Lovers. Intervista alla direttrice del festival LGBTQI

Appuntamento da domani 20 aprile fino al 24 con un’abbuffata di cinema, arti visive, performance, musica e moltissimo altro. È la 33esima edizione di “Lovers”, festival cinematografico a tematica LGBTQI che si tiene a Torino. E che ha molti legami con il contemporaneo.

Il rapporto che mi lega a Irene Dionisio [direttrice del festival, N.d.R.] passa attraverso i suoi film e il suo attivismo culturale. L’anno scorso l’ho invitata a Ginevra a presentare ‘Le ultime cose’ (2016), il suo primo lungometraggio. In quell’occasione mi ha parlato di un progetto legato alla censura nel cinema italiano. Dopo essermi confrontato con Andrea Lissoni, co-curatore con me della prossima Biennale delle Immagini in movimento, abbiamo deciso di co-produrre questo suo nuovo film dedicato appunto alla censura, dal titolo ‘Il mio unico crimine è vedere chiaro nella notte’”, racconta Andrea Bellini.  “Vulcanica, appassionata e visionaria, in veste di direttrice del festival Irene mi ha invitato nel 2017 a far parte della giuria del concorso ‘Iconoclasta’, dedicato ai film di carattere sperimentale di ogni genere e formato. Con gli altri due giurati, Adrian Paci e Guido Costa, abbiamo selezionato un film molto curioso, ‘Mephobia’ di Mika Gustafson. Ho proposto quindi a Irene di mostrare il film nel cinema del Centre d’Art Contemporain di Ginevra. Così è nata l’idea di una collaborazione annuale tra il festival e l’istituzione che dirigo. Ogni anno organizzeremo un evento invitando la regista o il regista vincitore del sezione Iconoclasta a presentare la sua opera qui in Svizzera”.
Anche questo è Lovers, festival che da ben 33 anni porta a Torino temi e problemi LGBTQI, grazie alla lungimiranza e alla tenacia del suo fondatore Giovanni Minerba, ora presidente di Lovers. Dall’anno scorso, invece, la direzione è passata a Irene Dionisio. E una delle novità è proprio la sezione Iconoclasta, particolarmente vicina alle arti visive e con un forte legame stabilito con il CAC di Ginevra e con Artissima.
Le discipline contemporanee vedono arte e cinema fuse in nuove forme sperimentali che portano artisti a presentare lungo e corto-metraggi in festival di cinema e registi presentare le loro opere nei musei internazionali come forme di installazioni filmiche”, ha commentato ai nostri microfoni Ilaria Bonacossa, direttrice della fiera torinese. “Queste trasformazioni sono alla base di questa collaborazione che porta ogni anno Artissima a presentare la o il vincitore della sezione ‘Iconoclasta’ nei giorni e negli spazi della fiera, e forse non è un caso che Irene Dionisio, direttrice artistica del festival, abbia iniziato la sua carriera nel mondo dell’arte prima di ricevere premi e riconoscimenti. La sua visione inclusiva e aperta alle trasformazioni e alle novità permette al festival di recepire stimoli e visioni inaspettate e fresche nel panorama internazionale e italiano”.

Giovanni Minerba, Rupert Everett e Iren Dionisio

Giovanni Minerba, Rupert Everett e Iren Dionisio

L’INTERVISTA

Dopo due introduzioni tanto entusiaste da parte di Andrea Bellini e Ilaria Bonacossa, non potevamo far altro che sentire la diretta interessata.

33esima edizione. Forse in città non ci si rende perfettamente conto di cosa significa avere un festival cinematografico focalizzato su tematiche LGBTQI da un terzo di secolo.
Questo festival ha un’importanza fondamentale per la città ed è un luogo fortemente simbolico. È un nostro vanto e patrimonio immenso. Trentatré anni di storia sono stati costruiti da Giovanni Minerba in mezzo a tempeste di ogni tipo, politiche e non. Con grande coraggio e forza.
Il fondatore e presidente Giovanni Minerba ha scritto in occasione della conferenza stampa delle parole dense di significato. Mi sembra importante riportarle perché descrivono l’amore che c’è dietro una manifestazione come questa: “‘I film che cambiano la vita’ credo continui ad essere il leitmotiv che ci accompagna, caparbiamente voluto non solo da chi dà tutto se stesso per giungere a questi risultati, la squadra di lavoro per esempio che si prodiga con amore, ma anche tutte le istituzioni politiche e culturali che continuano a sostenerci”.

Che ruolo ha il festival nello scacchiere italiano, europeo e mondiale?
Questo festival a mio avviso è un luogo che per sua natura non può non essere in cambiamento continuo per raccontare l’evoluzione dell’identità LGBTQI. E quindi assume anno dopo anno una differente posizione nello scacchiere complessivo.

Sei una “strana” direttrice per un festival di questo tipo, specie in Italia: donna, giovane, eterosessuale. Pregi e difetti di queste tue caratteristiche.
Non parlerei del mio essere donna e giovane – retoricamente potrei dire che non è facile in Italia, e lo dimostrano dati e studi – né del mio orientamento sessuale – che penso non debba mai, in nessuna occasione, essere un discrimine –, piuttosto di un altro aspetto che trovo molto più interessante. La coppia artistica creatasi tra me e Giovanni Minerba. Due generazioni, due sguardi, due sessi che dialetticamente si confrontano su un programma LGBTQI. Trovo questo dialogo molto ricco e davvero interessante per l’evoluzione della rassegna. E sono orgogliosa di questa squadra di lavoro. L’immagine feticcio di questi giorni è per me l’abbraccio tra Maria Callas e Pier Paolo Pasolini che raccontano una incredibile storia d’amore.

Caterina Ferrari, La Gabbia (2017)

Caterina Ferrari, La Gabbia (2017)

Con quali criteri hai scelto, insieme al tuo staff, i film che vedremo la prossima settimana?
Con Giovanni Minerba e l’intero staff composto da programmer e critici dai curriculum internazionali (Paolo Bertolin, Daniela Persico, Elsi Perino, Alessandro Uccelli) abbiamo usato tre criteri molto semplici per valutare il film: l’attinenza ai temi LGBTQI e l’originalità e forza nella modalità di trattarli, il valore estetico della pellicola e naturalmente l’equilibrio tra un valore militante e uno puramente artistico della pellicola. Gli 81 film scelti, di cui 56 anteprime nazionali, sono frutto di un appassionato e ragionato confronto tra generazioni, formazioni e gusti molti differenti della squadra di lavoro che declina in maniera virtuosa una forte etereogenità.

È molto forte il legame con l’arte contemporanea, vocazione anch’essa ormai trentennale di questa città. Parliamo dei rapporti con Artissima e con il CAC di Ginevra. Come si sviluppano?
Corpi politici, intersezionalità di generi e genere, desideri di ricerca e ricerca di desiderio. In glitch tra arte contemporanea e cinema LGBTQI, la sezione Iconoclasta raccoglie pellicole di carattere sperimentale e attente all’innovazione del linguaggio narrativo e visivo. Il focus nasce per la 32esima edizione del festival in collaborazione con Artissima e Centre d’Art Contemporain Génève. Grazie a loro sarà possibile mostrare i lavori durante la prossima fiera e naturalmente nell’incantevole cornice del CAC di Ginevra. Con Ilaria Bonacossa e Andrea Bellini già dallo scorso anno e nel corso del 2018 abbiamo pensato a costruire questa sezione in dialogo continuo.

Drew Lint, M-M (2018)

Drew Lint, M-M (2018)

La sezione Iconoclasta è quella più aperta alle contaminazioni con le arti visive. Raccontaci il format e quali sono gli appuntamenti da non perdere, al cinema e in altre sedi.
Per la 33esima edizione del festival, la sezione si compone di cinque slot di cortometraggi/lungometraggi e medi, tre dei quali saranno preceduti da altrettante performance/talk di quattro artisti – Cosimo Terlizzi, Brice Coniglio, Irene Pittatore e Francesca Arri – e dal focus sul lavoro del regista/videoartista francese Bertrand Mandico in collaborazione con il Sindacato Belleville.
Il concorso si snoda in un percorso poco battuto di visioni eccentriche, ma centrate. Spazia tra le poetiche visioni queer del nuovo caso del cinema francese, Bertrand Mandico, fino alle aspre riflessioni di film come M/M, thriller psicologico sulla medicalizzazione dei corpi e la spietata favola erotica di Coelho Mau, passando attraverso le malinconiche riflessioni sulla bellezza dei corpi nello spazio del tempo di Flores e Où en êtes-vous, João Pedro Rodrigues?. Ancora i corpi prendono completamente il sopravvento nei film Exhumation, La Gabbia, Phantom che, declinando narrativamente il nostro involucro materico, senza timore di interrogarlo attraverso la macchina da presa, liberano riflessioni rivoluzionarie.

Raccontaci delle performance.
Da oggetto di visione, il corpo diviene soggetto d’azione nello spazio della sala nel Concorso Iconoclasta, dove la visione cinematografica si fonde con il performativo attraverso il lavoro di quattro artisti.
Irene Pittatore con il progetto You as me, un laboratorio narrativo/esperienziale tenuto da Camera, aperto a chiunque desideri praticare un’esperienza di esplorazione ed espressione di sé attraverso la performance e il ritratto fotografico. ConiglioViola con un tributo elettronico alle “più feroci dive italiane degli anni ’80” portato in scena attraverso i linguaggi dell’arte, della musica e del video. Francesca Arri ponendo al centro del suo lavoro performativo il corpo come universo che destruttura e amplifica da un punto di vista materiale e immateriale. E Cosimo Terlizzi con la performance distendere le labbra, mostrare i denti, che riflette con sarcasmo sul sorriso sociale mettendoci davanti a un quesito: quanto e cosa di noi passa attraverso di esso?
Il corpo nella sezione Iconoclasta è centrale in ogni suo senso e con ogni senso e osa senza timore.

Daniel McIntyre, Exhumation (2018)

Daniel McIntyre, Exhumation (2018)

A che punto siamo in Italia con il rispetto della sessualità altrui? Il mondo del cinema mondiale è stato sconvolto dal fenomeno #metoo. Quali le ricadute verso gli stereotipi, le discriminazioni, le sensibilità verso le questioni LGBTQI?
Ancora i corpi in Italia hanno difficoltà a vivere nel pubblico, che è severamente normato e multi-discriminatorio nei confronti delle minoranze.
I cittadini LGBTQI sono ancora privi dei più essenziali diritti in Italia e lo dimostrano i recenti casi di cronaca locale del torinese. Il movimento #metoo, al di là delle sue derive esasperate e oscurantiste, ha evidenziato una questione fondamentale: quello dell’omertà propria di sistemi consolidati, condivisi e sottaciuti. Rompere il silenzio è sempre la pratica meno diffusa di fronte alle discriminazioni. E rompere il silenzio è anche la funzione dell’arte, quella che, come scrive Guattari, “mette un piede nella porta“.

Cosa ti aspetti da questa edizione e come vedi il festival fra dieci anni? In che direzioni altre potrebbe continuare a evolversi?
Questa edizione, nata da una profonda condivisione con la squadra e il presidente, deve sancire l’indipendenza – a mio avviso fondamentale – e la lunga vita del festival. Il festival nella sua declinazione LGBTQI è interessato ad affrontare limiti e sconfinatezze del corpo inteso come corpo politico.
L’evoluzione del festival a mio avviso deve seguire tendenze e sviluppi del mondo LGBTQI, deve rimanere specchio di una comunità e di un mondo in cambiamento. Saper capire, interpretare e mettere in questione il futuro.

Marco Enrico Giacomelli

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Marco Enrico Giacomelli

Marco Enrico Giacomelli

Giornalista professionista e dottore di ricerca in Estetica, ha studiato filosofia alle Università di Torino, Paris 8 e Bologna. Ha collaborato all’"Abécédaire de Michel Foucault" (Mons-Paris 2004) e all’"Abécédaire de Jacques Derrida" (Mons-Paris 2007). Tra le sue pubblicazioni: "Ascendances et…

Scopri di più