The End: il film sulla fine del mondo è girato in una miniera di sale in Sicilia
Presentato in anteprima al Biografilm Festival di Bologna, “The End” è il film su cui Joshua Oppenheimer ha lavorato per anni e che dal 3 luglio arriva al cinema. Il trailer
Sembra che tutto abbia avuto inizio dalla conoscenza di un magnate del petrolio asiatico, il quale ha svelato a Joshua Oppenheimer un bunker sotterraneo – “che comprendeva un caveau d’arte e una cantina di vini, una piscina e giardini” come racconta egli stesso – pronto ad ospitare lui e la sua famiglia in caso di catastrofi.
Di qui la mente visionaria del regista di The Act of Killing ha elaborato l’idea alla base del suo ultimo film The End, una pellicola che immagina la fine del mondo e il tentativo di sopravvivenza del genere umano.
The End: un film post-apocalittico che induce a riflettere
Scritto e diretto da Oppenheimer insieme a Rasmus Heisterberg, The End è uno di quei film che non vedi l’ora finisca: durante i 148 minuti di visione si sviluppa nello spettatore un senso di claustrofobia non solo spaziale, ma anche dovuto agli atteggiamenti soffocanti dei protagonisti – solo 7 personaggi – impegnati ad ignorare l’orrore in cui il mondo esterno è piombato, per riuscire a mantenere stabilità emotiva e un “disperato ottimismo”.
La sinossi ufficiale recita infatti: “Il mondo è finito. Ma l’umanità, forse, no. In un bunker sotterraneo riarredato come una casa di lusso, vivono e sopravvivono Madre (il premio Oscar Tilda Swinton), Padre (il candidato all’Oscar Michael Shannon) e Figlio (George MacKay) e cercano di mantenere la speranza e un senso di normalità aggrappandosi a piccoli rituali quotidiani. Ma l’arrivo di una ragazza dall’esterno (Moses Ingram) incrinerà il delicato equilibrio di questo apparente idillio familiare”.
Arte e musica nel primo film di finzione di Joshua Oppenheimer
Sorprenderà scoprire che un film sulla fine del mondo e dell’umanità come The End è in realtà un musical: “Se i cuori dei personaggi si aprono a noi quando cantano, ma anche nel canto ingannano se stessi, al centro del film c’è una domanda spaventosa: cosa rimane di noi quando mentiamo a noi stessi nei nostri sogni e nei nostri desideri inconsci?”, si chiede Oppenheimer spiegando la sua scelta stilistica. Le musiche e le canzoni – per lo più allegre e speranzose – diventano così elementi per esaltare ancor di più la disperazione e la fine di ogni concreta salvezza per la famiglia.
Anche la presenza di capolavori nel bunker, come la Ballerina di Renoir, non fanno altro che da contraltare alla desolante realtà in cui i protagonisti sopravvivono. Oppenheimer spiega che i dipinti rappresentano una sorta di “finestre” sul mondo di un tempo, su quello che si è perso: come una bellissima bugia, che ricorda una realtà ormai inesistente, la cui presenza si trasforma talvolta in un monito per i sopravvissuti.
Oltre ai dipinti impressionisti e post-impressionisti, centrale è un paesaggio romantico di Albert Bierstadt ed un altro apocalittico – Il Diluvio di Francis Danby – che sembrano tradurre in arte il tema centrale del film: lo sguardo divino che segna il destino dell’umanità, dal godere del paradiso terrestre al ridursi ad un’involuzione distruttiva.
Il set nella miniera di sale di Petralia Soprana in Sicilia
Il cast, composto da solo sette attori – Tilda Swinton, Michael Shannon, George MacKay, Moses Ingram, Bronagh Gallagher, Tim McInnerny e Lennie James – ha seguito Oppenheimer sul set allestito all’interno di un luogo speciale: la miniera di sale di Petralia Soprana, in provincia di Palermo.
In questo sito risalente a milioni di anni fa, la troupe cinematografica ha lavorato in perfetta sinergia con il personale della Italkali, che gestisce il giacimento di salgemma – dove tra l’altro è ospitato il MACSS, museo di Arte Contemporanea Sotto Sale – tra i più ricchi d’Europa.

The End: un ammonimento per il genere umano
Le fredde pareti scavate e lungo i percorsi impervi della miniera, in uno scenario quasi lunare, ma privo di cielo, il regista ha scelto di inserire il bunker di The End, come un set teatrale dell’assurdo, in cui va in scena l’ultimo disperato tentativo di sopravvivenza di un’umanità già morta (nell’essenza e nei sentimenti) e auto-sepolta.
Eppure Oppenheimer ci lascia affermando: “Ho sempre pensato che creare un racconto di ammonimento sia un atto di speranza, costruito sulla convinzione che non sia troppo tardi per cambiare”.
Roberta Pisa
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