Una figura elegante e composta. Curiosa dell’arte e della natura. È, era, Francesca Alinovi. I am not alone anyway è il documentario che restituisce giustizia alla giovane ricercatrice e attivista amante della Street Art, quando ancora era forma nuova. A rendere eterna la sua immagine e il suo “carattere” è la regia di Veronica Santi. Riservata e dalla bellezza classica viene descritta Francesca Alinovi, tra materiale “d’archivio” e interviste dirette e personali.
La “nostra” Veronica Santi, curatore di mostre e critico d’arte, restituisce un’immagine pulita, lineare e quasi didascalica di una piccola grande donna che aveva scelto l’arte, in diverse sue forme, per esprimersi. Lo studio, la ricerca e il movimento culturale degli anni ’70 scorrevano nelle sue vene. Da Parma a Bologna fino agli Stati Uniti d’America I am not alone anyway ricostruisce l’identità e la voglia di conoscenza e di confronto che Francesca Alinovi custodiva e al tempo stesso condivideva. Una figura della cultura italiana inedita e poco conosciuta se non per il “delitto del Dams”.
CHI ERA FRANCESCA ALINOVI
Francesca Alinovi è morta l’11 giugno 1983 e Veronica Santi ha presentato alla stampa della 13esima edizione del Biografilm Festival di Bologna il film a lei dedicato il 12 giugno. Per molti sarà un caso, ma per la Santi non lo è. È un giorno simbolico e importante che auspica ad una vita immortale attraverso l’arte. Perché Francesca Alinovi, bolognese anche lei, mito mai soddisfatto della critica italiana, non sia ricordata solo per la sua morte, legata a una vicenda giuridica e un caso “misterioso” che ha fatto eco sulla ragazza, sulla ricercatrice e sulla Bologna dei primi anni ’80. È bene che Francesca Alinovi venga conosciuta per la sua intelligenza, per la sua preparazione e per la sua creatività. Che venga di lei ricordato il legame con la Street Art, quella vera, quella nata nelle strade del Bronx come forma di ribellione, protesta e comunicazione immediata.
I am not alone anyway è il racconto su Francesca Alinovi, o meglio parte da lì e finisce involontariamente ma eccezionalmente ad illustrare la vivacità artistica degli anni 60 e 70 del ‘900. Anni in cui non solo la cultura era viva, ma in cui i cittadini erano sempre più interessati e attratti. Anni in cui iniziava la paura e la violenza, ma l’arte era lì, pronta a consolare, informare e distogliere dai cattivi pensieri, se non a “commentarli” insieme.
UNA STORIA BOLOGNESE
Veronica Santi si presta alla regia per restituire giustizia e “dignità” alla vivacità artistica di Francesca Alinovi, e non solo ci riesce nel migliore dei modi pur essendo acerba di tecniche cinematografiche, ma stimola all’approfondimento di una donna che non tutti conoscono e della quale, spesso, si perdono le tracce.
–Margherita Bordino