Il Leone, Prometeo e il futuro della musica
Giulio Rovighi (primo violino), Aldo Campagnari (secondo violino), Massimo Piva (viola), Francesco Dillon (violoncello). È il Quartetto Prometeo, realtà ben affermata a livello internazionale che alla scorsa Biennale (musica) di Venezia si è aggiudicato il Leone d’Argento per “la versatilità con cui affronta il repertorio classico e quello moderno e contemporaneo”.
Il Quartetto Prometeo nasce nel 1993 dall’incontro di quattro strumentisti, prime parti dell’Orchestra Giovanile Italiana. Fast-forward: alla scorsa Biennale, il Quartetto si aggiudica il prestigioso Leone d’Argento. I quattro ne hanno fatta di strada, non c’è che dire. Ma se si chiede loro cos’è cambiato da quel 6 ottobre 2012, la risposta finisce quasi per rasentare l’eccesso di modestia: “Per noi non è cambiato niente. Siamo sempre un gruppo in movimento, un gruppo che lavora ossessivamente per migliorarsi, per aprire strade, per scoprire, per sperimentare. Però, naturalmente, un premio così prestigioso muove delle cose intorno al Quartetto, c’è una bella attenzione verso di noi anche grazie a queste ‘conferme’ esterne (oltre, immagino, per via dei molti titoli discografici pubblicati ultimamente) ed è stata anche una opportunità per fermarci – ma giusto un istante – e fare il punto su tutto ciò che abbiamo fatto nei molti anni di attività del quartetto”.
Le due ultime uscite discografiche di Prometeo sono un monografico su Salvatore Sciarrino per la Kairos di Vienna e uno su Stefano Scodanibbio per la leggendaria ECM di Monaco: due etichette straniere, entrambe fondamentali per mappare l’attualità e il destino dei nuovi suoni. Si potrebbe attaccare con la retorica degli artisti italiani (due compositori, un organico di eccellenti strumenti) più valorizzati all’estero che in patria, ma sarebbe inchiostro sprecato: meglio, perciò, spendere qualche parola per ciascuna delle due monografie. Di Sciarrino, molto amato ed eseguito in Germania, il monografico della Kairos contiene i quartetti nn. 1-8: “Si trattava di un’integrale quartettistica dell’autore, nel momento in cui l’abbiamo registrato (ma a novembre abbiamo eseguito il n. 9 in prima esecuzione e iniziato a pensare a un secondo CD)”, ci spiega il violoncellista Francesco Dillon, “si tratta di pezzi che coprono cronologicamente tutto l’arco creativo del compositore siciliano: due dei ‘6 Quartetti Brevi’, straordinarie schegge sperimentali, sono tra le primissime opere di fine Anni Sessanta, mentre il quartetto n. 8 è del 2008. Insomma, un meraviglioso viaggio nell’opera di questo artista unico, che cammina per una strada non battuta e sempre qualche passo più avanti rispetto ai suoi contemporanei”.
Stefano Scodanibbio, compositore e straordinario contrabbassista che il Quartetto conosceva bene, scomparso prematuramente poco più di un anno fa, ha fatto in tempo a sapere di un monografico a lui dedicato dalla ECM di Manfred Eicher, poco prima di morire: “Il lavoro sulle registrazioni di queste ‘Reinvenzioni’, sia quello fatto insieme, sia quello di editing successivo alle sessioni, credo abbia rappresentato per lui una vera ‘oasi’ di pace”. Le sue Reinvenzioni per Quartetto d’Archi consistono in una serie di rielaborazioni, più che di trascrizioni, di materiali molto diversi. Sono tre serie ben distinte: tre Contrappunti dall’Arte della Fuga di Bach, quattro pezzi della letteratura spagnola classica per chitarra (Sor, Tarrega, Llobet e Aguado) e cinque canzoni messicane (tra cui la classicissima Besame Mucho). Ancora Dillon: “Musiche davvero lontanissime tra loro per stile, origine, luogo ed epoca di provenienza, eppure la lente deformante attraverso la quale il compositore le rilegge – un suono magico di armonici e suoni ‘flautati’, una dilatazione dei tempi e una scrittura compositiva magistrale – crea un curioso denominatore comune che permette di avvicinarle senza alcuna forzatura”.
È noto che una certa aura di mistero si cela dietro a tutte le produzioni ECM, soprattutto quelle della New Series, la serie specificamente consacrata alla classica contemporanea. La vicenda che sta dietro a Reinventions rappresenta davvero un unicum nella storia dell’etichetta: “Stefano era così orgoglioso del risultato compositivo e interpretativo che faceva ascoltare il disco a tutti gli amici più cari che andavano a trovarlo. Uno di questi, Irvine Arditti, si è entusiasmato al punto da contattare direttamente Eicher e inviargli il master. Come sai, ECM non accetta registrazioni ‘esterne’, ma in questo caso il lavoro ha conquistato anche Eicher. Devo dire che, oltre alla qualità delle composizioni, e spero dell’interpretazione, anche la bellissima ripresa del suono, morbida e risonante, merito della grande sensibilità del tecnico del suono Gianluca Gentili, ha sicuramente contribuito al risultato finale”. Una strana creatura per la patinatissima collana New Series della ECM, una interessantissima incursione “dall’esterno” in quella roccaforte che è la nicchia elitaria della già elitaria etichetta di Manfred Eicher. Potremmo sbagliarci ma, a parte Gesualdo da Venosa, Scelsi e Berio, nessun altro compositore italiano vi figura con un monografico.
Vincenzo Santarcangelo
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #13/14
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