
Sulla carta la Juditha Triumphans può risultare noiosa, per tutta una serie di fattori: la rigida alternanza tra arie e recitativi (pochi sono i cori, e di non grande respiro, e non vi sono duetti o terzetti), l’immutabile struttura delle arie, tutte col da capo, e per questo spesso di considerevole ampiezza, il libretto in latino, di non particolare risalto né per accensioni poetiche né per invenzioni narrative.

LA JUDITHA DI VIVALDI: UN CAPOLAVORO DI GODIBILISSIMO ASCOLTO
Eppure, la Juditha è un capolavoro di godibilissimo ascolto. Perché, in questo “sacrum militare oratorium” composto nel 1716 per le sue “putte” dell’Ospedale della Pietà, Antonio Vivaldi – autore che, come è noto, non è esente dal vizio della ripetitività – è al vertice delle sue capacità compositive, e riversa nelle arie, una più bella dell’altra, tutto il suo estro melodico e ritmico.
E perché don Antonio accende l’orchestra barocca di tutta una gamma di colori inusitati, inserendovi strumenti dai timbri ricercati, ai quali vengono assegnate anche parti solistiche in meravigliose arie: e così a dialogare con le voci troviamo la viola d’amore, lo chalumeau (antenato del clarinetto), il mandolino, un “concerto di viole all’inglese” (ovvero da gamba).
Se poi tutto questo ben di Dio è vivificato da un’esecuzione di grande qualità, come quella che si è ascoltata all’Auditorium di Roma, in Sala Santa Cecilia, lo scorso 24 novembre, si può essere certi che il godimento è assicurato: altro che noia, le oltre due ore dell’oratorio sono passate in un istante.

IL CAST VOCALE E L’ACCADEMIA BAROCCA DI SANTA CECILIA
Merito dell’ottimo cast vocale, che, in particolare, ha saputo variare con vivacità e virtuosismo, ma senza strafare, le riprese delle arie. Un cast che ha visto impegnate nei ruoli maschili e femminili Vivica Genaux, Rui Hoshina, Giorgia Rotolo, Francesca Ascioti e soprattutto, nella parte della protagonista, Ann Hallenberg, che si è espressa a livelli davvero notevoli. Di non minore spessore la prestazione dell’orchestra dell’Accademia Barocca di Santa Cecilia e, in particolare, dei solisti, le cui esibizioni coi singolari strumenti di cui si è detto sono state salutate da calorosi applausi. Convincente la direzione di un grande specialista di Vivaldi come Federico Maria Sardelli, che ha saputo rendere appieno il carattere bellicoso e scattante della partitura (forse si sarebbe voluto, qua e là, qualche struggimento elegiaco in più). Una serata, insomma, che ha consentito di apprezzare al meglio la creazione vivaldiana, rutilante di tanti colori diversi, quasi un corrispettivo sonoro di una tela o di un affresco della gloriosa scuola pittorica veneziana.
‒ Fabrizio Federici