La rivista Segnature compie trent’anni e la sua fondatrice si racconta ad Artribune
A trent’anni dalla nascita Segnature si conferma picca come un progetto editoriale e artistico prezioso ma pratico che, nella sua dimensione intima e relazionale dimostra come il graphic design possa diventare sinonimo di incontro. Parola a Paola Leonarduzzi, la fondatrice
Circolata lungo sentieri non battuti e comunicata sottovoce, fondata sull’understatement e il passaparola, ricercata nella sua semplicità e modesta nella sua eleganza, la “microrivista” Segnature è un progetto editoriale-artistico che sfida le logiche della grande editoria, privilegiando la dimensione intima, monografica e relazionale. È un esempio di come il graphic design possa diventare veicolo di arte e di incontro, più che di semplice comunicazione stampata.
Concepita nel 2013, Segnature si appresta a varare il suo trentesimo numero. Dedicato all’artista Luca Vitone, sarà presentato il 10 dicembre alla Fondazione Luigi Rovati di Milano.
Ma quali sono le sfide da affrontare nell’affidarsi a percorsi fuori dalle rotte ufficiali, con lo scopo di instaurare delle relazioni più coinvolgenti e confidenziali con i propri interlocutori e con l’intenzione di creare contemporaneamente una rivista e un libro d’artista? Lo abbiamo chiesto alla fondatrice, Paola Leonarduzzi.
Intervista a Paola Leonarduzzi, fondatrice di Segnature
Puoi raccontare brevemente il tuo percorso formativo e professionale fino alla creazione di Segnature?
La passione per la lettura, per i libri, per la conoscenza, sono state le motivazioni per intraprendere questo percorso. Mi sono formata come grafica nel settore culturale, d’arte, fotografia, architettura e saggistica con editori come Johan and Levi, musei come Collezione Maramotti, MAXXI, Fondazione Luigi Rovati. Ho frequentato le redazioni, e anche il mio studio è diventato un riferimento per riunioni e incontri per la costruzione di progetti culturali. Importante è stata anche l’attività di docenza.

Quando e perché hai deciso di avviare Segnature come progetto editoriale?
Il progetto Segnature è iniziato per caso, nei momenti di pausa tra un lavoro e l’altro. Segnature è un termine tecnico che si riferisce al processo tipografico di piegare e raggruppare i fogli per creare i fascicoli di un libro. Un legame diretto con la mia professione di graphic designer.
I primi numeri sono una sorta di collaudo realizzato con materiale del mio archivio. Poi ho cominciato a vederlo come un contenitore aperto verso l’esterno e accogliere il lavoro di artisti con cui ero in contatto. Si sono susseguiti numeri monografici su un artista, ognuno con le sue caratteristiche, risultato delle intuizioni dell’artista. Quando la rivista è pronta, stampata diventa uno strumento far conoscere il proprio lavoro. Si diffonde in modo stocastico, si può spedire. Arriva. È un oggetto che ha una sua delicatezza, discrezione.
Hai un numero o un progetto che senti abbia definito l’identità della rivista?
Ogni edizione ha prodotto risultati sorprendenti. Con Giulio Paolini sentivamo le nostre affinità, il titolo Prova generale indica l’elemento provvisorio della pubblicazione che poi ha generato altre idee. Vincenzo Cabiati attraverso la tecnica dell’acquerello ha prodotto un’opera riflesso del suo avvolgente inconscio visivo. Con Margherita Morgantin è stato un incontro al buio, e infatti, Dark Calibration è il titolo. Nicolò Cecchella ha inserito le sue poesie e contributi importanti. Alessia Armeni ha reso visibile le vibrazioni ipnotiche del suo lavoro.
Come nasce l’idea grafica di ciascun numero: parte dall’artista, dal tema o da un’idea graficoeditoriale autonoma?
Il tema e le idee per ogni numero emergono durante gli incontri nel mio studio a Milano oppure da loro. Si entra in una relazione finalizzata a produrre una Segnatura. Prosegue nel tempo con proposte, prove, correzioni, modifiche. Il progetto grafico di Segnature ambisce a essere neutro. È presente con le sue regole e rigore. Mi rendo conto che ha una sua solidità: contiene, dirige, valorizza, il contenuto. Ma non sono interessata un preciso risultato estetico. Perché il processo editoriale fa questo: nobilita.
Quali strumenti, materiali o tecniche prediligi nelle tirature artigianali di Segnature?
Segnature è una pubblicazione che vuole essere possibile. Con la scelta di un formato standard e rilegatura a punto metallico, su carta pregiata, è una scelta che ci si può permettere. Poi nelle pagine devono trovare posto un saggio critico che contestualizza l’opera, la biografia la traduzione inglese. Diventa un libro completo, autonomo, per certi versi veloce. È la complessità che si trasforma e diventa accessibile al lettore, un aspetto questo, decisivo.
Hai una routine o rituale di lavoro nello studio quando progetti un nuovo numero?
Il lavoro nel mio studio va coordinato con costanza. La regola di massima per i tempi di produzione di Segnature è: quando siamo pronti. Con l’artista ci prendiamo il tempo necessario, anche in questo caso “possibile”, per pensare e riflettere senza pressioni. Mentre divaghiamo vengono le idee. È anche divertente. Siamo noi, coinvolti in un processo ideativo, con entusiasmo.
A volte ci sono voluti sei mesi, come con Marina Ballo. A volte, come con Luca Vitone, due anni. In modo rilassato, senza perdere mai di vista l’obiettivo del nostro lavoro, portato avanti con massima cura e serietà.
Come scegli gli artisti da invitare o i progetti da sviluppare per un numero monografico?
Incontro gli artisti per caso, alle mostre, o perché hanno visto Segnature e vorrebbero farne parte. Spesso sono le assonanze dei nostri linguaggi a farci entrare in dialogo. È come una persona si esprime, le parole che usa. Sono dettagli che rivelano molto dell’interlocutore. Ma è anche il desiderio di poter lavorare insieme e di condividere, che può dare molta soddisfazione. Ma cominciare un numero di Segnature parte dal desiderio dell’artista di “pubblicare” su carta.
Che ruolo hanno curatori, critici e contributor nella progettazione della rivista?
Per la parte testuale coinvolgiamo personalità di grande apertura, portate alla sperimentazione, conoscono il valore di ogni anche piccolo stampato. E la preziosità delle piccole tirature.
Il curatore del testo spesso conosce già il lavoro dell’artista, a volte lo incontra per questa occasione. Con Riccardo Venturi, abbiamo preso appuntamenti telefonici, condividiamo riflessioni su come posizionare il testo in relazione alle immagini, in accordo, lasciare che l’opera abbia un ritmo narrativo, che l’artista conduce.
Tu sei stata tra i fondatori della prestigiosa rivista letteraria online Doppiozero. Questa esperienza ha avuto qualche riflesso nell’ideazione e nella conduzione di Segnature?
Quando abbiamo fondato Doppiozero, eravamo concentrati nella costruzione della “macchina” complessa che è un giornale, uno spazio pensato per il contenuto testuale.
Ho sentito il bisogno di fare l’opposto, scrivere con l’immagine. È cominciata la rubrica Segnature Postali, una cartolina on line al mese, composta dall’opera di un’artista corredata dalla didascalia: un invito al silenzio, alla contemplazione e al mistero delle immagini.
Il modello di distribuzione “a mano”, che cosa significa in pratica?
La distribuzione “a mano” presuppone l’incontro e il con-tatto con l’altro, che sono elementi qualitativi che arricchiscono le nostre vite. La copia spedita e ricevuta traccia un legame, un percorso che io chiamo “la logistica delle idee”. Nel momento che una copia di Segnature passa in altre mani, mi chiedo dove arriverà. Qualcuno ne è diventato collezionista.
La mia libreria ospita libri, opuscoli e cataloghi di gallerie d’arte, opere sperimentali, il cui contenuto a distanza di tempo si è rivelato una documentazione sostanziosa, oltre ad avere un mercato proprio. Intendo dire che anche le opere di breve consultazione, rispetto a imponenti monografie complete, sono fondamentali per la comprensione dei fenomeni artistici.
Come finanzia Segnature la sua produzione?
Di solito collaboro con galleristi, che singoli, o in gruppo decidono di valorizzare il lavoro di un artista. Ma ci sono anche collezionisti, appassionati, e gli stessi artisti in autonomia. Richiede un investimento accessibile, certamente ridotto e agile rispetto a un progetto editoriale più strutturato. La tiratura è modulata dalle diverse circostanze.
Qual è l’importanza degli incontri pubblici e delle presentazioni per Segnature? Puoi ricordare i momenti più significativi?
La prima presentazione e mostra di Segnature è stata a cura Gianluigi Ricuperati alla libreria Corraini in via Savona a Milano nel 2012. L’ultima, con Giulio Paolini e Andrea Cortellessa alla Fondazione Luigi Rovati nel 2024, e qui anche la prossima, il 10 dicembre per Segnature – Luca Vitone con Elio Grazioli e Giuseppe Garrera, e a Roma il 12 dicembre da Rolando Anselmi, con Cortellessa e Stefano Chiodi.
Le Segnature restano, ma organizzare e partecipare a un incontro aperto al pubblico, è sempre un evento emozionante. È un’esperienza extra-ordinaria.
Come pensi che il formato “a mano” e l’esperienza dal vivo contribuiscano alla percezione dell’opera d’arte trattata nella rivista?
L’arte genera. Le idee arrivano. In un’epoca friabile come la nostra, la difficolta è ri-connettere le parti spezzate e creare un terreno fertile per nuovi progetti. È un lavoro costante, servono intuizione e immaginazione, per percepire gli altri, le situazioni, l’energia.
Gli artisti e tutte le figure che hanno un coinvolgimento nell’arte, l’hanno scelto, si sono presi una responsabilità. Ma hanno anche questa opportunità: esserci, coinvolgere, raccontare. In modo sperimentale, inventivo. Segnature.
Alberto Mugnaini
Gli appuntamenti:
Mercoledì 10 dicembre, ore 18.00
Fondazione Rovati
Corso Venezia 52, Milano
Venerdì 12 dicembre, ore 18.00
Galleria Rolando Anselmi
Via di Tor Fiorenza 16-24, Roma
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