L’icona della metropoli rappresenta ed evoca da sempre un insieme di aspetti in cui l’esistenza moderna dell’uomo si riconosce, si fonda e incontra sia i propri traguardi che i propri limiti. Le grandi città sono foriere di possibilità, occasioni e aspettative, ma anche di pericoli, degrado e contrasti sociali. La serie di sei docufilm intitolata Megalopolis, presentata in un ciclo di tre appuntamenti presso il Maxxi, ideata, diretta e sceneggiata da Francesco Conversano e Nene Grignaffini, tenta di descrivere con un sentire inquieto e drammatico la realtà delle megalopoli planetarie.
L’esigenza di raccontare gli orizzonti caoticamente urbani originatisi nel secolo scorso, hanno spiegato gli autori, è emersa in seguito al dato che testimonia come la gran parte della popolazione mondiale si sia concentrata nelle aree cittadine largamente sviluppate. Una tendenza che si è definita in maniera netta e inequivocabile nel 2007. A partire da questo dato si è dunque cercato di fotografare una realtà che si caratterizza per essere sempre più metropolitana, controversa, contraddittoria e affollata: determinando dinamiche di convivenza degli strati sociali che tuttavia sono, in tutte le realtà analizzate, antipodiche e diametralmente opposte e rovesciate. Secondo una simmetria della non equità economica, soprattutto.

Il punto di vista degli autori descrive quindi realtà estreme, al limite spesso del collasso e sull’orlo del precipizio. L’intenzione, come più volte ha ribadito Conversano, è stata quella di mettersi dalla parte dei più deboli e tentare di raccontare il punto di vista degli “invisibili”, dei reietti e dei diseredati. Aspettativa encomiabile, ma sicuramente ambiziosa per il prodotto che è stato realizzato, il quale purtroppo presenta alcuni limiti.
Nonostante una fattura dal taglio tecnico ineccepibile, la sensazione che si ha osservando questi docufilm è quella di guardare un canonico prodotto televisivo, che non aggiunge o toglie nulla allo stereotipo di megalopoli al quale ogni altro programma con velleità di approfondimento ha già abituato il pubblico. Da Los Angeles a Karachi, da San Paolo del Brasile al Cairo in Egitto, da Shenzhen a Tokyo, la contrapposizione tra classe abbiente e una pluralità di paradigmi di povertà risulta ridondante, spesso retorica; l’impressione è di aver sfiorato solo la superficie di realtà estremamente complesse, senza però essere riusciti a focalizzarsi su di una tematica che giungesse davvero a profilare ognuna delle città in modo effettivamente caratteristico. Il messaggio resta sempre quello della desolante ingiustizia e disparità delle condizioni di vita che risulta essere il vero degrado, ma il tutto è raccontato in maniera talmente ortodossa da risultare poco incisivo. La sensazione è di aver creato un prodotto che sostanzialmente soddisfacesse anzitutto i dettami televisivi e che soltanto secondariamente esplorasse le realtà metropolitane presentate.

Altra carenza è il timing, ovvero lo scarto temporale tra la data di realizzazione del documento filmato e la sua presentazione. Infatti le riprese risalgono al 2007-2008, e in quasi sette anni le differenze su alcune situazioni possono essere significativamente cambiate. Questo scarto temporale rende Megalopolis, se non datato, quantomeno tardivo, il che – associato alla mancanza di spunti effettivamente innovativi – ne compromette l’efficacia in termini di attualità e freschezza.
Megalopolis resta così un prodotto televisivo divulgativo che centra a pieno il proprio bersaglio. Ma sfugge a ogni intento ulteriore di introspezione e analisi sociologica, come invece era stato annunciato, preferendo battere percorsi narrativi già largamente rodati.
Luigi Paolicelli