“Nazra” è un festival sullo sguardo palestinese contro la narrazione coloniale

Tra archivi, poesia e silenzi, i corti del “Nazra Palestine Short Film Festival” combattono la cancellazione culturale che accompagna il genocidio. Narrazioni autoctone che restituiscono umanità e presenza a un popolo martoriato

Il genocidio di oggi impresso in filigrana nei campi verdi della Palestina del 1930, ripresi dalla telecamera di un missionario. Immagini di colonialismo riesumate da un archivio scozzese, assieme al ricordo della flora selvatica palestinese: bellissimi campi di finocchietto, malva, timo, tutt’altro che una terra arida, buona solo per la potenza fertilizzatrice sionista. L’obiettivo segue lo sguardo etnocentrico che accompagna ogni occupazione: 45 minuti di riprese, solo 2 minuti di volti arabi. Regista e studioso di memoria collettiva e colonialismo, Theo Panagopoulos guarda tutto,  rimonta e ripensa le immagini d’archivio, rallenta e ferma con dolore quei volti palestinesi di cento anni fa: ignorati, ridotti essi stessi a elemento del paesaggio, eppure “presenti”. Per il regista greco-palestinese ogni fotogramma è una ferita, il presagio del deserto e della pulizia etnica che verrà. La cronaca del genocidio in atto accompagna per più di un anno, giorno per giorno, il montaggio del documentario The Flowers Stand Silently, Witnessing, uno dei corti più densi e poetici proposti dal Nazra Palestine Short Film Festival di quest’anno, che ha fatto tappa in oltre 40 città italiane dal 9 al 30 ottobre.

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Nazra

Lo sguardo dal basso e il piano simbolico del potere al Nazra Palestine Short Film Festival

Nazra” significa appunto “sguardo”. Perché la violenza non è mai solo un fatto fisico, e si accompagna sempre a una “narrazione”, come sa bene un Trump capace di sbattere in faccia al mondo l’idea di una sua statua d’oro a Gaza, eretta sul sangue dei palestinesi. È la protervia del re che parla all’inconscio delle masse occidentali culturalmente subalterne, rivendicando il potere di cancellare la dignità dei sudditi manifestanti o di imporre i propri piani immobiliari sulla pelle di un popolo seviziato e disumanizzato – “tutti terroristi”, “animali umani”, “definisci bambino” -, ridotto a sottostare a una pace coloniale che è l’applicazione da manuale della “Shock Economy”. “Altrimenti sarà l’inferno”, e c’è davvero da chiedersi cosa avrebbe potuto fare Trump di più infernale rispetto a quanto già attuato in questi due anni a Gaza da Israele. Di fronte a un potere che opera in maniera tanto spudorata sul piano narrativo e simbolico, persino a livello subliminale, il cinema militante può ancora contribuire a “decostruire le narrazioni coloniali occidentaliste, sostenute da imponenti apparati di diffusione, per contrastare l’oblio e la cancellazione culturale” che accompagna ogni genocidio e ogni forma di colonialismo e neocolonialismo.

Il genocidio “ammutolito” e il ronzio della routine mediatica

In Vibrations From Gaza la violenza penetra nello spettatore con un’inedita potenza ovattata: è il ronzio soffocato dei droni militari nelle orecchie dei bambini sordi di Gaza, il tremore della terra al passaggio degli aerei e alla caduta delle bombe. Nel film, l’artista multimediale Rehab Nazzal si interroga sulle cause della perdita di udito di tanti bimbi gazawi. Ma il punto del corto è un altro: “ammutolite”, paradossalmente, le immagini di guerra parlano di più, parlano un altro linguaggio, riescono a impattare in modo inedito sullo spettatore. È lo stesso effetto che sortisce Michael Moore  in Fahrenheit 11/9 quando, al contrario, toglie le immagini e lascia solo l’audio, oscurando le Torri Gemelle e affidando “solo al sonoro il compito di testimoniare la realtà dell’evento”, rimossa per saturazione dalla ripetizione continua del crollo a livello mediatico (qui per approfondire). È ciò che accade tutti i giorni con le immagini dei telegiornali, laddove la ripetizione incessante di immagini di morte e distruzione – in una routine mediatica assurdamente confortante – abitua il pubblico al disastro, anestetizza e finisce per togliere alle immagini ogni reale capacità di penetrazione e testimonialità “attiva”. Nel migliore dei casi scatta una generica indignazione, un umano ma rudimentale dispiacere per le vittime. 

Memorie invece di macerie al Nazra Palestine Short Film Festival

Molto più utile, allora, rispetto alla verità giornalistica, la cruda verità del cinema, capace di raccontare uomini e donne invece di “vittime”, memorie invece di macerie, presenze invece di fantasmi. Come il clown che prova a far ridere i bambini tra le macerie in Faces Under Fire di Rajaa Khaled Ayesh, corto vincitore del “CinéPalestine” francese. “Quello palestinese”, ha spiegato alla tappa del “Nazra” a Benevento l’attivista e attore Omar Suleiman, “è un popolo che, in mezzo alla case distrutte, recita poesie e insegna ai suoi figli a suonare: solo così si può resistere a ottant’anni di cancellazione culturale da parte di uno Stato sostenuto dalle più grandi potenze del mondo”. In “Fiction”, il regista e sceneggiatore palestinese Sohail Dahdal racconta la storia di Khaled e Nema, un bimbo beduino di 10 anni e la sua fedele capretta. La loro è una missione impossibile: “Far tornare la memoria al vecchio Abu Mariam, che ha l’Alzheimer, ma anche il potere di salvare il loro villaggio dalla demolizione dell’esercito israeliano”. Perché la memoria, spiega il capo del villaggio, “è l’insieme delle storie della nostra vita. E, anche di fronte alla morte, la memoria parla sempre il linguaggio della presenza, come nel terribile epilogo del corto Emptiness di Hossam Hamdi Abu Dan, girato tra le rovine di Gaza nel 2024: “Sotto le macerie di questa casa giace una famiglia. Il più grande aveva 65 anni, la più piccola 5 mesi”.

Alessandro Paolo Lombardo

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Alessandro Paolo Lombardo

Alessandro Paolo Lombardo

Docente di Lettere e giornalista, scrive per testate locali e nazionali, tra cui Il Mattino, Il Fatto Quotidiano, Artribune e bMagazine. Laureato in Storia e Critica d'Arte, ha collaborato con la cattedra di Storia della Fotografia dell'Università di Salerno, concentrandosi…

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