González | Ozzola | Kukama | Mntambo | Eyes in the sky

Informazioni Evento

Luogo
GALLERIA CONTINUA
Via Del Castello 11, San Gimignano, Italia
Date
Dal al

da lunedì a domenica, 10.00-13.00 / 14.00-19.00, su appuntamento

Vernissage
29/05/2021

ore 15-21

Artisti
Giovanni Ozzola, Nandipha Mntambo, Donna Kukama, Osvaldo González
Curatori
Luigi Fassi, Alberto Salvadori, Simon Njami
Generi
arte contemporanea, personale, doppia personale, collettiva
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Aprono a San Gimignano 4 nuove mostre: la prima personale in italia dell’artista cubano Osvaldo González, la personale di Giovanni Ozzola, due personali di artiste africane, Donna Kukama e Nandipha Mntambo, la collettiva “EYES IN THE SKY – Occhi verso il cielo”.

Comunicato stampa

OSVALDO GONZÁLEZ
“Viaje”

Galleria Continua è lieta di presentare per la prima volta in Italia una mostra personale di Osvaldo González. L'artista cubano compie un "viaggio" simbolico attraverso alcune delle sue passioni e principali ricerche: l'interesse per la rappresentazione di spazi interni vincolati alle sue vicende personali, per le capacità espressive ottenibili da un materiale usa-e-getta come lo scotch, il desiderio di costruire nuove situazioni ed esperienze partendo dall'intervento su spazi fisici.

“Viaje” è composta da un’installazione site specific, omonima alla mostra, realizzata con scotch, e da una serie di installazioni tratte dalla sua serie più recente "Archivo personal", realizzate con scotch e resina su plexiglas. In tutte queste opere l'effetto traslucido del materiale è accentuato dalla presenza della luce.

“Viaje”, trasformando l'Arco dei Becci e generando un'esperienza sensoriale su scala architettonica, corona una delle ossessioni dell'artista: veicolare sensazioni a partire dalla materia. Entrando nello spazio pare che la resina di un materiale ambrato, diventata liquida, si sia rovesciata, espansa, congelata e sia infine salita verso l'alto. Partendo dall’unione di vari punti dello spazio, il percorso espositivo, dall’idea di essere "dentro" o "fuori" dall’installazione, conduce alla possibilità di esservi eternamente intrappolati come una zanzara nell’ambra. Grazie alla adozione di questa nuova logica interna dello spazio la mostra invita a percorrerlo in un modo alternativo.

Le immagini alla base delle installazioni provengono dall'archivio personale dell'artista. Ci rivelano alcuni dettagli del suo ambiente domestico, familiare, lavorativo e in generale affettivo. Sebbene generalmente ritraggano spazi interiori, hanno sempre una connessione con il paesaggio esterno attraverso, per esempio, la luce che entra da una porta, una finestra o una scala.

Il viaggio a cui fa riferimento González è un viaggio intimo, meticoloso, di riaffermazione delle sue ricerche e scoperta di se stesso e della sua maturità. Tuttavia non si tratta di un percorso individuale. La profondità delle immagini, il loro potenziale narrativo e i punti di fuga ci spingono insieme all’artista “a varcare la soglia” delle sue opere. Forse il fascino maggiore emana da "Templo", il polittico di grande formato che ci pone davanti a noi un angolo “accogliente” della casa di González, dove le piante sono le protagoniste, che ci invita a immaginare diverse storie; questo spazio abitato, sebbene privo della figura umana, ci rende partecipi dell’intimità dell'artista.

Osvaldo González (Camagüey, Cuba, 1982) si é laureato all’Istituto Superiore dell’Arte all’Avana nel 2006. Fra le sue principali mostre personali e colletive menzioniamo: “Truc à faire” (2020, Galleria Continua, Parigi, Francia); “Mirador Circular” (2020, Galleria Continua, La Habana, Cuba); “Ámbar” (2020, NC-Arte, Bogotá, Colombia); “El principio de todo” (2019, Galería Servando, La Habana, Cuba); “Umbrales” (2019, Galleria Continua, La Habana, Cuba); “Art of the Treasure Hunt” (2019, varie sedi, Toscana, Italia); “Ola Cuba” (2018, Gare de Saint Sauveur, Lille, Francia); “Diamante en bruto” (2018, Galleria Continua, La Habana, Cuba); “Cuba mi amor” (2017, Galleria Continua, Les Moulins, Francia); “¿Soy Cuba?” (2017, Palazzina dei Bagni Misteriosi, Milano, Italia); “Nido sin árbol” (2017, Unión Nacional de Arquitectos e Ingenieros de la Construcción de Cuba UNAICC, La Habana, Cuba). Nel 2018 ha ricevuto da Rockefeller Brothers Fund una borsa di studio per la residenza "Residency Unlimited" a New York e ha vinto il Premio de Adquisición al Mejor Artista Emergente della fiera Zona Maco, Città del Messico.
GIOVANNI OZZOLA

“Atto Unico / Single Act”
Inaugurazione sabato 29 maggio 2021, via del Castello 11, dalle 15 alle 21
Fino al 31 agosto 2021, da lunedì a domenica, 10.00-13.00 / 14.00-19.00, su appuntamento.

“Non finisce né inizia il viaggio. Ne siamo dentro. In riposo. Sulla barca che va “nella luce che abbaglia” di un altro giorno che comincia, o che muore. Ci faremo indistinti nella grande luce, e non più soli. “
Pier Luigi Tazzi

Galleria Continua è lieta di ospitare “Atto Unico / Single Act” un progetto espositivo di Giovanni Ozzola concepito appositamente per gli spazi della galleria. Come una piece teatrale, tutto avviene e si contiene in un’immagine totalizzante che contempla in sé una moltitudine di aspetti. La mostra, pensata per gli spazi della torre, rappresenta gli estremi che sono l’essenza della vita: il giorno, la notte, il maschile, il femminile, l’interno, l’esterno. Un unicum che comprende verità molteplici; armonia e contrasti che si fondono in una poetica densa di quesiti filosofici e universali.

L’intervento rivela la specificità della ricerca di Giovanni Ozzola che, abbracciando pratiche artistiche diverse – in questo caso la fotografia, la scultura e l’installazione - si contraddistingue per un’indagine che parte sempre dall’osservazione del mondo visibile, dello spazio e della luce. Costante il dialogo con la pittura che attraversa tutti i campi della sua azione.

Il percorso espositivo si apre con “Tā 她 他” (2021), un dittico fotografico: da un lato l’immagine profusa di luce rosata che illumina un interno, dall’altro una luce blu che come una lama apre un varco nel buio. “Tā in cinese, indica sia lui che lei, la pronuncia è la stessa, solo aggiungendo altri particolari si può capire se il Tā è lui (他) o lei (她) oppure esso/essa (它) quando si riferisce a cose o oggetti inanimati. Nella lingua scritta si legge chiaramente la differenza, mentre in quella parlata tutto rimane in sospeso, come in una poesia. Il concetto stesso di Tā contempla e include, in armonia, il contrasto. Questa sospensione è concettualmente l’inizio della mostra”, spiega l’artista.

Nella sala d’ingresso Ozzola pone l’accento sul soffitto a volta trasformandolo in ‘sfera celeste’. “Contando estrellas” - omaggio a Giotto - è la riproduzione fedele di un cielo stellato, catturato durante il periodo di lockdown nel 2020. “Dal tetto di casa, dichiara l’artista, lo sguardo andava verso il cielo, contando le stelle, viaggiando verso un infinito più grande di qualsiasi pensiero. Quelle stelle che danno la nostra posizione precisa sulla terra, erano e sono, la via di fuga verso un luogo sconosciuto. Sono anche una misura del tempo, i giorni e le fasi, la direzione da seguire; un orizzonte senza limiti”.

L’ingresso funge da punto di unione e di passaggio ad altri due ambienti espositivi. Nella prima sala l’artista interviene con un’installazione che ridefinisce lo spazio creando un nuovo orizzonte; il modus operandi è quello che caratterizza il lavoro di Ozzola da molti anni: la tecnica di stampa su cemento. “Le aperture che squarciano i muri sono cicatrici urbane, luoghi dalla simbologia così forte da farsi archetipo, per offrirci un’apertura verso altri mondi. Si completano a vicenda; a noi che guardiamo danno un senso di simmetria, perché in quelle mura ci possiamo proteggere, in quella luce possiamo invece navigare e perderci (…) ambienti chiusi che offrono una prospettiva lontana ci permettono di vivere un’esperienza esclusiva, di solitudine, che è una parola tanto complessa quanto aperta alle interpretazioni più diverse. I segni e i graffiti sono le cicatrici che ricordano il nostro passaggio. Quelle strutture sono il nostro cranio e le prospettive il nostro sguardo”. Chiosa l’artista. Nella seconda sala Giovanni Ozzola colloca un gruppo di campane recuperate da navi naufragate o demolite. “Campane utilizzate per segnalare la propria posizione; l’affermazione di sé. Sono qui, nella notte, nel buio, o semplicemente ad occhi chiusi, mi sento, occupo questo luogo, sono parte di ciò che mi circonda ma sono un centro un punto nevralgico”, racconta l’artista. “Atto Unico / Single Act” si conclude dunque con un’installazione che ci riporta idealmente al centro, a noi stessi. Alle nostre corde vocali che vibrano come le corde alle quali sono appese le campane che occupano il nucleo dell’antica torre.

Nato a Firenze nel 1982, Giovanni Ozzola attualmente vive e lavora alle Isole Canarie, Spagna. Ha esposto il suo lavoro a livello internazionale presso numerose istituzioni pubbliche e private, tra queste: MAC – Museo De Arte Contemporaneo De Sao Paulo, Sao Paulo, Brasile, Gangnam-Gu, Seoul, Corea, Habitat Art Space, Shanghai, Cina, Ocean Flower Island Museum, Hainan, Cina nel 2021; Museo Villa Croce, Genova, Italia, OCAT, Shanghai, Cina, Chao Art Center, Beijing, Cina, Fosun Foundation Shanghai, Cina nel 2020; Foro Romano e Palatino, Parco Archeologico del Colosseo, Roma, Italia, Centro Foundacion UNICAJA de Almeria, Almeria, Spagna nel 2019; Palacio de los Marqueses de Moctezuma, Museo Unicaja Joaquin Peinado, Ronda (Málaga), Spagna, Fundación Unicaja, CUC Centro Unicaja de Cultura de Antequera, Spagna, Rotary Waregem, Claessens Canvas, Waregem, Belgio, Foundation Louis Vuitton, Parigi, Francia, Palazzo Mazzarino, Palermo, Italia (evento collaterale MANIFESTA 12), MAXXI – Museo Nazionale delle Arti del XXI Secolo di Roma, Italia nel 2018; Untitled Association Lynchen, Berlino, Germania, Macro, Roma nel 2017; District 6 Museum, Cape Town, Sud Africa, Sms, Pisa, Italia, Abu Dhabi Art, Abu Dhabi, Emirati Arabi nel 2016. Le sue opere sono conservate in numerose collezioni private e pubbliche, tra cui il MART di Rovereto, in Italia; Chelsea Art Museum a New York, Stati Uniti; Sharjah Maraya Art Center a Dubai; Mori Museum a Tokyo in Giappone; Schunck-Glaspaleis a Herleen, Paesi Bassi; Künstlerhaus Palais Thurn Und Taxis, a Bregenz in Austria; Man Museo d'Arte, Nuoro, Italia; Waseda University, Tokyo, Giappone; Centre d'Art Bastille, Grenoble, Francia; GC, AC, Monfalcone, Italia; Viafarini Docva, Milano, Italia; Centro Arti Visive Pescheria, Pesaro, Italia; OCAT - Contemporay Art Terminal, Shanghai, Guandong Museum of Art, Guangzhou, Cina; 2139, Jeddah, Arabia Saudita; District Six Museum, Città del Capo, Sudafrica, Star Museum, Shanghai, Cina. Tra I premi: “Premio Terna” (2008), “The Talent Prize” (2010) e il “Premio Cairo” (2011), Seat Pagine Gialle, Regione Toscana (2007).

“LA MATIÈRE VIVANTE”
a cura di Simon Njami

Inaugurazione sabato 29 maggio 2021, via del Castello 11, dalle 15 alle 21
Fino al 31 agosto 2021, da lunedì a domenica, 10.00-13.00 / 14.00-19.00, su appuntamento.

Galleria Continua ha il piacere di ospitare per la prima volta nei suoi spazi espostivi due protagoniste della scena artistica contemporanea, Donna Kukama e Nandipha Mntambo, con la mostra dal titolo “La Matière Vivante”, a cura di Simon Njami.

“Donna Kukama e Nandipha Mntambo sono due artiste sudafricane che, ciascuna a suo modo, mettono in discussione la materia. La “matera prima” a partire dalla quale, in alchimia, si accede al "rubedo", la distillazione finale. Il bronzo, il rame, l’acciaio, il gesso, il legno, le pelli di animali sono gli elementi da cui partono per comporre le loro storie. Ciò che la materia ha di unico è che è viva. È ancorata al presente, alla sua materialità, ma contiene una memoria che risale a tempi infiniti. Il lavoro di queste due artiste è saldamente ancorato a una memoria con la quale giocano all’infinito. Donna Kukama la interroga attraverso la scrittura e le performance, con le quali evoca i vecchi tempi per confrontarli con i tempi nuovi, metterli in parallelo, valutarli e trarre lezioni per i tempi a venire.

Nandipha Mntambo, che ugualmente usa la performance come mezzo di espressione, mette in scena se stessa anche nelle sue sculture, usando il proprio corpo come modello. Il linguaggio del corpo ha le sue regole che a volte sfuggono allo stesso regista. Nel teatro della rappresentazione, il lavoro di Mntambo si rivolge ai codici di rappresentazione e alle ripartizioni ancestrali nella frattura uomo/donna che lei rimette in discussione, come nel video in cui mette in scena se stessa come un matador senza avversario. Forse ho dimenticato di aggiungere, ed è ora di correggere questa omissione, che Kukama e Mntambo sono donne di colore ed entrambe sono nate nel Sudafrica dell'apartheid. Ciò implica una dimensione politica più o meno manifesta nel loro lavoro.

La memoria da cui parte Kukama è una memoria livida e arrabbiata, come si può capire nel pezzo “How powerful you must have been to be wanted bloody dead dead dead” (2020). Non mi soffermerò sul messaggio contenuto in quest'opera, il cui titolo è abbastanza esplicito, se non per evidenziare i materiali che l'artista impiega, tra cui la ‘rabbia nera’. In “The walls refused to forget their bright bullet-shatters and loud-blood-splatters” (2019), troviamo anche materiali che raramente sono menzionati in modo così diretto: il calore e la memoria. E la scrittura che usa non è comprensibile a tutti; bisognerebbe chiudere gli occhi perché penetri in profondità. Tentare di decifrarla sarebbe inutile per chiunque non fosse passato attraverso una qualche forma di iniziazione.

E ancora di iniziazione si tratta, quando Mntambo si veste di pelli di animali (mucche) o le tritura per fare delle sculture. Ciò che viene evocato qui è la nostra animalità e il potere sciamanico di coloro che parlano con l'invisibile. Gli oggetti non sono mai quello che sembrano ma sono investiti di un nuovo significato la cui sottigliezza intende sfuggire ai codici convenzionali. Qui non è più in gioco l'Africa, ma un'universalità che trascende la geografia e la cultura proprio perché è ancorata ad una terra diversa da ogni altra. Una terra dove la materia rimane ciò da cui dobbiamo partire.” (Simon Njami)

Donna Kukama è nata nel 1981 a Mafikeng in Sudafrica. Vive e lavora tra Berlino e Johannesburg. Nel 2008 ha acquisto un Master in Arte nella Sfera Pubblica presso Ecole Cantonale Arts du Valais in Svizzera ed è attualmente dottoranda presso il Transart Institute e la Liverpool John Moores University. Ha esposto in numerose istituzioni e musei di prestigio: Tate Modern a Londra, Nottingham Contemporary a Nottingham, Kunsthal KaDe a Amersfoort, PAC Padiglione d’Arte Contemporanea Milano a Milano, South African National Gallery a Cape Town, Museum of Modern Art ad Anversa, nGbK a Berlino, New Museum a New York. Ha preso parte all’8° e alla 10° Biennale di Berlino, alla 57° Biennale di Belgardo, alla 12° Biennale di Lione, alla 6° Biennale d’Arte Contemporanea di Mosca, alla 32° Biennale São Paulo, alla 55° Biennale di Venezia all’interno del Padiglione del Sud Africa. Di recente è stata guest professor presso l'HBK Braunschweig (2019-2020), dal 2001 è docente presso il Dipartimento di Arti Visive della Wits School of Arts (University of Witwatersrand).

Nandipha Mntambo è nata nel 1982 a Mbabane, eSwatini. Vive a Johannesburg. Nel 2007 si è laureata con un Master in Belle Arti presso la Michaelis School of Fine Art, University di Cape Town. Nel 2017 ha realizzato una mostra personale allo Zeitz Museum of Contemporary Art Africa dal titolo “Material Value”. Nel 2011 ha vinto lo Standard Bank Young Artist Award per le arti visive che ha dato vita alla mostra nazionale itinerante “Faena”. Ha tenuto sette mostre personali a Stevenson Cape Town e Johannesburg (2007-17) e due ad Andréhn-Schiptjenko, Stoccolma (2013-15). Tra le principali mostre collettive ricordiamo quelle realizzate presso: Iziko South African National Gallery, Cape Town (2020); Johannesburg Art Gallery, Johannesburg (2019); BOZAR Palais de Beaux Arts, Bruxelles (2019); Museum of Fine Arts, Boston (2019); Norval Foundation, Cape Town (2018); Tel Aviv Museum of Art, Tel Aviv (2017); Seattle Art Museum (2015) e Brooklyn Museum, New York (2016); Padiglione del Sud Africa alla 56° Biennale di Venezia (2015); MMK Frankfurt, SCAD Museum of Art e Smithsonian National Museum of African Art, Washington DC (2014-15); Maison Rouge, Parigi e Staatliche Kunstsammlungen Dresden (2013); 3° Biennale Internazionale di Mosca per la Giovane Arte, Mosca (2012); 17° Biennale di Sydney (2010); 9° e 12° Biennale di Dakar (2010 e 2016); Biennale di Fotografia Africana (2009). Selezionata per l'AIMIA | AGO Photography Prize in Canada nel 2014, ha vinto il premio Civitella Ranieri nel 2013.

EYES IN THE SKY – Occhi verso il cielo

Leila Alaoui, Kader Attia, Alejandro Campins,
Jonathas De Andrade, Shilpa Gupta, Aziz Hazara, Jorge Macchi,
Ahmed Mater, Susana Pilar, José Antonio Suárez Londoño, Nari Ward

A cura di Luigi Fassi e Alberto Salvadori

Inaugurazione sabato 29 maggio 2021, via del Castello 11, dalle 15 alle 21
Fino al 31 agosto 2021, da lunedì a domenica, 10.00-13.00 / 14.00-19.00, su appuntamento.

Galleria Continua è lieta di presentare “EYES IN THE SKY – Occhi verso il cielo” un progetto curatoriale di Luigi Fassi e Alberto Salvadori che raccoglie opere di Leila Alaoui, Kader Attia, Alejandro Campins, Nikhil Chopra, Jonathas De Andrade, Shilpa Gupta, Aziz Hazara, Jorge Macchi, Ahmed Mater, Susana Pilar, José Antonio Suárez Londoño, Nari Ward.

“In un testo del 1982 divenuto un classico della cultura contemporanea, All That is Solid Melts into Air - The Experience of Modernity, Marshal Berman definiva la modernità come l’insieme di tutti i tentativi da parte degli uomini e delle donne di diventare soggetti oltre che oggetti del mondo moderno per affermare la propria dignità e vivere nel mondo sentendosi in esso a casa propria. Essere moderni è così vivere un’esperienza dello spazio e del tempo, del sé e degli altri, delle possibilità e dei pericoli della vita, che promette avventura, potere, gioia, crescita, trasformazione di noi stessi e del mondo, e che allo stesso tempo minaccia di distruggere tutto ciò che abbiamo, tutto ciò che sappiamo, tutto ciò che siamo. Voler essere moderni implica per Berman vivere in modo aperto ed espansivo un crinale rischioso, dove comprendere la cultura e le forme della vita senza suddividerle in frammenti e casi separati, abitando un luogo dove tutti i tipi di attività artistiche, intellettuali, religiose e politiche possano essere viste come parte di un unico processo dialettico è in reciproca interazione creativa. È una dimensione aperta che crea le condizioni per il dialogo tra il passato, il presente e il futuro, attraversa lo spazio fisico e sociale allargando la visione della nostra prospettiva e mostra come nelle nostre vite ci sia più di quanto si pensi, dando ai nostri giorni una nuova risonanza e profondità. Ma è un'unità paradossale, avverte Berman, un'unità di disunità: riversa ognuno di noi in un vortice di perpetua disintegrazione e rinnovamento, di lotta e contraddizione, di possibile ambiguità e angoscia.

Ecco perchè la grande storia diviene più facile da capire e approcciare se il punto di vista adottato è quello che proviene dal basso, dalla visione dettata dalle singole presenze ed esperienze, dalle vicende del quotidiano che sono in alcuni casi delle tragedie. Prendersi cura di queste testimonianze di ogni giorno e avvicinarle significa accogliere posizioni e punti di vista personali, raccontando storie e osservazioni individuali che non sempre corrispondono alla versione della storia ufficiale. Questo è il lavoro a cui sono votati degli artisti che compongono la mostra “Eyes in the Sky”, l’esercizio di una pratica di ascolto in cui l’arte sia una continua fonte di nutrimento per la vita. Come un puzzle, le loro opere in mostra formano un’immagine più grande che può metterci nelle condizioni di mettere a fuoco la nostra idea, spesso fallacemente approssimativa, di ciò che in apparenza è inspiegabile, inafferrabile e lontano.

In “Eyes in the Sky” il lavoro degli artisti agisce sulla memoria, per salvaguardarla e aiutarla a definirsi, creando immagini e ricordi. Il loro sforzo è quello di impedire alla nostra memoria di riprodurre avvenimenti in modo distorto, creando falsi ricordi, esperienze stranianti che reprimano la realtà viva fatta di immagini e vissuti reali ed autentici.
Come si salva la vita dalle catastrofi che incombono su di essa? Il lavoro degli artisti solleva talvolta una domanda rispetto alla realtà senza filtri che la loro azione critica pone di fronte a noi: non sarebbe meglio tenere lontano il passato quando esso è troppo disturbante e fare lo stesso con il presente se questo è teatro di allarme e sconforto? Volgere lo sguardo altrove è una tentazione potente pur nella consapevolezza che tacere o reprimere non serve a far scomparire la narrazione di una verità o lo spettro della sua presenza.

La risposta a questi interrogativi è data da uno sguardo che si volge idealmente verso l’alto. In “Eyes in the Sky” gli artisti tengono gli occhi aperti verso il cielo, per costruire la storia senza subirla, attraversandone la durata e l’avventura, la materia concreta del tempo e la forma individuale e collettiva degli uomini.” (Luigi Fassi e Alberto Salvadori).

In ottemperanza alle misure per il contenimento del rischio da contagio Covid-19 gli ingressi alla mostra saranno contingentati.