra i vetri rotti (People on the street / unemployed and obsolete – Under the overpass / Sleepin’ in broken glass). 

Green Day, Billie Joe Armstrong. Photo Sven Sebastian Sajak
Green Day, Billie Joe Armstrong. Photo Sven Sebastian Sajak

I Green Day non vogliono salvare nessuno 

Un altro colpo al patriottismo americano è dato dall’uso del famoso motto “From sea to shinin’ sea”, usato per la prima volta dall’ 11° Presidente americano James K. Polk nel 1845 per “giustificare” l’espansionismo territoriale da un oceano all’altro. La frase venne poi integrata in una poesia di Katharine Lee Bates del 1895, intitolata America The Beautiful e divenne infine una canzone, ancora oggi cantata come uno degli inni patriottici statunitensi più accorati. Peccato che i Green Day l’associno al concetto di “whitewash”, che nel caso specifico si riferisce al massacro degli Indiani d’America venduto alla storia come una grande marcia verso la libertà. È importante notare che a dispetto del titolo del disco, i Green Day sono ben lungi dal presentarsi come i salvatori della patria. Può sembrare una sottigliezza, ma la parola ‘Saviors’ sulla copertina del disco è messa tra apici.  

Il parallelismo con David Bowie 

Non si tratta semplicemente di un vezzo tipografico, ma di una questione di forma che diventa sostanza: nel 1977 David Bowie inserì le virgolette nel titolo del suo dodicesimo album in studio “Heroes”, dichiarando a Charles Shaar Murray dell’NME che erano lì per “indicare una dimensione di ironia sulla parola ‘eroi’ o sull’intero concetto di eroismo“. La stessa logica viene qui applicata dai Green Day al concetto di “salvatori”, difficili da riconoscere perché oggi viviamo davvero “giorni strani”, lo affermano prima in Dilemma (Strange days are here again) e lo ribadiscono poi in Strange Days Are Here To Stay, dove dicono anche che “da quando Bowie è morto non è stato più lo stesso“. Non si tratta di una scelta casuale perché Bowie è morto nel 2016, l’anno in cui Trump ha vinto le elezioni negli Stati Uniti e gli inglesi hanno votato la Brexit, due eventi che hanno sicuramente contribuito a gettare il mondo moderno ancora più nel caos: Siamo all’inferno? O è solo una fantasia.  

Le copertine dei dischi dei Green Day 

All’alba dei loro 50 anni i Green Day sono più maturi, ma paradossalmente si sentono ancora più spaesati di prima, quando erano soltanto tre giovani punk ribelli della Bay-Area. Lo si capisce anche confrontando più da vicino le copertine dei dischi finora chiamati in causa, che in qualche modo sembrano essere legate da un filo rosso invisibile. Se su Dookie avevamo la visione fumettistica di un bombardamento di merda a tappeto, ad opera dell’artista Richie Bucher, su American Idiot le cose si facevano “più serie” con la stilizzazione di una bomba a mano a forma di cuore sanguinante. La copertina di ‘Saviors’ prosegue il discorso mostrando l’immagine di un’esplosione reale: si tratta di una foto scattata durante una rivolta a Belfast Ovest nel 1978 dal fotografo Chris Steele-Perkins. L’immagine ritrae un ragazzino sorridente accanto a un’auto in fiamme con in mano un sasso e le braccia aperte in un’alzata di spalle che sembra dire “è andato tutto in malora, che altro possiamo fare?”. Non ci sono più eroi, né salvatori. I Green Day del 2024 ne sono consapevoli e con questo nuovo disco sembrano dirci: “Il mondo è in fiamme, non capiamo più bene cosa fare, ma non ci arrendiamo e sappiamo ancora da che parte stare”.  

Fabrizio De Palma 

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