Splendor Solis. La pittura in progress di Paola Angelini a Venezia
La Project room di Ca’ Pesaro diventa cornice di un esperimento pittorico in fieri, frutto del dialogo tra il linguaggio artistico di Paola Angelini e la collezione del museo veneziano.
Guardare al passato con gli occhi di oggi è una delle imprese più insidiose che l’essere umano si trova ad affrontare. Se a farlo è un/una artista, i piani di lettura si complicano, mostrando il fianco al rischio di sovrapposizioni sdrucciolevoli e beffarde leggerezze interpretative.
Non è però il caso di Paola Angelini (San Benedetto del Tronto, 1983) che, ricorrendo a un solido impianto pittorico affinato negli anni, si misura con la raccolta della Galleria internazionale d’arte moderna di Venezia, trasformata dall’artista nel suo “studio” temporaneo nell’ottobre 2020. Chiusa al pubblico, Ca’ Pesaro diventa così per Angelini terreno di prova e fonte di ispirazione, molla creativa e forse limite dal quale affrancarsi. L’esito di questo dialogo tutt’altro che silenzioso è Splendor Solis, la tela di grandi dimensioni allestita nella Project room della sede espositiva veneziana, che sembra tradurre in colori e linee i piani trasversali lungo cui si sviluppa la raccolta del museo. “È un lavoro che ho voluto lasciare aperto, incompiuto, un dipinto in divenire che può accogliere momenti del pensiero diversi, riflessioni e appunti sulla figurazione, sulla composizione e sulla materia pittorica. Ho scelto di proseguirla e concluderla nel museo, dove ha avuto inizio questa fase di studio”, spiega Paola Angelini.
LA PITTURA DI PAOLA ANGELINI
Figure ieratiche e piene si alternano a presenze quasi abbozzate che osservano un piano solo parzialmente invaso dall’ombra, sul quale trovano spazio teste scultoree e una figura riversa, addormentata. Il passato diviene materia del contemporaneo, senza tuttavia esserne fagocitato, in un work in progress che, per tutta la durata della mostra, cambia la fisionomia della tela, giorno dopo giorno. Lavorare sul presente tenendo saldo il passato e mettendolo in discussione: sembra questo il sotto testo dell’opera di Angelini, che non cade nella facile trappola dell’omaggio, ma si muove con grazia su un limite scivoloso, inglobando in questa operazione anche il pubblico, che varca, inconsapevole, la soglia di uno studio d’artista nel cuore di un museo denso di storia.
‒ Arianna Testino
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