A Torino una mostra fa riflettere sul tempo tra sculture in terracotta e opere su carta
Attraverso un percorso in cui gli accenti barocchi e romantici delle recenti opere sono marcati dalla luce naturale, al Museo Ettore Fico l’artista Emanuele Becheri intreccia un elogio del tempo lento, distante dalla frenesia contemporanea ma prossimo alla realtà
Chi scrive ha avuto occasione di descrivere il percorso artistico di Emanuele Becheri (Prato, 1973) come “somatico prima che psichico”, inteso al rapporto organico che sussisteva tra la “volontà di potenza” dell’azione creatrice e la resa dialogica dell’opera in atto. Formatosi all’Accademia di Belle Arti di Firenze, la sua esplorazione creativa ha toccato numerose varietà artistiche, dal disegno al video, dalla pittura alla sperimentazione musicale, fino a concentrare, dal 2016-2017, gran parte del suo tempo all’attività scultorea, tecnica che pare racchiudere tutta l’esperienza artistica e umana dell’artista. Il processo, peculiarità dell’arte del Becheri nonché concreto campo d’indagine estetica, trova nella scultura una gratificazione veritiera a quella “volontà di potenza” nietzschiana succitata, ed evolve quella perdita di “soggettività autoriale” (Saretto Cincinelli) del giovane Becheri verso una consapevole immanenza del ruolo dell’artista come corpo-macchina.

La mostra “Sculture” di Emanuele Becheri al museo Ettore Fico
Oggi il discorso si rinnova, grazie alla mostra presso il Museo Ettore Fico di Torino, fino al 21 dicembre 2025, dove si può ammirare un’efficace riprova del lavoro più recente di Emanuele Becheri. La mostra Sculture, con il direttore Andrea Busto che ha dato completa carta bianca alla visione dell’artista, è maturata da quasi dieci anni di pratica coroplastica, con un piacevole ritorno (invero mai abbandonato) del disegno e delle opere su carta nominate Stati d’animo, segni tangibili di una sinergia aperta tra la traccia rilasciata su un supporto e la materia elaborata a mano.

L’arte di Emanuele Becheri in mostra a Torino
Le forme convulse provocano desiderio ed entusiasmo per la loro bellezza medusea, leggermente velata di una malinconia invisa al massiccio spazio bianco del primo piano del Museo, ma pertinente in una fruizione conciliante con lo spettatore, che sosta davanti alle opere e si interroga su cosa osserva (un paesaggio? Un ritratto?) evocando nella memoria la carnalità di un Antoine Bourdelle o la tensione di un Arturo Martini, perché “l’arte non è interpretazione, ma trasformazione”.

Il tempo nella poetica di Becheri
Il pensiero è inglobato nel gesto, che si raffina e vola sicuro tra le onde argillose della materia terrigna. Lo studio dei maestri del passato si riversa sulla creta come un eterno duello dall’esito irrilevante perché “time is out of joint” (Amleto atto I, scena V); la riflessione sul tempo, altra cifra dell’opera del Becheri, raggiunge il culmine nell’ottima scelta curatoriale di poter visitare la mostra a luce naturale. La scultura, allora, diventa un gioco di ombre e potenzia il proprio – già eloquente – dinamismo, le immagini prendono vita e il tutto si arricchisce di un sapore cinematografico: un tempo reale che mette a nudo la decadenza del mondo contemporaneo, dove l’arte non solo crea fantasmi, ma ha il potere di renderli eterni.
Luca Sposato
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