Matmos: live bolognese tra spigolosità sonore e ambienti funk
Musica concreta sì, ma anche pillole di intrattenimento. Una bella insalata di oggetti sonori e contrappunti melodici per il noto duo. In una delle poche tappe italiane del tour.
I Matmos li conosciamo. Del resto è difficile non conoscere chi da una quindicina d’anni si è imposto sulla scena musicale con atteggiamento sperimentale e senza disdegnare contaminazioni con le arti visive. C’è una storia fatta di album e di uscite discografiche – all’inizio autoprodotte da un’etichetta il cui nome è tutto un programma (Vague Terrain) – che si snoda esplorando vari sentieri dell’elettronica con grande lucidità e consapevolezza.
E poi c’è un’altra storia fatta di collaborazioni eccellenti, da Bjork a Terry Riley, passando per Otomo Yoshihide, che introducono il duo californiano in un panorama strettamente legato al visivo, oltre che al sonoro.
Per questi motivi si sarebbe potuti arrivare preparati (per non dire prevenuti) al concerto che lo scorso 16 marzo è stato ospitato da Locomotiv Club, al momento uno degli spazi più vivi per la musica a Bologna. Invece? Niente rigidità o intellettualismi imbalsamati, uno show a tratti anche divertente, che coniuga senza fatica diverse anime, influenze e peregrinazioni del gruppo. Con l’accompagnamento dal vivo di chitarra e batteria, Martin C. Schmidt e Drew Daniel strutturano un live in atmosfera “club” tra nuove tracce dall’ultimo album e vecchi pezzi riarrangiati per l’occasione.
Ci sono icone che rimangono anche dopo il primo ascolto (e la prima visione), che inducono un’attenzione estatica e che non faticano a conquistarsi un posto, seppur laterale, nell’ambiente della videoarte. Sono le immagini che scorrono dietro i musicisti durante Very Large Green Triangles. Un’invasione di piramidi che parte dall’occhio del protagonista del video per infiltrarsi poi nel suo sangue e irrompere nel mondo che lo circonda, tra interludi collagistici e prospettive rubate all’architettura radicale.
Momenti in cui si riaffacciano i suoni delle sale operatorie resi celebri da A Chance to Cut is a Chance to Cure (Matador, 2001) dove la ritmica propendeva verso accelerazioni techno, ma nel concerto si sposano con lunghe note e musicalità decisamente più morbide. E infine la presenza di uno spirito ludico, che è costante nell’approccio agli oggetti come creatori di suono, e che nel live acquista qualità performative. Niente di nuovo? Forse, ma talmente inaspettato da diventare quasi imperdibile.
Claudio Musso
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