Naoya Hatakeyama / Andrea Botto – Sub Finis Terrae

Informazioni Evento

Luogo
CARTACEA GALLERIA
Via San Tomaso 25 24121, Bergamo, Italia
Date
Dal al

Su Appuntamento
Giovedi – Sabato / ore 15:30 – 19:00

Vernissage
26/05/2023

ore 18.30

Artisti
Andrea Botto, Naoya Hatakeyama
Generi
arte contemporanea, doppia personale
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Cartacea continua il proprio calendario espositivo con la mostra “Sub Finis Terrae” che mette in
dialogo l’artista visivo italiano Andrea Botto e le stampe cromogeniche vintage del progetto “Lime
Hills” (1986-1991) di Naoya Hatakeyama, tra i piu’ importanti fotografi giapponesi contemporanei.

Comunicato stampa

Cartacea continua il proprio calendario espositivo con la mostra “Sub Finis Terrae” che mette in
dialogo l’artista visivo italiano Andrea Botto e le stampe cromogeniche vintage del progetto “Lime
Hills” (1986-1991) di Naoya Hatakeyama, tra i piu’ importanti fotografi giapponesi contemporanei.
Dal testo di Mauro Zanchi
Naoya Hatakeyama interpreta in Lime Hills le cave e le città come immagini negative e positive di
un’unica realtà, pensando anche a correlazioni analogiche con il medium della fotografia. Le cave
mostrano la sottrazione di materia dal corpo della natura, l’atto del togliere che va a delineare altre
forme, trasformazioni del paesaggio. Le esplosioni e le escavazioni causate dagli umani
determinano una azione che cambia l’aspetto delle cose e induce lo sguardo dello spettatore a
testimoniare le conseguenze delle sparizioni di metri cubi di realtà dai luoghi originari. Ciò che
rimane delle ripetute esplosioni è sovrapposto a tutto quello che non c’è più. Il prelevato è da
intendere come l’invisibile di ciò che è possibile vedere ora, ovvero le montagne sventrate, il vuoto
della roccia scavata, la sua memoria. Il calcare tolto dalla cava è l’ingrediente principale del
cemento, la risorsa mineraria più abbondante del Giappone, materia prima dell’ambiente costruito,
delle strutture antropizzate. Lime Hills fa riferimento contemporaneamente alla tradizione pittorica
romantica del sublime, all’incessante ricerca di materie prime per lo sviluppo moderno, al rapporto
tra l’industria umana e l’ambiente naturale.
Possiamo considerare la montagna depredata dalla sua materia come una scultura della
sottrazione, visione di ciò che prima stava celato, vuoto dal grembo interno, vuoto che mostra la
sua forma attraverso ciò che è rimasto. Il vuoto e l’assenza rendono visibile ciò che stava occulto,
e che ora promana un’assenza presente.
Nella ultradecennale ricerca di Andrea Botto sull’uso degli esplosivi sono presenti il rapporto
fochino/fotografo, l’estensione del medium fotografico verso pratiche performative, gli effetti
dell’attesa mentre ci si prepara all’evento esplosivo, l’acme finale, il rapporto tra istante decisivo e
l’apertura evocativa degli aspetti sonori presenti nell’immagine, l’apertura ai metaracconti dei
manuali scientifici, la chimica dei materiali utilizzati nell’atto distruttivo, la dimensione e i processi
degli eventi pirotecnici, le implicazioni filosofiche e concettuali sul tempo, la casualità e
l’irreversibilità di un processo articolato, che una volta innescato non può essere fermato, la
capacità della fotografia di essere allo stesso tempo finestra e specchio. Il paesaggio è inteso
soprattutto come performance. L’artista indaga il sottile confine che sta tra l’ordine naturale e il
paesaggio che viene modificato o stravolto dalle esplosioni, le metamorfosi della crosta terrestre, i
collegamenti del mondo superiore con la dimensione sotterranea.
(...) Oltre alla struttura progettuale e alla previsione del risultato finale, a Botto interessano le
potenzialità plastiche dell’immagine quando si cerca di restituire l’esplosione come scultura
effimera nella trasformazione dello spazio. Il medium fotografico è coinvolto non solo come
dispositivo atto a cogliere e a prolungare la dimensione scultorea di un’esplosione - al di là della
cattura di un istante che altrimenti sfuggirebbe alla percezione in un tempo più dilatato nella
durata - ma anche per decostruire la celebrazione visiva del sublime romantico presente nel
paesaggio, attraverso i passaggi di senso tra mondo tridimensionale e bidimensionalità.
Cartacea ringrazia Taka Ishii Gallery di Tokyo per aver reso possibile la mostra e Mauro Zanchi
per la disponilita’ a scrivere per il testo critico presente in Galleria.