Si ride per non piangere con Alpha House, giunta alla seconda stagione: il titolo, nel rimando alla grande tradizione della commedia demenziale scolastica che nasce con Animal House ed esplode con la saga di Porky’s, non lascia spazio ai fraintendimenti. È plausibile che quattro senatori repubblicani condividano come disordinate matricole lo stesso appartamento in quel di Washington? Ebbene sì, come dimostra il caso – vero – della casa occupata per trent’anni dai dem George Miller, Richard Durbin e Charles Schumer, esperienza che ha ispirato l’irriverente Garry Trudeau nell’ideazione del soggetto e nella scrittura della sceneggiatura.
Se come autore hai il primo fumettista della storia a vincere un Premio Pulitzer, uno che si è portato a casa anche un Oscar per il miglior cortometraggio di animazione, la qualità del progetto è garantita; se poi il cast si regge su un mattatore come John Goodman, goffo alter ego del Frank Underwood interpretato da Kevin Spacey, la risata agrodolce è sempre dietro l’angolo.
Ne succedono di cotte e di crude in quella casa, come negli uffici in cui si ordiscono trame, si gestiscono fondi non propriamente limpidissimi, si prova a mettere a tacere i tanti vizi e si tenta di accentuare le risicate virtù; in un calembour di situazioni assurde, con un valzer di cameo illustri che spaziano da star del cinema come Bill Murray fino a politici di professione – è il caso di John McCain, ad esempio – che contribuiscono alla simulazione del verosimile. Con la fantasia che cerca di mettere la freccia sulla realtà, in un vertiginoso e spericolato testa a testa per quale delle due si rivelerà più credibile, attinente alla concretezza dei fatti. Perché questo è il teatro della politica, il circo della politica: e noi lo sappiamo fin troppo bene.
Francesco Sala
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Articolo pubblicato su Artribune Magazine #23
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