Il nuovo film di Pietro Marcello racconta Eleonora Duse come nessuno aveva mai fatto 

In concorso al Festival del Cinema di Venezia, il film di Pietro Marcello sugli ultimi anni di Eleonora Duse, musa di D’Annunzio e star del primo Novecento italiano, oscilla tra il documento e il dramma

Con Duse, il regista Pietro Marcello, già in concorso a Venezia 76 nel 2019 con Martin Eden (coppa Volpi al protagonista Luca Marinelli), torna in concorso al Lido affrontando, con una lettura personale una figura monumentale, quella Eleonora Duse (1858 – 1924) che l’amato D’Annunzio battezzò “la Divina”, colei che ha rivoluzionato il teatro moderno e incarnato l’arte come necessità vitale. A interpretarla è Valeria Bruni Tedeschi, di cui sono riconosciute le doti interpretative di un femminino che danza sui fili sottili delle proprie insicurezze, ma capace di intensità esplosive e di un talento naturale.   

Duse, di Pietro Marcello. Photo Erika Kuenka
Duse, di Pietro Marcello. Photo Erika Kuenka

Il film di Pietro Marcello su Eleonora Duse 

Marcello non gira un biopic. Lo ha dichiarato lui stesso: non gli interessa la cronologia, ma l’anima. E allora il film non ricostruisce, piuttosto evoca. La macchina da presa attraversa gli ultimi anni della Duse, dalla fine della Grande Guerra all’avvento del fascismo, come una sorta di bilancio esistenziale e artistico. Una donna che ha conquistato indipendenza e fama pagando prezzi altissimi, e che si trova a fronteggiare l’inesorabile disfacimento: economico, fisico, affettivo. Eppure, proprio lì, nel momento della perdita, sceglie ancora il teatro come spazio della verità. L’arte di Eleonora, che sale in scena a quattro anni con i genitori attori, non è stata finzione ma esistenza pura, gesto che diventava corpo politico. Mussolini le darà un vitalizio. Non si truccava, non cercava l’enfasi, improvvisava, sussurrava, ripeteva parole fino a renderle taglienti. Čechov scrisse che, pur non capendo l’italiano, comprendeva ogni cosa vedendola recitare. Marcello traduce questa forza nella lingua del cinema: immagini che oscillano tra il documento e il dramma, tra l’eco delle riprese mute del percorso funebre ferroviario del Milite Ignoto alla densità pittorica che caratterizza la sua opera.  

Eleonora Duse, stella decadente 

Bruni Tedeschi incarna una Duse già segnata dalla tubercolosi, dal crack della sua banca berlinese, dai debiti ingenti (ben 100mila lire), dal rapporto difficile con la figlia Enrichetta. Ogni suo attimo di vita è una scena appesa al fato e alle decisioni di una capocomica che potrebbe esser l’ultima. La sua voce incrinata, il corpo esposto alla fatica del tempo, restituiscono quella contraddizione che affascina Marcello: il successo assoluto e la caduta verticale, la divinità e la rovina. Attorno a lei, il film mette in scena un’Italia lacerata, in cui l’artista si ritrova senza più scampo se non riaffermando la propria irriducibile differenza.  

V.Bruni Tedeschi e P. Marcello sul set di Duse. Photo Claudio Iannone
V.Bruni Tedeschi e P. Marcello sul set di Duse. Photo Claudio Iannone

Il dramma di Eleonora Duse e del suo tempo 

Duse è anche un film sul rapporto tra arte e potere. Non a caso, il regista sceglie di intrecciare la vicenda personale con l’avanzata del fascismo, mostrando come l’arte, quando è vera, diventi una forma di resistenza. Alla fine, resta l’immagine di un’artista che non si è mai arresa al ruolo di musa, impostole da D’Annunzio, ma ha continuato a scavare nei personaggi femminili per trovare la loro modernità, quella condizione di libertà che la Tedeschi pronuncia inebriata. “Le donne delle mie commedie mi sono entrate nel cuore e nella testa”, scriveva Duse. Marcello coglie questa verità e la porta al pubblico di oggi: Eleonora Duse non è un monumento, è una ferita viva. Nella parabola finale della sua vita, il fantasma di D’Annunzio resta una presenza ingombrante. L’amore tempestoso, consumato tra Venezia e il Vittoriale, le aveva lasciato segni profondi; aveva prestato la propria fama e le proprie risorse per dare corpo ai drammi del poeta, diventandone strumento e insieme vittima. Quando lui la abbandona preferendole Sarah Bernhardt, la ferita è insanabile ma non definitiva. Il film lascia emergere questa ambivalenza, tra fascinazione e tradimento, come eco lontana che continua a pulsare negli ultimi anni, quasi a ricordare quanto la Divina avesse saputo trasformare in teatro anche il dolore più intimo.  

Nicola Davide Angerame   
 
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Nicola Davide Angerame

Nicola Davide Angerame

Nicola Davide Angerame è filosofo, giornalista, curatore d'arte, critico della contemporaneità e organizzatore culturale. Dopo la Laurea in Filosofia Teoretica all'Università di Torino, sotto la guida di Gianni Vattimo con una tesi sul pensiero di Jean-Luc Nancy, inizia la collaborazione…

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