A Milano il legame tra uomo e natura è protagonista di una mostra sulla sostenibilità
Per la quarta edizione del Progetto Arte Circolare, Triennale Milano presenta 10 artisti chiamati a ragionare sui temi del riciclo e della sostenibilità. Al centro della mostra c’è l’opera di Binta Diaw, vincitrice del Premio Arte Circolare
Tra le tematiche più sensibili al centro della programmazione culturale di Triennale Milano, la tutela dell’ambiente è ormai da anni un soggetto privilegiato. I cambiamenti climatici e le conseguenze sempre più evidenti dell’incontrollata azione umana rendono ogni giorno più necessario sensibilizzare il pubblico sull’urgenza di modificare le proprie abitudini all’insegna di una nuova sostenibilità e di un ritrovato rapporto con la natura. Tra le iniziative che si snodano a partire da questo credo vi è il progetto Premio Arte Circolare, promosso da CONAI – Consorzio Nazionale Imballaggi e a cura di Spazio Taverna. Un’occasione annuale che coinvolge un gruppo di artisti contemporanei chiamati a ragionare sul concetto di circolarità della materia e di un ritrovato rapporto sostenibile con il mondo che ci ospita. Il tema dell’anno è la percezione; come commenta il curatore Damiano Gullì, tutte le opere in mostra “suggeriscono che un cambio di sguardo, e dunque di racconto, può generare pratiche concrete e alimentare uno sviluppo più virtuoso e simbiotico tra l’uomo e l’ambiente”.
Il progetto Arte Circolare in Triennale Milano
“Giunto alla sua quarta edizione, il progetto Arte Circolare arriva alla Triennale Milano e riunisce il lavoro di 10 artisti under 35 attivi in Italia, chiamati a ripensare il rapporto tra esseri umani, tecnica e natura in ottica economia circolare. Ogni edizione del premio mostra come gli artisti sappiano intercettare i segnali deboli della società e trasformarli in immagini e narrazioni capaci di aprire nuove sfumature del nostro orizzonte ecologico”. Così Ludovico Pratesi introduce la rassegna di quest’anno, esprimendo il credo alla base: un motore di sostenibilità che ha portato ogni artista a sviluppare un proprio progetto unico e personale. C’è chi si affida al bianco e nero, come Binta Diaw (Milano, 1995); chi privilegia il colore e le forme vegetali che esprimono tutta la carica energetica che il ritrovamento della sintonia con la natura da parte dell’uomo porta con sé. E poi non mancano esempi di come i materiali di scarto possano rinascere sotto le mani dell’artista-artefice.
La percezione secondo l’artista Binta Diaw
Al centro della mostra di questo 2025 c’è la vincitrice del Premio Arte Circolare CONAI, Binta Diaw. La sua fotografia in bianco e nero, raffigurante una giovane donna china sulla terra, prostrata in una posa ibrida tra abbraccio, dialogo e adorazione, esprime perfettamente lo sforzo di riconnessione con l’ambiente a cui il progetto aspira. Così commenta Marco Bassan: “l’opera Terrestre di Binta Diaw, vincitrice della quarta edizione propone una visione non antropocentrica dell’equilibrio con la natura: il corpo dell’artista, che sembra emergere dal suolo, diventa figura simbolica di un’umanità che non domina ma si riconcilia con la terra da cui dipende”. Profonda e semplice allo stesso tempo, l’immagine restituisce le emozioni che l’artista ha accumulato in sé, attraverso un corpo che si fa archivio di memoria e al contempo mezzo di rinnovamento.
Le altre opere in mostra a Milano per il Premio Arte Circolare
“Siamo felici oggi di poter presentare le opere dei dieci artisti under 35 invitati a confrontarsi con una idea di circolarità che non è solo di materiali ed energie, ma da intendersi in una accezione più ampia, di pensiero, di sguardi. Fisicamente e metaforicamente dagli scarti e dalle fragilità del presente possono nascere, attraverso il lavoro degli artisti, nuove visioni e nuovi mondi”. Il curatore introduce così la rassegna, in cui i dieci artisti selezionati esprimono al pubblico le loro declinazioni dell’arte circolare, in cui l’uomo si ritrova spesso al centro delle riflessioni. Accanto a Binta Diaw, interessante è il lavoro di Matilde Sambo (Venezia, 1993), con la sua composizione che forma un tableau vivant in bilico tra rinascita e immobilità. Una cassa di legno in cui un germoglio sboccia, dimostrando la resilienza della natura. Accanto c’è poi il dipinto di Giulia Mangoni (Isola del Liri, 1991) che celebra la circolarità dello sguardo attraverso forme fitomorfe e volti umani che osservano la straordinarietà del mondo vegetale espressa da fiori coloratissimi. Infine, tra i contributi esposti, spicca curiosamente la sagoma dipinta da Giovanni Chiamenti (Verona, 1992): un essere a metà tra antichità preistoriche e futuro geneticamente modificato. Una sorta di cellula tra il vegetale e l’animale, che nella sua ambiguità racchiude tutto il processo di mutamento in atto nel pianeta, che da un incontaminato passato ancestrale si muove verso un domani inevitabilmente contaminato dall’azione umana.
Emma Sedini
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