La pittura su pietra è al centro di una grande mostra all’Accademia Carrara di Bergamo
La mostra “Arte e Natura” all’Accademia Carrara offre un’affascinante panoramica della pittura su pietra, tecnica tanto preziosa, quanto poco nota in cui la pittura ambisce a toccare l’eternità della natura
La mostra Arte e Natura. Pittura su pietra tra Cinque e Seicento all’Accademia Carrara di Bergamo indaga un capitolo poco noto della storia dell’arte italiana: la pratica di dipingere direttamente su lastre di pietra, scelta ambiziosa che coniuga la durata a una tensione poetica tra materia naturale e intervento umano. L’esposizione, curata da Patrizia Cavazzini con la collaborazione di Maria Luisa Pacelli, permette di seguire l’evoluzione di questa tecnica, dal suo emergere fino alle declinazioni barocche, restituendo il senso di una pratica che, sfidando la tradizionale gerarchia tra pittura e scultura, ambiva a ottenere artefatti che avrebbero dovuto condividere la durabilità del loro supporto ed esplicitarne tutta la carica simbolica.
L’opera di Lorenzo Lotto che introduce la mostra a Bergamo
A introdurci a questa singolare mostra che comprende circa sessanta opere è un Ritratto di giovane dipinto da Lorenzo Lotto negli ultimissimi anni del Quattrocento. Non si tratta però di una pittura realizzata su pietra, bensì su tavola, e chi arriva non vede subito nemmeno il volto del ragazzo effigiato dal pittore: quello che ci accoglie all’entrata, alludendo al minerale, è il retro del quadro, che la direttrice dell’Accademia Carrara, Maria Luisa Pacelli, ha per la prima volta reso visibile al pubblico confermandone la paternità lottesca. Tuttavia, se qui l’apparenza lapidea è solo iperrealisticamente imitata, siamo però già testimoni di una volontà di esprimere una sorta di memento sulla transitorietà della giovinezza, attributo del soggetto raffigurato sul recto, contrapposta alla inscalfibilità della materia minerale allusa sul verso.

I primi esempi di pittura su pietra in mostra all’Accademia Carrara
Ma a questo punto siamo già nella prima sala, dove trovano dimora i primi esempi di questa tecnica, riscontrabili sulle scure superfici che presentavano le pietre cosiddette “di paragone” o la lavagna. Ecco apparire il Ritratto di Clemente VII (1531 circa), un’opera creata da colui che viene ritenuto l’iniziatore di tale innovazione: Sebastiano del Piombo. Attivo a Roma nei giorni che seguirono le rovine del Sacco, il pittore veneziano, impressionato dalla vulnerabilità e dalla fragilità dei supporti tradizionali, pensò appunto di inaugurare una nuova formula, che consentendo di stendere i colori a olio su di uno sfondo lapideo, permettesse alla pittura, che avrebbe dovuto consustanziarsi col minerale, di avere una durata tendenzialmente eterna. Senza tralasciare l’altro importante intento, di fornire un corrispettivo simbolico alla figura del pontefice, la cui missione, in quanto successore di Pietro, dalla pietra era eloquentemente esemplificata.
Un altro illustre campione di pittura su pietra scura ce lo fornisce una struggente Orazione nell’orto (1580-1590) di Francesco Bassano, concepita in una sulfurea ambientazione notturna, con le tenebre squarciate da riflessi infuocati che rasano i corpi addormentati degli apostoli, mentre, più in alto, una luce di matrice angelica si riflette sui connotati dolenti del Cristo.
Passando davanti, tra gli altri, a un ritratto di doge del padre di Francesco, il più famoso Jacopo Bassano, arriviamo a una Crocifissione (1582-1584 circa) di Paolo Veronese, eseguita su marmo nero: la superficie della pietra lasciata a vista incombe alle spalle del Crocifisso simulando un’apocalittica tenebra temporalesca, mentre lungo il basso orizzonte la pittura fa emergere il livido profilo di una Gerusalemme dipinta a monocromo.
Non solo opere ma anche documenti e materiali per raccontare la pittura su pietra a Bergamo
Dopo aver preso visione di una sezione dedicata ai documenti e ai materiali, in cui spicca uno straordinario manufatto settecentesco, al tempo stesso mobile barocco e campionario scientifico, la Litoteca del cardinale Riminaldi, proseguiamo nella scoperta delle lavagne e pietre di paragone dipinte nel Seicento. In questa sezione, in cui troviamo opere di Alessandro Turchi detto l’Orbetto, di Jacques Stella e di Pasquale Ottino, ci colpiscono soprattutto le stregonesche visioni notturne di Salvator Rosa e le corrusche accensioni di fiaccole e di roghi di Stefano Della Bella, altrettanto a suo agio nel cavare le figure dalle tenebre della pietra che nel farle emergere nervosamente dalle lastre di metallo, in ossequio alla sua più conosciuta attività incisoria.
All’Accademia Carrara il connubio tra arte e geologia
Ma l’interazione più affascinante e pittoresca tra l’artificio della pittura e la capricciosa natura propria di alcune pietre la si avrà quando si passa a operare sulle cosiddette paesine e sui diaspri. Qui davvero i ghiribizzi della geologia danno esca all’inventiva degli artisti, che si trovano a trarre ispirazione da intrecci di venature e segnature prismatiche incubate nel cuore dei minerali, che, tagliati e lucidati, si presentano come scenari di rovine fantastiche o di scoscesi rilievi lunari. Ecco così le concitate scene bibliche e guerresche di Antonio Tempesta, e di nuovo le pitture di Stefano Della Bella, che innestano episodi mitologici in scenari dirupati emergenti da orride gole montane.
Stesse fantasie e capricci li ritroviamo nella interazione con minerali più preziosi come le pietre dure o l’alabastro fiorito, la cui grana si presta a figurare nebulosità sideree o mobili riflessi acquatici. L’esempio più illustre è costituito da un olio su lapislazzuli montato su lavagna eseguito intorno al 1612 da Orazio Gentileschi, che ci mostra Davide in contemplazione della testa di Golia.
E qui tocchiamo l’acme di questa pratica, che continuerà, come possiamo vedere nell’ultima sezione della mostra, con la pittura confinata in riquadri ristretti da cornici, modanature e tabernacoli di pietra riccamente intarsiata, e questi apparati finiranno per porre l’opera del pittore in secondo piano, determinando la decadenza della pittura su pietra. Decadenza dovuta anche alla disillusione circa la supposta durevolezza e infrangibilità delle pitture, le quali avrebbero dovute esse pure “lapidizzarsi”, e che invece si rivelarono ancor più fragili di quanto non fossero i dipinti tradizionalmente eseguiti su tavola o tela.
Il progetto di Paolo Chiasera all’Accademia Carrara di Bergamo
Tematica in cui rientra il progetto di Paolo Chiasera (Bologna, 1978) che, intitolato Orti tintori, a cura di Maria Luisa Pacelli ed Elena Volpato, che mette in relazione arte e natura attraverso due installazioni collocate tra interno ed esterno. Imponente l’opera che troviamo all’interno, I giardini di Sardegna, Cipro, Gerusalemme e Bergamo, una grande tela dipinta a olio che si estende lungo le pareti di una sala per oltre 26 metri e che l’artista dal 2014 è solito allestire in vari musei e gallerie, allo scopo di ospitare, dislocati sulla sua superficie, quadri facenti parte delle rispettive collezioni. La natura picta si trova così a dialogare con l’arte interagendo, in questo caso, con alcuni dipinti storici rinvenuti nella collezione della Carrara.
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Alberto Mugnaini
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