“Le città di pianura” è un meraviglioso road movie esistenziale

In Concorso in Un certain regard a Cannes 78, il film di Francesco Sossai è il titolo italiano più apprezzato. Un road movie in cui nuovi incontri e architettura si fondono in una racconto introspettivo e contemporaneo. Qui una clip

Opera seconda per Francesco Sossai, Le città di pianura è stato presentato a Cannes 78 in Un certain regard riscuotendo un notevole successo di critica.

Amicizia, alcool e architettura – in ordine sparso – sono gli elementi con cui si confronta questa storia. Si tratta di un road movie provinciale (girato in Veneto) ed esistenziale che non lascia indifferente lo spettatore. È un film di incontri, in cui il confronto tra più generazioni fornisce un quadro ben definito del nostro contemporaneo.

Le città di pianura: un film che è un’indagine fotografica e sociale

Durante una notte nella pianura veneta Giulio, un timido studente di architettura, incrocia Carlobianchi e Doriano, due cinquantenni disillusi in cerca di un ultimo drink.

Le città di pianura, che arriverà prossimamente in sala con Lucky Red, nasce da tutto ciò che Francesco Sossai conosce bene, quindi la sua terra e la gente che la abita. Circa sei anni fa il regista ha iniziato a vagare nella pianura veneta senza sapere cosa stava cercando.

“Come un fotografo realizza centinaia di scatti per arrivare a sceglierne una decina, allo stesso modo io ho collezionato centinaia di piccole scene, pezzi di dialoghi origliati al bar, in treno, sugli autobus, nelle piazze ormai vuote”, ha raccontato Sossai. Per anni ha scritto tutto quello che ha visto e vissuto, e poi, con lo sceneggiatore Adriano Candiago, si è ritirato sui colli della Pedemontana, in una chiesa abbandonata e ha messo appunto la road map del suo film.

“Lui leggeva ad alta voce, io scrivevo. Poi leggevo io ad alta voce e scriveva lui. Non rileggevamo mai, non tornavamo mai indietro. Stavamo viaggiando verso una meta che non conoscevamo. Fuori dalla finestra, il cuore del paesaggio veneto: abbiamo scritto il film immersi in questo contesto e ne sono venute fuori Le città di pianura”, ha raccontato.

L’architettura tra i temi centrali del film di Francesco Sossai

L’architettura in Le città di pianura è un file rouge della storia. Giulio (Filippo Scotti) ha una grande passione per Carlo Scarpa, la stessa che appartiene al regista: “Per me è il culmine della cultura veneta: dentro la Tomba Brion, ad esempio, si respirano echi di Venezia e allo stesso tempo del Giappone: Scarpa è stato prima di tutto un umanista puro, dalle forti capacità di sincretismo culturale. Una dote che vorrei appartenesse anche al mio cinema”.

Giulio è un ragazzo che rappresenta una tipologia umana che sta svanendo. Un umanista di maniere e di attitudine. Un giovane “fuori dal tempo” che a Sossai ricorda il filosofo Giorgio Agamben, secondo il quale “solo chi non è contemporaneo – chi vive una frattura con il proprio tempo – può essere veramente contemporaneo”. Sossai racconta Giulio in un momento di crisi, di smarrimento, ma non è il solo. Lo stesso vale per gli altri due, per Carlobianchi e Doriano.

Le città di pianura

Tra i protagonisti, due uomini in piena crisi

“Volevo fare un ritratto di una vera e propria Lost Generation: quella degli uomini nati negli anni Settanta, in un contesto di estremo sviluppo economico, che dopo la crisi del 2008 si è ritrovata a fare i conti con un mondo radicalmente diverso”, ha commentato Sossai riguardo i suoi personaggi e attori.“Per me appartengono a una generazione crepuscolare, figli del mondo allora al tramonto, e stranieri in quello che vivono oggi”.

Carlobianchi e Doriano sono due personaggi estremamente interessanti e che forniscono allo spettatore – anche in questo caso – una possibilità di identificazione. ”Il mio scopo è più quello di creare un senso di meraviglia nei confronti dei personaggi. Mi piace che il pubblico sia abbagliato da una presenza, non che passi il tempo del film a pensare a quale personaggio assomigli di più”.

Margherita Bordino

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Margherita Bordino

Margherita Bordino

Classe 1989. Calabrese trapiantata a Roma, prima per il giornalismo d’inchiesta e poi per la settima arte. Vive per scrivere e scrive per vivere, se possibile di cinema o politica. Con la valigia in mano tutto l’anno, quasi sempre in…

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