Francia. Una decolonizzazione culturale possibile?

Voluto da Macron, il report ispirato alla possibile restituzione all’Africa del suo patrimonio culturale conservato in Francia apre nuove vie alla cosiddetta “decolonizzazione culturale”.

Venerdì 23 novembre Felwine Sarr – economista e scrittore senegalese ‒ e Bénédicte Savoy ‒ storica dell’arte francese ‒ hanno presentato a Emmanuel Macron ‒ presidente della Repubblica francese ‒ il report dal titolo The Restitution of African Cultural Heritage. Toward a New Relational Ethics. Lo studio, elaborato anche grazie all’expertise di Isabelle Maréchal e Vincent Negri, è stato realizzato in seguito a un’ampia consultazione di studiosi e attori politici francesi e africani (nello specifico provenienti da Senegal, Mali, Camerun e Benin) avvenuta a cavallo tra marzo e luglio 2018.
Obiettivo del report? Approfondire le possibilità giuridiche, etiche e culturali per “l’avvio di un’azione decisiva in favore della circolazione di opere d’arte e della condivisione di una conoscenza collettiva riguardo ai contesti in cui queste opere d’arte son state create ma anche su come sono state acquistate, talvolta illegalmente sottratte, salvate o distrutte”. “Tale circolazione”, continua Macron nell’affidare l’incarico del report, “potrà eventualmente assumere forme diverse, tra le quali una modifica definitiva delle collezioni museali nazionali e la restituzione di alcune opere”.

LA POSIZIONE FRANCESE NEL 2016 E IL CAMBIO DI ROTTA DEL 2017

Nel novembre 2017, in occasione di un incontro istituzionale presso l’Università di Ouagadougou, Burkina Faso, il presidente francese annuncia di voler invertire il tradizionale atteggiamento tenuto dalla Francia riguardo al proprio patrimonio culturale e alle collezioni museali nazionali. In presenza del presidente del Burkina-Faso, Macron ha dichiarato “a partire da oggi, e nei prossimi cinque anni, voglio vedere le condizioni poste in atto per consentire la restituzione temporanea o definitiva del patrimonio culturale africano in Africa“.
Tale annuncio è arrivato a sorpresa se si pensa alla posizione francese dell’aprile 2016 riguardo la richiesta di restituzione da parte del Benin di beni culturali appartenenti alla propria cultura e custoditi in Francia. Le statue in oggetto, raffiguranti figure antropomorfe e ricoperte di emblemi reali, erano state trafugate dal colonnello francese Alfred Dodds durante un saccheggio avvenuto nel 1892 e poi offerte al museo etnografico Trocadéro. A tale richiesta ufficiale la Francia rispose quattro mesi dopo, sostenendo che, seppur consapevoli dell’importanza storica e culturale di tali opere, non vi erano ragioni giuridiche valide per la restituzione (la Convenzione Unesco del 1970 volta a impedire l’illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà di beni culturali, seppur ratificata dalla Francia, non ha effetto retroattivo). Tale fu la chiusura che nell’aprile 2018 il ministro della cultura e dello sport del Benin ha paragonato una possibile restituzione del patrimonio culturale dell’Africa alla “caduta del muro di Berlino o la riunificazione della Corea del Nord e del Sud”.
La detenzione di beni culturali africani non è una realtà che riguarda unicamente la Francia, il documento firmato da Sarr e Savoy riporta come la collezione del British Museum consta di 69mila oggetti provenienti dall’Africa sub-Sahariana; il Weltmuseum di Vienna ne contiene 37mila; 180mila fanno parte del Musée Royal de l’Afrique Centrale in Belgio e a Parigi il Musée du quai Branly-Jacques Chirac ne conta 70mila esemplari. Rispetto a questi numeri, incredibile è il paragone con la quantità di oggetti di interesse artistico, storico o antropologico annoverati negli inventari dei musei nazionali africani: 3mila (quasi tutti di poca rilevanza) secondo l’esperto Alain Godonou.

Al di là dei metodi legali a disposizione, è fondamentale riflettere sulle effettive possibilità, da un punto di vista culturale e antropologico, della restituzione di beni che si contraddistinguono per il loro interesse storico, artistico, spirituale”.

Com’è cambiata, a distanza di due anni, la posizione francese nei confronti di una possibile ‘decolonizzazione culturale’? Sarr e Savoy intendono prima di tutto chiarire l’ambiguità lessicale che potrebbe derivare dalle espressioni “restituzione temporanea” e “restituzione definitiva”: possibilità ugualmente attuabili così come presentate da Macron. Una restituzione temporanea, a detta dei due studiosi, non porterebbe ad altro che a mantenere lo status quo di indebitamento illegittimo del patrimonio africano. Allo stesso modo, un favor verso la ‘circolazione di opere d’arte’ equivarrebbe a eludere il nodo cruciale di una vera e propria restituzione: le modalità del passaggio di proprietà e le possibili modifiche alla legislazione francese in tema di beni culturali, specialmente riguardo all’inalienabilità delle collezioni pubbliche.
Il Rapporto, invece, ammette e difende un terzo atteggiamento possibile, volto a permettere una restituzione permanente delle opere d’arte attualmente in ‘custodia’ dei musei francesi.

I CRITERI PER LA RESTITUZIONE

Con la consapevolezza che nessuno in Francia o in Africa auspicherebbe la restituzione dell’insieme delle opere africane custodite in Europa, le quali costituiscono oramai un insieme che progressivamente ha assunto un valore simbolico, economico e scientifico dato dalla loro prolungata esposizione fuori dai confini nazionali, si chiarisce come necessariamente si tratterebbe di una restituzione parziale.
Quali sono le opere in oggetto? Il report individua quattro categorie, comprendenti: gli oggetti sequestrati durante occupazioni militari prima dell’entrata in vigore della Convenzione dell’Aja (1899); i beni collezionati in Africa in occasione di ‘spedizioni scientifiche’; le opere donate ai musei francesi da funzionari appartenenti all’amministrazione coloniale e gli oggetti acquistati illegalmente dopo la prima decolonizzazione (avvenuta, per diciassette stati africani, nel 1960). Oltre all’individuazione di queste categorie, il documento prosegue con l’elencazione dei criteri e delle tempistiche necessarie per il processo di restituzione, il quale, così come riporta il report, non potrà che avvenire progressivamente e dovrà essere supportato da rigorose analisi storiche e archivistiche.

“L’elaborazione del report, voluto e commissionato dal governo, è sicuramente un atto politico importante”.

Al di là dei metodi legali a disposizione, è fondamentale riflettere sulle effettive possibilità, da un punto di vista culturale e antropologico, della restituzione di beni che si contraddistinguono per il loro interesse storico, artistico, spirituale. Dopo un’assenza così prolungata, si chiedono gli autori dello studio, è possibile ‘re-installare’ un bene culturale nel proprio contesto d’origine, veder riconosciuto a esso nuovamente le funzioni e gli usi che gli erano propri? Lo specialista di arte africana John Peffer parla a questo proposito di una ‘diaspora’ in cui alcune categorie di oggetti, una volta rimossi, subiscono molteplici processi che portano a un’imposizione di diversi strati di significato. Andando oltre, per alcune comunità africane è possibile parlare di un’amnesia del proprio passato e della propria identità tale da aver rimosso non solo la conoscenza del proprio patrimonio culturale, ma anche il profondo senso di necessità dello stesso che potrebbe determinarne la richiesta.
Per questi motivi, la possibilità di restituzione di beni culturali nel proprio contesto di origine, così come elaborata da Sarr e Savoy, non ha come obiettivo quello di “sostituire una forma di imprigionamento fisico e semantico con un’altra”, si tratterebbe piuttosto di un’operazione per riattivare una memoria dimenticata. La restituzione, inoltre, innescherebbe un processo volto alla riappropriazione da parte del patrimonio culturale del significato che gli è proprio e del ruolo che gli spetta all’interno delle società africane contemporanee.
L’elaborazione del report, voluto e commissionato dal governo, è sicuramente un atto politico importante, nonché un risultato scientifico di rilievo in quanto fornisce una mappatura approfondita e inedita delle opere d’arte africana presenti sul territorio francese. Una tale apertura, a livello europeo, rimane ancora isolata.
Di segno opposto appare, infatti, l’accordo siglato il mese scorso dall’Inghilterra per la restituzione temporanea di mille bronzi del Benin ‒ di proprietà del British Museum di Londra ‒ che saranno esposti nel nuovo museo di Benin City, in Nigeria.
Le due iniziative marcano la differenza tra ‘restituzione temporanea’ e ‘restituzione definitiva’ come due possibili atteggiamenti nell’elaborazione delle politiche riguardanti il patrimonio culturale nazionale.

Anna Pirri Valentini

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Anna Pirri

Anna Pirri

Dottoressa in Giurisprudenza all’Università La Sapienza di Roma, attualmente dottoranda in Analysis and Management of Cultural Heritage alla Scuola IMT Alti Studi di Lucca.

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