Venezia 74: la giornata numero otto segna il trionfo dei Manetti Bros. Ed è già film di culto

Ma non mancano altre sorprese: il red carpet di Javier Bardem con Penelope Cruz, il biopic su Andy Kaufman, il western australiano Sweet Country di Warwick Thornton.

Venezia 74, ph Irene Fanizza

Venezia 74, ph Irene Fanizza

La giornata numero otto di Venezia 74 si apre con un film di Warwick Thornton, che porta in concorso un western ambientato nell’Australia dei primi anni del secolo scorso: riflessione amara sulla disuguaglianza e la cattiveria umana, sconfinata al pari del paesaggio che le fa da sfondo. In Sala Grande viene presentato il film più atteso della giornata, il musical Ammore e malavita. Firmato dai Manetti Bros e applaudito a lungo a fine proiezione, boccata di allegria dopo una settimana di film che galleggiano nel sangue. Ammore e malavita è una dichiarazione d’amore e di ottimismo verso una città bella e luminosa quanto nera e controversa. Napoli, come luogo fisico e mentale, è protagonista di tanti film in mostra, da Nato a Casal di Principe di Bruno Oliviero a L’Equilibrio di Vincenzo Marra, a Gatta Cenerentola. Sul red carpet intanto torna Javier Bardem, stavolta in compagnia di Penelope Cruz, sua compagna di vita e nel film che li vede protagonisti nei panni del narcotrafficante Pablo Escobar e della sua amante, la giornalista Virginia Vallejo in Loving Pablo. In serata ultima possibilità per recuperare al Pala Biennale un documentario dal titolo lunghissimo, Jim & Andy: the Great Beyond – the story of Jim Carrey & Andy Kaufman with a very special, contractually obligated mention of Tony Clifton. Dire che ne è valsa la pena è poco, il film di Chris Smith è uno dei titoli più originali sinora visti in Mostra.

Mariagrazia Pontorno

www.labiennale.org

L’UOMO SULLA LUNA: IL BIOPIC SU ANDY KAUFMAN

Jim Carrey, Venezia 74, ph. Irene Fanizza

Jim Carrey, Venezia 74, ph. Irene Fanizza

Il film più strano della Mostra è il documentario dedicato al backstage di Man on the moon, il biopic che Milos Forman girò sul comico Andy Kaufman scegliendo un altro comico, Jim Carrey come protagonista: uno scioglilingua già negli intenti. Chris Smith ha recuperato un backstage girato durante le riprese del film dalla fidanzata di Kaufman (Courtney Love nel film di Forman) e sepolto per più di vent’anni. Partendo, per costruire il suo documentario, da un assunto chiaro: ci sono di fatto due film, uno è il biopic ufficiale, l’altro è un film se possibile più interessante, che vede la luce soltanto adesso. Anche nei titoli c’è continuità: The Great Beyond e Man on the moon sono entrambi brani dei R.E.M. Lo stesso Carrey, nella illuminante intervista che si alterna con il girato d’epoca, sostiene, a ragione, che il vero film fu il dietro le quinte. In effetti Carrey non si limitò a interpretare Kaufman ma lo incarnò (curiosità, i due erano nati lo stesso giorni): anche fuori dal set si comportava esattamente come lui, litigando con amici fraterni arrivando alle mani più volte, sperimentando anche nella vita la fatica di essere Andy Kaufman, un uomo che non rinunciò mai a esprimersi liberamente, vivendo da outsider. Una sorta di possessione, che non ha nulla da invidiare a quella vista nel documentario di Friedkin su padre Amorth, dalla quale Carrey uscì solo a fine riprese, svuotato. Potrebbe sembrare una esagerazione, ma è esattamente ciò che accadde, le immagini parlano chiaro e il risultato è il delirio lungo novanta minuti presentato in anteprima mondiale a Venezia 74.

Pala Biennale,
Jim & Andy: the Great Beyond  – the story of Jim Carrey & Andy Kaufman with a very special, contractually obligated mention of Tony Clifton, di Chris Smith,
Fuori concorso

WESTERN MADE IN AUSTRALIA

Sweet Country, Venezia 74

Sweet Country, Venezia 74

Ci sono i capi di bestiame, i cowboys, le praterie, i coloni e gli autoctoni. Stavolta però la frontiera da conquistare è quella est: difatti ci troviamo in Australia e non negli States, e anche qui l’uomo bianco umilia e usurpa la terra, la Sweet Country del titolo, agli aborigeni e non ai nativi d’America: differenza che però non cambia una sostanza fatta di violenza, sangue e catene. Un film lento e di ampio respiro, con una fotografia sublime, così come lo è il contrasto tra gli immensi e placidi spazi naturali, inquadrati in campi lunghissimi, e la presenza umana, in primissimo piano, che ne turba i silenzi a colpi di arma da fuoco. Una pellicola amara e priva di speranza, laddove infatti la legge cerca a fatica di far valere i principi di eguaglianza, la forza bruta azzera ogni tentativo di civiltà.

Sala Darsena,
Sweet Country, di Warwick Thornton,
in concorso

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