Parla Ugo Gregoretti. Il profeta del design in tv

Incontriamo il regista e presentatore radiotelevisivo a Pontelandolfo, in occasione della presentazione del concorso internazionale di cortometraggi comici che si terrà il 4 e 5 agosto nel paese sannita. Le iscrizioni aperte fino al 5 giugno.

Borgo Cerquelle. L’antico borgo contadino di giovani querce è diventato fattoria didattica e agriturismo, associato al Touring Club e al WWF. Qui, dove i fiori di erba cipollina finiscono fritti in pastella, Ugo Gregoretti (Roma, 1930) consuma il suo pasto sannita. Autore, regista e presentatore radiotelevisivo, Gregoretti è storicamente legato al Sannio dal festival di teatro Benevento Città Spettacolo, da lui ideato nel lontano 1980.
Ma del simbolo finora più noto del suo impegno artistico in queste terre ha smesso d’interessarsi da tempo. Lui ha sempre preferito “fare teatro fuori dal palcoscenico, in città, suscitando stati d’animo, reazioni, opinioni”, mentre Città Spettacolo, rifuggendo le location urbane che ne avevano fatto la fortuna e la singolarità, sembra essersi rifugiata nei teatri (benché in città ve ne siano pochi rimasti agibili). “Anche se tra i cittadini trovo un affetto crescente, c’è stata la tendenza a rimuovere la memoria del mio passaggio e sono stato in qualche modo cancellato dall’elenco storico della dirigenza”, rincara Gregoretti, ricordando il suo allontanamento dal festival, “tra mille polemiche, come sempre”, dopo dieci anni di direzione artistica. “Per usare la metafora del biliardo, un politico locale, mirando su di me, cercò di mandare in buca l’allora sindaco Pietrantonio. Ma riuscì solo a darsi la stecca sui coglioni”.
Il rapporto del regista con il Sannio non finisce lì, come non era iniziato con Città Spettacolo. La torre del paesino di Pontelandolfo (“Città Martire” dell’Unità d’Italia quasi rasa al suolo per stroncare la resistenza antisabauda), acquistata da Gregoretti padre, era stata luogo prediletto di villeggiatura e ritrovo festoso di personaggi della cultura e dello spettacolo. Ettore Scola e Gigi Proietti pare fossero di casa, gli Inti Illimani vi si recarono per un servizio commissionato dalla Rai a Gregoretti, che non voleva saperne di rinunciare alla sua consueta vacanza in paese e s’inventò di “certe ipotetiche affinità tra le tradizione locali e quelle andine”.
La torre fu venduta alla fine degli Anni Settanta ma il legame affettivo con Pontelandolfo, la cittadinanza onoraria e un’odierna progettualità condivisa hanno spinto il regista a spostare in paese, nell’ottocentesco Palazzo Rinaldi, il suo ricco archivio, riconosciuto di interesse storico dal Ministero dei Beni Culturali. Nasce così anche il locale Centro Studi Ugo Gregoretti che oggi organizza il festival internazionale di cortometraggi comici Comicron. La C di Commedia s’incontra con Omicron, titolo forse più significativo della produzione cinematografica di Ugo Gregoretti, parodia di film di fantascienza che propone la ficcante analisi sociale di un alieno interessato alla conquista della Terra.
Dedicato alla commedia, genere “alieno” nella cinematografia d’autore, il festival ha presto entusiasmato la comunità rivelandosi, ammette Gregoretti, il vero erede dell’originaria Città Spettacolo. “Una cosa nata e cresciuta rigogliosamente in soli due anni: ancora non scadono i termini per l’iscrizione e abbiamo già partecipanti da dodici nazioni. Infatti abbiamo anche un problema con la giuria, che sono io. Sfortunatamente non parlo il ‘madagascarese’”…


RoGoPaG (1963)

L’ironia è forse l’unica costante della sua carriera variegata e crossmediale. Ma qual è il ruolo che Gregoretti attribuisce all’ironia?
L’ironia è un approccio con l’esistenza, un fatto per me naturale, quasi fisiologico, benché non sempre sia giudiziosa. Può essere importante coglierla anche nelle situazioni più tragiche, ma non è detto che si debba scherzare su tutto. Ad esempio, quando ne I nuovi angeli ho affrontato il fenomeno dell’abbandono delle campagne, con tutto il conflitto generazionale tra giovani e vecchi legati visceralmente alla terra, ho ritenuto che l’ironia fosse inopportuna…

Il suo archivio è stato trasportato da Roma a Pontelandolfo nel carro funebre di un membro della locale Pro Loco, per sua stessa richiesta. È forse un modo ironico per dire che la memoria è carta morta?
Senza trascurare un congruo risparmio (giacché l’impresario delle pompe funebri non si è fatto pagare), è un modo di dire che noi ci divertiamo sempre. Ma è stato anche un bel modo per annunciare, con una strizzata d’occhio, l’evento: il trasporto della “salma”, il mio archivio, a Pontelandolfo in un’elegante Mercedes. “Addio Roma, i migliori se ne vanno”…

Il “pollo ruspante”, come lei ha spiegato attraverso Tognazzi in Ro.Go.Pa.G., è il pollo che, a differenza del pollo d’allevamento, ha la libertà di decidere (quando mangiare, quando dormire…). Lei ha dichiarato di voler fare del paese sannita la “Gerusalemme della risata”, un punto di riferimento per chiunque voglia dedicarsi al comico. Crede forse che, come il pollo, l’arte in contesti ruspanti possa avere maggiore libertà?
In quell’episodio di Ro.Go.Pa.G. si pensava al pollo ruspante come a un pollo un po’ anarchico, dotato di grande libertà e capacità amatoria… Uno sciupagalline dalla riproduzione non programmata, a differenza di quello d’allevamento. Ora, bisognerebbe porsi la domanda se Pontelandolfo sia ruspante o d’allevamento, e non darei tanto per scontato che la risposta sia la prima. Un certo consumismo non si ferma alle porte del paese ma vi penetra gagliardamente. Oggi tutto è mercificato, e il piccolo paese ne viene coinvolto nella misura di tutto il resto. Né vedo una particolare virtuosità nell’opporsi a tale sistema.

A proposito di sistema e di antisistema: oltre a girare documentari politici lei ha lavorato nella pubblicità, come facevano anche, stando alle sue parole, “tutti i cineasti rivoluzionari di sinistra (anche i Taviani), che per non sporcarsi le mani con la produzione borghese, facevano i caroselli che erano anonimi”. Ma è veramente possibile essere rivoluzionari in contesti come il cinema e la televisione, che hanno tanto a che fare con i soldi?
I caroselli servivano per portare a casa il pane, non perché piacesse farli, e l’anonimato era una norma rigorosa. Anche Pasolini, anche i più grintosi registi antipadronali li facevano. Gli unici di cui si sapeva eravamo io e Nanny Loy, perché ci veniva imposto dagli sponsor. La nostra notorietà televisiva era una sorta di valore aggiunto per loro. Io poi c’avevo quattro figli e non andavo troppo per il sottile… Ad ogni modo, se uno è un rivoluzionario la rivoluzione la fa dappertutto.

Lei ha dichiarato di aver subito indirettamente il disprezzo degli intellettuali per la televisione. Ma al contempo ha condotto per la Rai una delle poche trasmissioni veramente culturali degli ultimi tempi, Lezioni di design, intervistando persone del calibro di Sottsass, Mendini, Crispolti. Com’è nata la trasmissione?
Il mio rapporto con l’arte esiste da sempre. Mi sono iscritto ad Architettura perché amavo la storia dell’arte, per poi filarmela quando si approssimarono gli esami veri, tipo Geometria… Però non arrivavo all’arte contemporanea e del design mi facevo anche un po’ beffe. Pare che la puntata zero della trasmissione Lezioni di design si rivelò un disastro, in particolare sulla conduzione, e una segretaria di produzione che passava per caso in studio propose: “Perché non provate Gregoretti?”. “Di design non ne so nulla, ma posso fingermi un esperto”, risposi alla delegazione che mi raggiunse. Studiai parecchio, in un processo di acculturazione frenetica, e passai per grande esperto, profeta del design, tanto che la trasmissione ottenne il Compasso d’Oro. Oggi sono sensibile al tema ma non particolarmente interessato: il design giovanile si è molto femminilizzato. Io avevo a che fare con i Sottsass, i Castiglioni…

Torniamo al suo esordio in televisione. Lei non ha fatto mistero di essere stato introdotto nella Rai grazie alla potente raccomandazione di Arturo Ferrari, direttore dell’Iri. In un suo servizio dedicato a tale pratica, lei ha parlato di raccomandazione chiedendo una raccomandazione, sorta di metanarrazione. Eravamo nel 1963, c’era forse maggiore sincerità all’epoca?
In quel periodo il Rotocalco Televisivo era diretto da Enzo Biagi, una direzione durata poco, ovviamente. Il servizio me lo commissionò Biagi, chiedendomi se conoscessi qualcuno che facesse al caso nostro. Io conoscevo un deputato democristiano e gli andammo a chiedere con tanto di telecamere una raccomandazione per un operatore televisivo precario. Una situazione di incredibile libertà per quegli anni, quasi un atto suicida. Infatti di lì a poco il direttore generale Bernabei cacciò Biagi: “È il caso che se ne vada, mi fa passare troppi guai”.

C’è una differenza tra le raccomandazioni di oggi e di ieri? C’era forse più “merito” nelle vecchie raccomandazioni?
No, io sono una mosca bianca: sono stato raccomandato ma poi me la sono cavata da solo. Molti altri hanno preso il posto da raccomandati e lì sono rimasti senza fare un passo avanti, senza dare alcun contributo creativo all’azienda.

Consiglierebbe ai giovani precari di ricorrervi?
Se ritengono di avere talento, forse sì. Poniamo il caso degli autori dei corti selezionati al Comicron. Se entrassero in tv costituirebbero un’iniezione vitale nella televisione.

Lei ha affrontato tanti ambiti, la televisione, il cinema, il teatro, la pubblicità. Qual è la differenza tra la sua flessibilità ante litteram e il destino di precarietà di tanti giovani di oggi?
I giovani sono sempre gli stessi, pieni di sogni e illusioni. È la realtà che è cambiata. Al mio tempo c’era la possibilità concreta che i sogni potessero diventare realtà. Oggi pare di no, e ciò condiziona persino la spiritualità dei giovani.

Quali i suoi consigli per i precari, segnatamente per quelli del mondo dell’arte e della comunicazione?
Bisogna cambiare a martellate la realtà.

Ma l’Italia è un muro di pietra o di gomma?
Un muro di roccia mascherato da muro di gomma. Le cose devono poter cambiare.

Alessandro Paolo Lombardo

http://www.comicronfilmfestival.it/

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Alessandro Paolo Lombardo

Alessandro Paolo Lombardo

Ignoto poeta e seminoto scrittore, nasce nell’ottobre del 1986 a Benevento. La furente surrealista Maria Gabriella Guglielmi dà un senso al suo percorso universitario, conclusosi con una laurea magistrale in Storia e Critica d’Arte sul fenomeno da lui battezzato “restauro…

Scopri di più